La magnifica preda. Perché la Fondazione Giorgio Cini potrebbe avere un ruolo decisivo per il futuro di Venezia [di Anna Somers Cocks]

La magnifica preda. Perché la Fondazione Giorgio Cini potrebbe avere un ruolo decisivo per il futuro di Venezia

Il Giornale dell’Arte numero 410, settembre 2020. Da 69 anni questo grande centro di eccellenza suscita invidie e critiche ed è stato perfino oggetto di tentativi di conquista. Ecco perché non solo merita la sua indipendenza, ma potrebbe avere un ruolo decisivo per il futuro di Venezia.

Di fronte al Palazzo Ducale c’è l’Isola di San Giorgio Maggiore, sede della Fondazione Giorgio Cini, quasi una repubblica indipendente all’interno di Venezia, un luogo di arte, pensiero e musica, con archivi e libri antichi e rari, caratterizzato da un serio impegno intellettuale. Ma che cos’è questa fondazione? Luogo di eccellenza per i veneziani (sebbene la considerino un po’ distaccata e persino elitaria), la Cini è famosa nei mondi accademici e della cultura internazionale come sede di mostre, seminari e conferenze di alto livello. Ma per i cinici e avidi, che non mancano, è un brand di eccellenza in una splendida sede che in altre circostanze potrebbe essere sfruttata a scopi politici e commerciali.

La Fondazione Cini è una onlus istituita nel 1951 da Vittorio Cini (1885-1977), uno dei grandi imprenditori che hanno creato l’Italia moderna, in memoria di suo figlio Giorgio, scomparso due anni prima in un incidente di volo a Cannes. L’Isola di San Giorgio è in concessione tramite un contratto con l’Agenzia del Demanio rinnovabile ogni 19 anni.

Nello statuto si legge che gli scopi della Fondazione sono: «La reintegrazione dell’Isola di San Giorgio Maggiore nella vita di Venezia, secondo le sue tradizioni spirituali (…) La promozione e il ripristino del complesso monumentale dell’Isola di San Giorgio Maggiore e la costituzione e lo sviluppo nel suo territorio di istituzioni educative, sociali, culturali e artistiche, occorrendo in collaborazione con quelle cittadine già esistenti (…) La promozione, inoltre, anche fuori dall’Isola di San Giorgio Maggiore, di attività culturali collegate, direttamente o indirettamente, a Venezia, alla sua storia e alle sue tradizioni di punto di incontro di diverse civiltà».

Tutte le figure chiave dell’«establishment» della città e del Governo locale sono per statuto rappresentate nel suo Consiglio Generale: il patriarca, il sindaco, il presidente della Regione, il prefetto, i rettori delle due Università, il soprintendente per i Beni architettonici e così via.

È meno noto, invece, che dopo essere stato, seppur brevemente, imprigionato a Dachau nel 1943, Vittorio Cini ebbe una conversione spirituale. Fu in parte grazie a lui che nel 1957 i monaci benedettini tornarono sull’Isola di San Giorgio, dalla quale erano stati sfrattati da Napoleone e si potrebbe così spiegare il ruolo chiave che Vittorio Cini nell’agosto 1977 affidò al patriarca Albino Luciani decretando che il patriarca avrebbe assunto «tutti i diritti e le prerogative del Fondatore» nella forma di un «Ufficio del Fondatore», con il diritto di nominare dieci dei 28 membri del Consiglio Generale. Decisione che adesso potrebbe diventare importante. Il mese successivo, Cini era morto e Luciani papa. Ne parleremo più avanti. Prima bisogna raccontare alcune delle tantissime cose che fa la Cini, che non ha voluto sfruttare le tecniche moderne delle public relation e di conseguenza in città alcuni la accusano assai ingiustamente d’inattività.

La Cini è costituita dalla sua Biblioteca e dai suoi Istituti modellati su quelli specializzati dell’Università di Princeton, guidati da illustri studiosi dell’Università Ca’ Foscari o da figure di fama internazionale. Gli Istituti e i Centri studi (che originariamente erano quattro) sono dedicati al Teatro, alla Storia di Venezia, alla Storia dell’Arte, alla Musica di Antonio Vivaldi, alla Letteratura, ai primi Libri, alla Musicologia e all’Oriente.

Essi generano una programmazione costante di attività: «Ci vuole mezz’ora per discutere del bilancio, ma un’ora per sentirsi raccontare i numerosi progetti della Cini», dice Giberto Arrivabene, membro sia del Consiglio generale sia del Comitato direttivo. Guardiamone alcuni. L’Istituto l’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati, fondato nel 1969 sotto la direzione di Alain Daniélou, noto indologo e musicologo, ha la miglior programmazione in Italia di musicologia internazionale (Africa, Bisanzio, India, Cina, Medio Oriente e Nord Africa), fedele all’idea di Vittorio Cini secondo cui Venezia dovrebbe essere studiata alla luce dei suoi incontri con altre culture.

Non è perciò un caso che la Cini sia stata all’avanguardia nella valorizzazione in Occidente delle culture artistiche del cosiddetto Terzo Mondo. Questo è stato bene illustrato durante la conferenza del 2019 dedicata al modo in cui l’Europa ha scoperto la musica mondiale nel dopoguerra durante la guerra fredda.

L’Istituto Venezia e l’Oriente fu invece creato nel 1958 per studiare popoli, civiltà e religioni; nel 2012 si è evoluto nel Centro Studi di Civiltà e Spiritualità chiedendo «agli studiosi di esplorare i confini tra scienza, cultura e religione e la relazione con l’altro». Nel 2012 Angela Staude, la vedova di Tiziano Terzani, decise che questo centro era il luogo più meritevole a cui lasciare la biblioteca del marito, conosciutissimo giornalista molto attivo in Oriente e noto per il suo impegno per la pace.

La Fondazione Cini non è ostacolata dalla burocrazia ufficiale e può agire rapidamente. È successo, per esempio, quando la Pentagram Stiftung ha offerto a Pasquale Gagliardi (84 anni), segretario generale milanese della Cini dal 2002, la possibilità di creare uno spazio dedicato alle mostre sul vetro veneziano del XX secolo, dopo che il Comune di Venezia ne aveva rifiutato la collezione. È così che nel 2012 sono nate Le Stanze del Vetro, la cui attività ha dato slancio allo studio e alla fama dell’industria del vetro veneziano, in declino da anni. La Pentagram Stiftung ha anche istituito all’interno della Cini il Centro Studi del Vetro con 100mila documenti, quasi l’intero archivio dell’industria del vetro di Murano del XX secolo.

L’Isola di San Giorgio è il fulcro di Venice Glass Week, il festival internazionale di arte vetraria alla quarta edizione (5-13 settembre), che attira a Venezia, Mestre e Murano appassionati di tutto il mondo.

L’abitazione di Vittorio Cini a Venezia, con la sua bella collezione di arte in gran parte rinascimentale, è stata aperta al pubblico ed è un’attrazione molto popolare, anche perché a Venezia le case private visitabili sono pochissime.

La nomina a direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte di Luca Massimo Barbero, curatore di arte contemporanea di esperienza internazionale precedentemente alla Collezione Peggy Guggenheim, fa della Fondazione Cini un punto di riferimento serio e rigoroso nel mondo spesso appariscente e frenetico dell’arte contemporanea, specialmente durante la Biennale. L’anno scorso, per esempio, in concomitanza con la 58ma Esposizione Internazionale d’Arte, la Fondazione ha ospitato una grande e importante retrospettiva di Alberto Burri.

Il parco della Fondazione Cini custodisce il primo contributo del Vaticano alla Biennale d’Architettura del 2018: le cappelle-padiglione di famosi architetti tra cui Norman Foster, a cura di Francesco Dal Co e Micol Forti. Esempi di uso poetico di un paesaggio altrimenti monotono, sono state, del tutto inaspettatamente, le star di quella Biennale. Ora sono corredate da una colonna sonora composta appositamente da Antonio Fresa in collaborazione con la Cini.

Organizzatore dinamico e creativo, il segretario generale Pasquale Gagliardi, con il pieno sostegno del presidente della Cini Giovanni Bazoli (87 anni, banchiere bresciano), ha portato avanti un programma di conservazione e rinnovamento degli edifici in cui rientra un adattamento moderno e molto apprezzato di Michele De Lucchi, che ha trasformato la Nuova Manica Lunga (ex ala delle celle dei monaci) in una Biblioteca davvero elegante e d’avanguardia, valorizzando la fuga prospettica di mille metri di volumi a vista lungo il corridoio centrale. Nel 2010, lo stesso anno in cui è stata aperta la Nuova Manica Lunga, è stata inaugurata una foresteria con novanta posti letto per gli studiosi del Centro Internazionale per lo Studio della Civiltà Italiana «Vittore Branca» (già segretario generale della Fondazione).

Lo stato pietoso di molti archivi italiani e la rarefazione di istituti specializzati di storia dell’arte hanno fatto sì che la Fondazione Cini, con i suoi obiettivi morali e intellettuali e con i suoi standard di conservazione e accessibilità, abbia beneficiato di molte donazioni. La più recente consiste in 100mila pezzi del 1923-2007, provenienti dall’archivio del designer Ettore Sottsass, che è stato il primo archivio interamente digitalizzato di ARChiVe, un progetto ambizioso che coniuga tecnologica e conservazione del patrimonio culturale.

Fondato nel 2018, il Centro ARCHiVe Analysis and Recording of Cultural Heritage in Venice è una collaborazione con la Factum Foundation di Madrid e il Digital Humanities Laboratory dell’Ecole Politechnique Fédérale di Losanna, con sostegno finanziario dell’inglese Helen Hamlyn Foundation. Per gestire efficacemente le 730mila immagini della collezione fotografica di storia dell’arte della Cini, la Factum Foundation ha inventato uno scanner capace di scansionare a grande velocità entrambi i lati di ogni documento, che rivoluzionerà la documentazione digitale di archivi in tutto il mondo.

La Cini non solo tiene aperte le sue biblioteche otto ore al giorno affiché possano essere consultate gratuitamente dal pubblico, ma s’impegna a rendere tutte le sue collezioni consultabili su internet il più presto possibile. E invita il pubblico a interagire, com’è successo con il suo Atlante delle Xilografie italiane rinascimentali, curato da Laura Aldovini, David Landau e Silvia Urbini, online da quest’estate con la seguente postilla: «Per favore, fateci sapere se scoprite delle nuove xilografie».

All’avanguardia nelle possibilità digitali.Nel 2007, Gagliardi ha avviato la collaborazione con la Factum Foundation commissionando la copia perfetta dell’imponente dipinto delle «Nozze di Cana» del Veronese eseguito per la parete di fondo del refettorio di Palladio nel Monastero di San Giorgio. L’opera, trafugata da Napoleone, è conservata al Louvre, nella stessa sala in cui i turisti si accalcano per fotografare la Gioconda. Nel Monastero si può invece ammirare il «clone» del dipinto, senza folla e nello spazio per cui era stato pensato, illuminato dalla luce naturale che Veronese vedeva filtrare da quelle stesse finestre. Dopo avere esaminato scrupolosamente la copia, il curatore del Louvre disse: «Non solo è identica, ma mi ha fatto rivedere l’originale con occhi nuovi».

Questo primo progetto all’avanguardia della Fondazione Cini ha aiutato la Factum Foundation a diventare un punto di riferimento internazionale: il suo team è riconosciuto come quello dei più autorevoli professionisti specializzati nella conservazione digitale e nella realizzazione di facsimili di opere d’arte, oggi sempre più richiesti per conciliare il crescente desiderio dell’uomo di ammirare e «consumare» le meraviglie del mondo e la necessità di limitare il turismo per la loro tutela e salvaguardia.

Quest’estate, l’Isola di San Giorgio è stata al centro di un progetto visionario e ambizioso, che apre prospettive inedite per la conservazione dell’isola stessa ed eventualmente di tutta Venezia. L’inglese Adam Lowe e il suo team della Factum Foundation hanno completato una mappatura digitale interna ed esterna di tutti gli edifici, con una risoluzione così elevata da crearne una specie di avatar digitale. Per realizzarla è stato utilizzato uno scanner Lidar (Light Detecting and Ranging), talmente potente da penetrare le acque che invadono la cripta della chiesa e da registrare le iscrizioni collocate così in alto da non poter essere lette da terra.

Quando Factum, con l’ausilio di un drone, ultimerà le rilevazioni dei tetti, del parco e soprattutto della riva dell’isola durante le maree, la documentazione sarà completa e perfetta. Ma a che cosa serve? La risposta è semplice: poiché il livello del mare nell’Adriatico e nella laguna si sta alzando, questi dati saranno in grado di prevedere il raggio dell’ineluttabile invasione dell’acqua e dei danni che ne conseguiranno all’isola e ai suoi edifici.

«O Venezia, Venezia! Quando le tue mura di marmo saranno a livello delle acque, ci sarà un grido di nazioni sulle tue sale affondate, un forte lamento lungo il mare travolgente», scriveva Lord Byron abbandonandosi a una malinconia romantica, non immaginando che potesse davvero accadere. Adesso sappiamo che accadrà davvero se nulla cambia nella politica di gestione di Venezia. Le previsioni dell’autorevolissimo IPCC (Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici) non lasciano dubbi. Il grado d’innalzamento dell’acqua differisce a seconda dei possibili scenari, ma il rapporto 2019 è in tutti i casi desolante: «Il livello del mare continuerà a salire per secoli: potrebbe raggiungere circa 30-60 cm entro il 2100, anche se le emissioni di gas serra fossero drasticamente ridotte e il riscaldamento globale fosse contenuto ben al di sotto dei 2°C (già considerato un obiettivo quasi certamente irrealizzabile, Ndr), ma raggiungerebbe circa 60-110 cm se le emissioni di gas serra continuassero fortemente ad aumentare».

A un innalzamento assoluto di 110 cm (da non confondere con il livello medio del mare), Venezia sarebbe sott’acqua a ogni alta marea, ma i danni gravi ai suoi edifici si registrerebbero già a un livello molto più basso. Incredibile ma vero: il Governo italiano non ha in programma di affrontare la questione, forse a causa di un malinteso diffuso sul ruolo delle barriere mobili, che servono per fronteggiare eventi acuti, ma non possono essere la soluzione a questo problema cronico. Possono regalare solo qualche anno per mettere a punto una soluzione a lungo termine del problema del rapporto di Venezia con l’acqua.

Finanziamenti ed equilibri. Malgrado il suo prestigio, la Fondazione Giorgio Cini non è ricca. Il budget per tutte queste attività supera i 5 milioni di euro l’anno, di cui 3 milioni partono solo per la manutenzione dell’isola e dei suoi edifici. Trovare questo denaro è una lotta continua perché Vittorio Cini non ha lasciato una sostanziale dotazione di capitale e senza ricevere finanziamenti pubblici (se non per i lavori di conservazione strutturale), la Fondazione si finanzia con donazioni di istituzioni e di privati. Bazoli, tra le figure più influenti nel mondo della finanza italiana, ha assicurato un flusso regolare di finanziamenti pari a 500mila euro all’anno ciascuno da Intesa Sanpaolo, Assicurazioni Generali, Eni e Fondazione Cariplo, che rivestono anche un ruolo nel Consiglio Generale. Nel 2019 sono stati inoltre istituiti gli Amici di San Giorgio per ricevere donazioni da privati, aziende e istituzioni.

Finora i principali contribuenti sono Italgas, la Fondazione Virginio Bruni Tedeschi, la Pentagram Stiftung e il Rolex Institute. La Fondazione Cini può anche beneficiare delle donazioni del cinque per mille. E un plauso va fatto al Consiglio e Pasquale Gagliardi che non hanno mai voluto soldi dal Consorzio Venezia Nuova quando, nei primi anni 2000, erogava il suo «patrocinio» a tutti, dal presidente della Regione al patriarcato stesso sotto il Cardinale Scola.

Né riceve la Fondazione denaro da fonti politiche. Questa scelta è il pilastro portante della sua indipendenza, ma non rende la Fondazione popolare tra i politici locali, diffidenti nei confronti di un’istituzione su cui non possono avere alcuna presa. Il precedente sindaco Giorgio Orsoni (membro del Consiglio Generale per diritto istituzionale) aveva tentato di persuadere la Fondazione ad acconsentire all’estensione della darsena della Compagnia della Vela (di cui è presidente) con 300 nuovi posti barca su San Giorgio. Quando il Consiglio di amministrazione ha votato contro, è noto che Orsoni, malgrado il suo incarico nella stessa Fondazione, cercò di persuadere l’Agenzia del Demanio a non rinnovare alla Cini la concessione dell’isola e a concederla invece al Comune. Il tentativo non ebbe successo e recentemente il patto tra il Demanio e Fondazione Cini fu confermato per altri 19 anni.

Bazoli ha dichiarato che intende rimanere presidente fino a 95 anni ma inevitabilmente il Comitato Direttivo sta riflettendo sul dopo, quando non sarà più possibile contare sulla sua grande influenza nel mondo della finanza. Da una parte, la varietà dei temi trattati dalla Fondazione amplia le possibilità di raccolta fondi e il consigliere Marco Alverà, amministratore delegato della compagnia energetica Snam, afferma che si stanno cercando all’estero e in Italia importanti sostenitori a lungo termine. Dall’altra, la revisione ogni 19 anni del contratto tra Demanio e Fondazione rende difficile la pratica diffusa negli Stati Uniti e nel Regno Unito di intitolare al benefattore una stanza o un edificio, e ai grandi donatori piace acquisire almeno una parvenza di immortalità. Servirebbe un contratto con lo Stato di maggiore durata.

La Fondazione e il Patriarcato. Un altro motivo di preoccupazione è rappresentato dai rapporti tra la Fondazione e Francesco Moraglia, patriarca dal 2012, rapporti che oggi attraversano una fase difficile. Il patriarca non è stato contento di vedere la statua di Marc Quinn alta 3,5 metri raffigurante l’artista inglese Alison Lapper nuda, incinta, senza braccia e senza gambe, che la Fondazione Cini ha permesso di esporre in primo piano davanti alla chiesa di San Giorgio durante la Biennale del 2013.

E all’inizio di quest’anno la serie televisiva «Il giovane papa» diretta da Paolo Sorrentino è stata trasmessa con una scena introduttiva volgare in cui delle suore in camicia da notte si contorcevano sulle note di «Good Time Girl» di fronte a un grande crocifisso illuminato nel refettorio di San Giorgio. Don Caputo, portavoce del patriarca, con buona ragione ha commentato che questa scena era «offensiva, mancando oltretutto di un contesto narrativo che ne giustificasse la ragione e il contenuto». Inutile dire che questa scena non era prevista nel copione.

Il patriarca ha anche posto il veto a una donazione di materiale legato alla magia e alle scienze esoteriche, ignorando forse che il rispettabilissimo Warburg Institute di Londra include documentazione di questo tipo nella sua biblioteca perché considera che anche esso faccia parte della Geistesgeschichte (storia delle idee). Questa relazione tra Chiesa e la Fondazione dovrà essere ricostruita, non solo perché hanno entrambe una vocazione morale, ma perché altrimenti forze esterne potrebbero tentare di manipolare a proprio vantaggio l’influenza del patriarca nella Fondazione, alla quale servono consiglieri non politicamente motivati ma di grande statura intellettuale, oppure di chiara fama, o molto facoltosi e dunque in grado di appoggiarla.

La Fondazione dovrebbe inoltre impegnarsi di più a «fare sistema» con le istituzioni di Venezia per essere meno isolata. Il che non significa compromettersi. Come afferma Enrico Tantucci, giornalista di «La Nuova Venezia», anche l’imprenditore-collezionista François Pinault e il suo Palazzo Grassi erano stati dapprima oggetto di invidia e critiche, superate dopo aver condiviso l’uso del suo Teatrino all’Università Ca’ Foscari e all’Accademia di Belle Arti.

Un ruolo d’importanza mondiale. A breve si svolgerà un’importante riunione del Consiglio Generale, nella quale verranno fatte nuove nomine e prese decisioni strategiche. Marco Alverà è convinto che la Fondazione debba comunicare meglio a Venezia, all’Italia e all’estero la sua indubbia eccellenza: è un argomento d’importanza assoluta che catturerebbe certamente l’attenzione mondiale e aiuterebbe nella raccolta fondi. La Fondazione Cini è il luogo ideale per le indispensabili discussioni e decisioni sulla conservazione a lungo termine di Venezia: un foro neutrale e di grande prestigio dove il Governo e l’Unione Europea potrebbero formare un’alleanza per trovare finalmente una soluzione a questo travagliato problema.

L’Ue sta investendo mille miliardi di euro nel Green Deal e in quel contesto Venezia, in quanto la futura prima vittima europea dell’emergenza climatica, sarebbe di massima importanza simbolica. Un simile impegno onorerebbe i desideri di Vittorio Cini e garantirebbe alla sua Fondazione una duratura fama internazionale.

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