Stampace: aperitivo fra i millenni [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 13 agosto. La città in pillole. Chissà se le decine di giovani, meno giovani e finti giovani che si assembrano, troppo vicini e senza mascherine, sanno che i piedi loro e dei troppi tavolini si affollano sul “luogo” storico Stampace. Nome che, nella toponimia e nella topologia della città, insiste in un orizzonte territoriale vasto, pluristratificato, che assomma definizioni che vi abitano dalla prima antropizzazione. Che dire di nomi così impegnativi? Intanto che non sono mai neutri quando connotano luoghi che hanno finito per identificare, senza soluzione di continuità da tempi assai antichi, il senso stesso dell’urbano. Non sono neutre neanche le poche decodifiche del toponimo Stampace. Alcune immaginifiche, altre più funzionali e comunque mai risolutive e tutte, nella storia della percezione dei luoghi, di pari dignità. Come tali sono pur esse, come i nomi che cercano di spiegare, parte integrante del paesaggio e perciò riconosciute dal Codice dei beni culturali, perché storia della mentalità e della cultura immateriale, interdipendente con quella materica. Una decodifica più attendibile è legata alla presenza di invasi naturali/cavità, documentati nell’uso già dal periodo nuragico ma certamente frequentati dal neolitico, non solo per la collocazione e le dimensioni di alcuni ma pure per la verisimiglianza con gli insediamenti trogloditici di Sant’Elia e per i contigui ritrovamenti in Via Sigismondo Arquer, nel quartiere Marina, e lungo il bordo delle acque interne di Santa Gilla e di Molentargius. Se il carsismo è noto in tutta l’area urbana, l’habitat rupestre concentrato da Sa Costa a Buoncammino e da Sa Costa stessa a Tuvixeddu, ha pochi uguali nel Mediterraneo anche per continuità d’uso fino al secondo dopoguerra dentro un centro urbano; che spiega l’attribuzione del toponimo ad una parte per il tutto. Chissà se le decine di giovani, meno giovani e finti giovani sanno di essere, ad esempio, avventori casuali del lato settentrionale della Fabrica di San Francesco di Stampace, comprensiva del primo gotico sardo con annesso convento, nello spazio tra le Vie Sassari e Giovanni Maria Angioy. Di questa, della fine del XIII secolo, Giovanni Spano scrisse nel 1861:” La chiesa può dirsi un Museo, o una Galleria, e per i suoi dipinti ed anche per l’insieme degli altri ornamenti in pietra, dell’architettura e dell’armatura del tetto a travi. Tutto è bello in quella molteplicità di tavole che adornano gli altari, e di gotici ornamenti, e d’intagli dorati, che sono della più bella maniera.”. |