Perché al momento aumentano i contagi ma non la mortalità? [di Gary Dagorn, Maxime Vaudano, Adrien Sénécat]
https://www.internazionale.it/notizie/gary-dagorn/2020/08/28. A poco più di tre mesi dalla fine del blocco in Francia, i numeri dell’epidemia di covid-19 continuano a scandire la vita quotidiana del paese. Da metà luglio è emersa una tendenza chiara: il numero di positivi al virus Sars-cov-2 è in aumento, e in apparenza ha raggiunto un livello paragonabile a quello registrato all’apice della crisi. Tuttavvia questa tendenza, per ora, non si riscontra negli ospedali: il numero di ricoveri in terapia intensiva e quello dei decessi restano a livelli nettamente inferiori rispetto alla primavera. Ad aprile 2020 sono stati registrati 2.700 nuovi casi al giorno. Ad agosto i nuovi casi giornalieri sono stati 2.400. Ad aprile 2020 sono stati registrati 2.600 ricoveri al giorno. Ad agosto i ricoveri giornalieri sono stati 136. Ad aprile 2020 sono stati registrati 391 morti in ospedale al giorno. Ad agosto i morti in ospedale giornalieri sono stati 14. Secondo alcuni specialisti la dinamica attuale è un segnale positivo rispetto alla possibile “seconda ondata”. “Il virus circola, ma è un’epidemia senza malati, dunque difficile da capire. Per il momento non emergono segnali chiari di un ritorno dell’emergenza”, ha detto il 22 agosto su Bfm-tv l’epidemiologo Laurent Toubiana, ricercatore dell’Inserm. Questo paradosso solleva un interrogativo cruciale: l’aumento dei casi accertati anticipa la temuta “seconda ondata” dell’epidemia? O è semplicemente un dato come un altro, e non dovrebbe allarmarci più di tanto? Ecco le possibili spiegazioni di questo fenomeno. Non ci sono prove di un indebolimento del virus. A metà agosto la scoperta di una mutazione del Sars-cov-2 in Malaysia ha rilanciato questa interpretazione, che tuttavia si è rivelata una pista falsa: la nuova variante del virus era già maggioritaria in Francia dal mese di marzo. Al momento non esistono prove a sostegno dell’ipotesi che il virus sia meno aggressivo rispetto al primo picco dell’epidemia. Il declino della curva dei decessi osservato in diversi paesi ha fatto pensare che il virus si fosse indebolito con il passare del tempo. Tuttavia il 24 agosto, sull’emittente France Inter, la direttrice del servizio per le malattie infettive dell’ospedale parigino di Saint-Antoine, Karine Lacombe, ha lanciato un avvertimento: “La tesi secondo cui il virus sarebbe meno contagioso o meno aggressivo è del tutto infondata. Per il momento non abbiamo dati in questo senso”. Si fanno più test rispetto alla primavera scorsa. Dato che all’inizio dell’epidemia la Francia riservava i test ai malati più gravi, conoscere il numero di malati asintomatici o con sintomi lievi era sostanzialmente impossibile. Secondo studi effettuati a posteriori dall’istituto Pasteur e dal sistema sanitario pubblico francese (Santé publique France), all’epoca i test permettevano di individuare meno di un malato su dieci. L’aumento del numero di test, dunque, è un’altra spiegazione plausibile dell’incremento dei casi accertati. Maggiore è la quantità di test effettuati e più aumentano le possibilità di individuare persone infette. “Quello che stiamo osservando con i dati sui casi accertati è solo la punta dell’iceberg”, conferma l’epidemiologa Catherine Hill, ricercatrice dell’istituto oncologico Gustave-Roussy di Villejuif (Val-de-Marne). Con 90mila test al giorno alla fine di agosto contro gli appena cinquemila e metà marzo, le possibilità d’individuare le persone infette sono chiaramente aumentate. Tuttavia questa evoluzione impedisce di confrontare l’intensità attuale della circolazione del virus con quella della primavera scorsa. Il recente aumento del numero dei contagi, in ogni caso, non è insignificante. La proporzione di persone infette è sensibilmente aumentata, passando da circa l’1 per cento alla settimana (in media) alla fine di giugno a oltre il 3 per cento alla fine di agosto. La moltiplicazione dei test, evidentemente, non basta a spiegare l’aumento dei casi. Il virus circola di più tra i giovani, meno vulnerabili. Secondo Ségolène Aymé, direttrice del settore ricerca dell’Inserm, questa è la chiave per comprendere la situazione attuale. “Non c’è bisogno di cercare spiegazioni complicate per questa differenza tra le curve. Il virus circola sicuramente a un livello elevato, ma oggi si diffonde soprattutto tra i più giovani. È per questo che i casi gravi sono relativamente pochi. Le persone più a rischio, gli anziani, si proteggono meglio”. Durante l’estate il virus ha circolato senza dare troppo nell’occhio tra i minori di quarant’anni, in fasce d’età in cui la percentuale di asintomatici è più elevata e le complicazioni per la salute sono più rare. Questa evoluzione, probabilmente, può essere spiegata dal fatto che gli anziani hanno cominciato a prendere maggiori precauzioni rispetto ai giovani. In questo senso si può sostenere che il “modello di trasmissione” sia cambiato. Mircea Sofonea, epidemiologo dell’università di Montpellier, lavora attualmente sullo scarto tra il numero di casi e quello di decessi. Secondo il ricercatore, alla fine di luglio la mortalità del covid-19 è calata del 46 per cento rispetto a quella che sarebbe stata registrata se il virus si fosse trasmesso con le stesse modalità rilevate alla fine di maggio. “Quando si cambia un parametro in corso d’opera si ottiene questo effetto transitorio”, sottolinea Sofonea. “È un’alterazione dei dati che è stata completamente ignorata o dimenticata, ma è una spiegazione che merita di essere tenuta in considerazione”. La particolarità della situazione complica le decisioni politiche. Il fatto che il virus abbia causato pochi decessi nelle ultime settimane potrebbe spingere le autorità verso l’ottimismo, ma il rischio di una trasmissione massiccia nelle persone fragili, a cominciare dagli anziani, resta elevato. La percentuale di casi gravi e la mortalità sono sempre state strettamente legate all’età delle persone colpite dal virus. Secondo Santé publique più del 92 per cento delle persone decedute aveva più di 65 anni. In questo senso bisogna tenere presente che siamo ancora lontani da quell’immunità di gregge che potrebbe limitare efficacemente la circolazione naturale del virus. Secondo le stime dell’istituto Pasteur, in Francia all’11 maggio era stata infettata una percentuale di popolazione compresa tra il 3,3 per cento e il 9,3 per cento, con una grande disparità tra le regioni. Questo dato, oggi, viene rivisto al rialzo, ma resta una forte differenza tra i dipartimenti in cui il virus circola attivamente e quelli meno colpiti. In ogni caso manca ancora molto per arrivare al contagio del 50-70 per cento della popolazione, ovvero la percentuale che secondo le stime sarebbe necessaria per frenare a lungo termine l’epidemia senza bisogno di misure di controllo. Devono passare diverse settimane prima di poter constatare gli effetti del virus. Esiste un divario temporale perfettamente logico tra l’aumento del numero dei casi accertati e quello delle persone ricoverate o decedute, causato dall’arco di tempo necessario per l’incubazione (da cinque a sette giorni) e successivamente per il peggioramento della malattia (da sette a dieci giorni). “In media passano circa tre/quattro settimane tra il contagio e il decesso”, spiega Sofonea: quattordici giorni tra il contagio e il ricovero, più altri otto/sedici prima dell’eventuale decesso “in base alle cure prestate e al profilo del paziente”. Se con la fine dell’estate il virus dovesse ricominciare a circolare tra le persone più deboli, è altamente probabile che il numero di ricoveri e decessi possa aumentare seguendo questa tempistica. Secondo molti osservatori lo scarto temporale altera la percezione del pericolo nell’opinione pubblica e complica la gestione della crisi sanitaria. In ogni caso esistono altri segnali che testimoniano una circolazione piuttosto ampia del virus. Da un lato la curva dei ricoveri ha ricominciato a salire nelle ultime settimane, seppure in modo contenuto. Dall’altro, secondo i dati di Santé publique, i casi legati ai cluster (focolai di contagio) sono ampiamente minoritari. “Questo significa che il virus non è sotto controllo e che l’epidemia potrebbe durare a lungo. La situazione resta estremamente pericolosa”, sottolinea Ségolène Aymé. I malati ricoverati in ospedale sono curati meglio. “Questo aspetto, probabilmente, ha un peso concreto”, conferma l’epidemiologa Ségolène Aymé. “Abbiamo fatto molti progressi nelle terapie somministrate nella fase iniziale della malattia, ma per il momento non siamo in grado di misurare precisamente i benefici di questi progressi”. Al di là delle differenze osservate nella dinamica dell’epidemia tra le popolazioni colpite, le conoscenze in merito al covid-19 maturate nel corso dei mesi hanno permesso di migliorare le cure, a cominciare dalla gestione delle “tempeste immunitarie”. Il calo della pressione sugli ospedali francesi, inoltre, ha verosimilmente contribuito a migliorare la capacità di assistere i pazienti. Questi progressi riguardano soprattutto l’aspetto pratico dell’assistenza medica e la possibilità di anticiparne la “traiettoria” clinica individuando i profili più a rischio. Per il momento mancano prove solide dell’efficacia delle terapie contro il Sars-cov-2, mentre per i vaccini bisognerà aspettare ancora diversi mesi. La dinamica estiva dell’epidemia si spiega con un accumulo di fattori diversi che vanno analizzati per non sottovalutare o ignorare il rischio di una possibile “seconda ondata” in autunno. Attualmente è ancora troppo presto per stabilire in che modo il rientro dalle vacanze influirà sulla circolazione del virus, e se l’aumento dei casi precederà un ritorno della mortalità osservata in primavera. *Traduzione di Andrea Sparacino. Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano francese Le Monde. |