Per discutere di PPR serve la consapevolezza delle vere classi dirigenti e non l’illusoria idea che eludere le norme possa garantire sviluppo [di Gian Valerio Sanna]
L’ennesimo attacco al Piano Paesaggistico Regionale denuncia, neppure sotto mentite spoglie, la difficoltà di molti ad abbracciare la regola e la norma come strumento regolatore della vita collettiva di un popolo e ciò che, nel gergo comune, si chiama interesse generale. E già, interesse generale. C’è un nesso fra norma o regola e l’interesse generale? Certamente si, ma è proprio il venir meno della percezione che le regole e le leggi servono per conseguire esclusivamente un interesse collettivo che ha fatto si nell’ultimo decennio sopra tutto, che le leggi servano il più delle volte per portare a sintesi la somma o la mediazione degli interessi particolari, le esigenze corporative di un Consiglio Regionale che è diventato lo sportello dei reclami di tutti. Basta avere un problema e si occupa l’ingresso del Palazzo di Via Roma o Viale Trento. Poi ci pensano le delegazioni politiche interessate, il singolo consigliere o i rappresentanti più in alto in grado a scendere per portare “conforto” ovvero la promessa di un intervento sicuro, la certezza di una piccola norma che se anche confliggesse con il resto del mondo, vale bene la giusta promessa di un consenso tacitamente accordato. Quando gli insaziabili costruttori, gli albergatori che pensano il loro mestiere solo in funzione del collocare mattoni e cemento per finire con i pseudo esperti, ex amministratori rimbambiti e nostalgici del tempo passato, realizzano che bisogna pressare la politica perché rimuova le regole, abbatta i piani scomodi e liberalizzi l’aggressione del territorio in nome dello sviluppo ma in realtà dei soli interessi personali, si realizza quello che anche stavolta è andato in scena. Poiché non è la prima volta che accade e, come giustamente sostiene l’Ing. Giuseppe Biggio nell’intervento pubblicato in questa Rivista, non sarà neppure l’ultima, bisogna catalogare correttamente la natura specifica degli artefici di tali incursioni sul terreno del diritto costituzionale che, come si sa, non è nelle sfere di competenza regionale. Le categorie sono a mio parere sostanzialmente due. La prima è quella dei “consapevoli”, ovvero di coloro che sanno bene che non esiste alcuna possibilità di incidere unilateralmente nella sfera di una competenza esclusiva dello Stato in materia di Costituzione e che tuttavia scelgono la “finzione” di un interesse, perseguito per conseguire il conforto di un consenso nuovo o rinnovato da parte dei “questuanti”. La seconda, in rapida crescita negli ultimi anni a causa della diffusione del virus del “pressapochismo in politica”, è quella dei “limitati” ovvero di coloro che si impegnano con piglio convinto e sostenuto, ignorando del tutto che sedere nel Consiglio Regionale della Sardegna rappresenta molto ma non un investitura di onnipotenza e di supponenza e che, da che mondo e mondo, esiste un “fondamentale della politica” che è rappresentato dal principio della gerarchia delle leggi. Per questi ultimi, anche per il loro equilibrio psicofisico, sarà necessario attendere il “capolinea” del controllo del Governo e dell’impugnativa della norma per sperare che dalla categoria dei “limitati” possano andare a rinforzare le fila dei “consapevoli”. A questi ultimi infine, mi pare necessario rivolgersi per sperare in un nuovo orizzonte di impegno, in una nuova fase del loro mandato istituzionale volto alla costruzione di processi possibili, di percorsi di revisione delle regole e dei principi del governo territoriale della Sardegna chiaramente collocati sul versante della salvaguardia ma nettamente rivisitati sul terreno del buon senso, del decentramento decisionale, della gestione collettiva delle responsabilità di tutela e di trasformazione. Serve la forza dei consapevoli per superare le remore che hanno frenato nei decenni trascorsi il compimento consapevole dell’autonomia regionale, la sua piena adesione ai dettati delle politiche esclusive ma anche di quelle concorrenti che, nel loro insieme, realizzano il senso vero della specialità che non si è ancora affrancata del peso di un’ordinarietà ancora latente e supportata dalla convinzione statuale di una sostanziale debolezza della consapevolezza autonomistica dei diritti e dei doveri ovvero del possibile e dell’impossibile. Il discrimine è più che mai la classe dirigente, la sua natura, la sua cultura e la sua consistenza. Penso con forte convinzione che una delle azioni più spiazzanti che l’autonomia regionale può giocare nei confronti dello statalismo centralizzante, sia proprio quello di chiedere ed avviare un sereno, limpido e qualificato percorso di revisione ed aggiornamento del PPR della Sardegna. Si aprirebbe una partita decisiva anche per tanti altri aspetti della dimensione regionale. Si giocherebbe sul terreno delle reciproche responsabilità un confronto in grado di mostrare le competenze giuste, le consapevolezze di una comune visione delle cose da tutelare e di ciò che deve essere sottratto all’insignificanza ed alla staticità dell’oblio, davanti alla domanda di crescita sociale e di una lecita aspettativa di sviluppo. Potrebbe essere un’esperienza “pilota” in grado di appalesare l’affidabilità di un popolo, la propria statura all’interno della rigida architettura della statualità nazionale, l’idea che l’autonomia vive rispettando il senso unitario e complementare dello Stato senza rinunciare ad assumersi le responsabilità dei “si” così come dei “no” davanti ai cambiamenti epocali che stanno modificando la sonnolente evoluzione del mondo. A beneficio, poi, dei “limitati” e di coloro che sostengono, facendo l’occhiolino a un cedimento senile, che il PPR avrebbe “ab origine” un difetto di legittimazione o di validità, sarebbe necessario ricordare che questo Piano Paesaggistico ha superato il vaglio di ben 102 sentenze del TAR che, a diverso, titolo, hanno tutte provato a demolire parti significative di tale documento senza sortire alcun risultato concreto e sempre avendo come risultato il rigetto dell’istanza. Solo per memoria collettiva piace ricordare quanto scritto dai Giudici Amministrativi a tal proposito in una Sentenza (n.2050/2007):” La Regione, come è noto, ha quindi provveduto a dettare provvedimenti di salvaguardia,….., ed ha poi approvato la legge regionale n. 8 del 25 novembre 2004, avviando uno studio del territorio diretto a porsi come presupposto per la rapida adozione di un nuovo strumento di pianificazione paesaggistica. Gli esiti di tale lavoro ricognitivo sono stati riversati nella documentazione (relazioni tecniche, cartografie, relazione generale) allegata al piano paesaggistico, e sono la oggettiva dimostrazione dello svolgimento di uno studio approfondito e dettagliato del territorio sardo mai in precedenza condotto con tanta accuratezza e specificità. Della consistenza e rilevanza degli esiti dell’istruttoria hanno dato atto, nella fase di adozione e di approvazione del piano tutti gli organi titolari di specifiche competenze, anche appartenenti alla minoranza politica, i quali hanno condiviso e fatto proprie le risultanze oggettive acquisite attraverso il lavoro congiunto di esperti e di funzionari. Si tratta di informazioni che assumono primaria importanza nella verifica di congruità della pianificazione territoriale, perché hanno la funzione di illustrare, con metodologie all’avanguardia , lo stato di fatto nelle sue varie componenti, il cd sistema informativo territoriale, sicché i relativi dati, in quanto allegati ai provvedimenti di adozione e poi di approvazione della Giunta, ne sono parte integrante e consentono la valutazione a posteriori della logicità delle scelte effettuate e della coerenza tra analisi delle caratteristiche del territorio regionale e relativa previsione pianificatoria di natura paesaggistica o di regime d’uso di beni meritevoli di tutela ….” Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, metta a rischio la propria credibilità, ed invece di adulterare ancora il già precario stato di credibilità dei social, proponga un ricorso e vediamo come va a finire. Conclusivamente, nella serenità che ci deve tutti accompagnare nell’attesa della legittima ed ennesima iniziativa del Governo a tutela di quello che la Costituzione ha valutato bene comune indisponibile, vorrei appellarmi alla saggezza che comunque alberga in molti amministratori e responsabili di questa nostra terra perché si abbandoni definitivamente l’illusoria e sbagliata idea che allentare le regole significhi innalzare lo sviluppo. E’ un modo per eludere la realtà ed alla fine, per questa strada, i Sardi hanno sempre mancato l’appuntamento con il futuro. Abbiamo bisogno invece di ritrovarci tutti, oltre e a prescindere dalle nostre provenienze e sensibilità, sul terreno di ciò che può essere nelle nostre mani, per costruire l’avvenire lungo le strade forse più impervie e difficili, ma le uniche vie per ambire al bene di tutti. Chissà se potremo avere altre opportunità. |
Sembra di capire quindi che il PPR necessiti di una qualche revisione, ma non è chiaro (non se ne fa cenno) per quali aspetti e con quali obbiettivi specifici da raggiungere.