Le pandemie che non conosciamo [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 11 giugno 2020. La città in pillole. Tanti tematizzano l’attuale pandemia con una pedagogia latamente rassicurante ma del tipo “sopire, troncare […] troncare, sopire“. Pochi le passate, forse per esorcizzare il terrore, nato in epoche non documentabili, di un nemico invisibile che connota tutta la vicenda dell’homo sapiens.

In lingue di antichissima formalizzazione, si chiama virus e i suoi echi lontani, fattisi oggi prossimi, evocano esperienze di morte ma pure vittorie e mediazioni. Il latino arcaico e il sanscrito ne condividono radice e significato: veleno/essere attivo. Con la stessa radice, la lingua dei Romani, chiama l’uomo valoroso; assorbita nella parola virtus significa virtù, valore, forza militare; è persino epiteto di una magna mater dai caratteri militari, importata a Roma dal Vicino Oriente, e assimilata a Bellona divinità della guerra.

Nel gioco semantico di rimandi c’è la densità esistenziale che l’uomo porta con sé dai sostrati preurbani nel fondare un’innovativa complessità insediativa che chiama città, nell’illusione di dominare la violenza della natura. Nell’urbano protetto da mura, crede che, normando il rapporto con le declinazioni della feralità, mai addomesticata, riuscirà a liberarsi dell’antica pericolosa presenza. Diventerà invece il luogo della sua massima concentrazione.

La rielabora con riti, simboli, leggende, di cui la Sardegna conserva memorabili testimonianze archeologiche e, fino all’altrieri, riti agrari e pratiche metamorfiche che consentivano, in alcune feste, ai maschi di tramutarsi in animali selvatici. Epopea di un passato assoluto, per dirla con Michail Bachtin, difficilmente storicizzabile, in cui protagonista è il rapporto tra uomo e universo vegetale e animale, indistintamente lupo, muflone, cane, toro, cavallo, volpe con i loro ospiti, i virus con cui l’umanità, nei millenni, ha imparato a mediare mentre addomesticava ogni possibile selvatico.

Il virus intronizzatosi nella smemorata contemporaneità è buon ultimo attore di pandemie leggendarie, di cui sono note quelle che hanno abitato epica e romanzi e alimentato memoria e immaginario collettivi. Non a caso l’Iliade, inizio e canovaccio di ogni narrazione occidentale, ha il suo incipit proprio in un’epidemia diffusa dalle frecce di Apollo per punire la hỳbris dei Greci.

Una vicenda già urbana, recente se confrontata con quella di Cagliari e della Sardegna. Una visita al Museo Nazionale per leggere testimonianze coeve e precedenti e per riflettere sul perché ignoriamo e disconosciamo le origini. Non solo dei virus.

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