Gilles Clément e l’appello contro la strategia della paura [di Leonardo Lella]
https://ilgiornaledellarchitettura.com 27 Maggio 2020. Secondo il paesaggista francese, il futuro del “giardino planetario” sta nella cooperazione con le forze della natura. Alla soglia degli ottant’anni e con all’attivo cinquanta di attività, Gilles Clément (1943) ha i tratti dell’intellettuale stoico. Ai giornalisti che in collegamento radiofonico gli chiedono in cosa la quarantena abbia perturbato il suo quotidiano, il più noto dei paesaggisti risponde con tono disinvolto che, a parte qualche spostamento, la sua routine rimane quella di sempre. Nello specifico: la mattina tavolo da disegno e videochiamate per seguire i suoi progetti e il pomeriggio, ça va sans dire, “c’est le jardin”. Dalla Vallée, la tenuta nel cuore della Francia in cui si è installato nel 1977 sulla scia del ritorno alla terra del movimento hippie e delle incertezze dovute alla crisi petrolifera, nonostante l’isolamento, Clément ha fatto parlare di sé. Oggetto delle discussioni un editoriale, apparso il 13 aprile, in piena quarantena, sul suo sito web. In esso, su un tono quasi complottista, Clément denuncia la politica del governo, che agita lo spauracchio del virus per legittimare un controllo assoluto sui cittadini e far dimenticare la vera crisi, cioè quella del decennale abbandono dei servizi pubblici come la sanità. Ed evoca una vera e propria strategia della paura, messa in pratica per asservire il popolo e salvare il modello economico ultra-liberare delle multinazionali e delle banche. Tali argomenti non sono certo nuovi per un professionista engagé come lui, che non ha mai nascosto le sue simpatie per gli ecologisti e la sinistra di Jean-Luc Mélanchon. E che nel 2007, in seguito all’elezione di Nicolas Sarkozy alla presidenza della repubblica, interruppe tutte le collaborazioni con lo Stato in segno di protesta. Questa volta, però, Clément non gioca solo la parte del bastian contrario. E conclude il suo appello con una speranza: che la riscoperta dei gesti ancestrali della campagna da parte degli urbani fuggiti dalla città appestata possa suggerir loro un modello di consumo alternativo centrato sull’autoproduzione e sul locale. Un tantino ingenuo, ma detto con entusiasmo. In prima linea fin dagli anni ’70 per una pratica del paesaggio intesa come “accompagnamento” piuttosto che come controllo delle interazioni tra gli organismi viventi, Clément oltre ad essere un affermato progettista, autore di parchi e giardini in tutta la Francia, è un prolifico scrittore e un coltissimo biologo ed entomologo. Le sue teorie, espresse attraverso una prosa limpida e poetica in un corpus di quasi quaranta opere tra saggi, romanzi e diari di viaggio, sono il frutto di una rivolta giovanile agli asfissianti spazi verdi della tradizione francese, inquadrati da aiuole squadrate e asettici parterre di violette; e il frutto di una lunga serie di viaggi di studio, quasi humboldtiani, in giro per i cinque continenti. Tra i suoi concetti più celebri, quello del “giardino in movimento”, messo in pratica nel parco André Citroën di Parigi (1992), per il quale il giardiniere è invitato ad assecondare il naturale mescolamento delle essenze causato dal vento, all’attività animale e a quella umana. O ancora quello del “giardino planetario”, applicato al recupero del Domaine du Rayol (1988), attraverso il quale l’autore esprime la necessaria consapevolezza del paesaggista di operare in un unico grande recinto concluso, la Terra, le cui risorse sono finite ed eternamente interconnesse. In Italia i suoi manuali, tradotti da inizio Duemila e andati a ruba nelle facoltà di architettura, hanno fatto coorti di adepti. Tra questi, l’ex governatore della regione Sardegna Renato Soru, che nel 2007 gli affida la sistemazione del parco archeologico di Tuvixeddu a Cagliari, dopo aver bloccato una lottizzazione privata prevista per la stessa area. Il progetto, mai realizzato, finisce in scandalo quando Soru viene accusato di abuso d’ufficio e si scopre che il costruttore Cualbu aveva assunto la figlia del soprintendente per assicurarsi il voto contro il vincolo archeologico. Allontanato, come troppo spesso accade, da storiacce di corruzione, Clément si deve accontentare in Italia di qualche aiuola nel parcheggio delle Manifatture Knos a Lecce, che lo invitano a realizzare dei workshop di progettazione. Tema principale degli incontri, il celebre “Terzo paesaggio”, concetto sotto il quale il paesaggista mette insieme tutte le superfici terrestri libere da qualsiasi attività umana: terreni incolti, deserti, torbiere e scarpate ferroviarie nei quali, sostiene, si concentra la più grande biodiversità e la riserva genetica del pianeta. Sarà che, anche qui, la sua ha tutta l’aria di una contro-reazione. Quella all’ossessivo controllo del territorio di matrice cartesiana e al massiccio uso di prodotti chimici del suo paese (la Francia è seconda in Europa per tonnellate di pesticidi acquistati). Eppure, questa rivalutazione dell’abbandono controllato di “isole di biodiversità” non è un semplice capriccio romantico in un’epoca che ha bruscamente svelato gli effetti nefasti della distruzione degli ecosistemi e delle monocolture in agricoltura. All’Antropocene, frutto dell’uniformazione dello spazio e dell’illusione dell’ordine e delle buone maniere borghesi, dovrà insomma seguire un’era ecologica. Un’era che sviluppi una pratica di riparazione del paesaggio avvelenato e addomesticato dalla logica della massima produzione a breve termine del nostro secolo. Il segreto, come ama ripetere, sta nell’osservare e nel cooperare: «fare il più possibile con e il meno possibile contro». *Architetto e curatore. Formato in Architettura all’Università Roma Tre e alla TUM di Monaco, ha realizzato soggiorni di studio ad Amburgo e a Città del Messico. Interessato all’ambito curatoriale come a quello editoriale, ha fatto parte tra il 2015 e il 2018 della redazione della rivista tedesca “Baumeister” per la quale ha coperto principalmente l’attualità architettonica italiana, francese e latino-americana. Nel 2018 ha lavorato a Venezia per la Biennale di Architettura e ha contribuito a Roma alla riapertura della testata “l’architetto”. Ha contribuito a numerose pubblicazioni di architettura contemporanea tra cui “Francis Kéré: Radically Simple” (a cura di A.Lepik, Hatje Kanz, 2017) e scrive regolarmente per riviste e siti di settore. Dal 2019 è assistente curatore al centro di architettura Arc en rêve di Bordeaux
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