Nuovi ecosistemi ibridi per l’innovazione [di Federico Bomba]

ARTE

https://www.ilgiornaledellarte.com novembre 2020. Un network per la definizione di strategie nazionali sul tema arte e imprese, in linea con le dichiarazioni della Presidente della Commissione europea.

Il 30 ottobre, in occasione del simposio S+T+ARTS | Science, Technology & the Arts organizzato dal Centro di Cultura Digitale MEET con il supporto della Commissione Europea, si è svolto il tavolo di lavoro Policies & strategies: come è possibile favorire l’innovazione nelle aziende italiane attraverso gli interventi artistici?.

Sineglossa ha accolto la proposta di questo nuovo polo internazionale – in cui la tecnologia è pensata come risorsa per la creatività delle persone e il benessere dell’intera società – di riunire alcune delle più significative esperienze nazionali in un network composto da artisti, centri culturali, agenzie di trasferimento tecnologico, pubbliche amministrazioni, università e, naturalmente, imprese.

Quello che è emerso con forza dall’incontro è che, per rispondere a sfide complesse, c’è bisogno di ecosistemi complessi, che sappiano sprigionare il proprio vantaggio cooperativo. Come nell’introduzione al tavolo ha ricordato Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda, infatti, non dobbiamo dimenticare che nel nostro dna è inscritta l’esperienza dell’Umanesimo, in cui la classificazione illuminista che separava arte e scienza, pittura e matematica, era inapplicabile.

L’intelligenza artificiale, nelle parole di Andrea Bonarini, direttore del Robotics Lab del Politecnico di Milano, rappresenta in questo senso un campo di applicazione privilegiato in cui sperimentare, come nelle botteghe rinascimentali, la cross-fertilization tra umanisti, scienziati e decisori pubblici, per sviluppare una disciplina che prevede una ricerca sull’innovazione che vada ben oltre gli algoritmi, aprendo a questioni di carattere etico e sociale.

In questo caso, come in altri, le esperienze di contaminazione più significative sono primariamente appannaggio delle BIg Tech, che svolgono un ruolo importante, ma che hanno interessi spesso più inerenti al progresso piuttosto che allo sviluppo, per usare una distinzione di Pier Paolo Pasolini.

Proprio per indicare una strada tutta europea di sviluppo sostenibile, Ursula von der Leyen, ha lanciato di recente The new European Bauhaus Movement, ricordando che nel progettare il Green New Deal  l’Europa non dovrà dimenticare la sua straordinaria tradizione culturale.

Il futuro del nostro continente non potrà essere nelle sole mani degli ingegneri e dei tecnocrati, ma dovrà anche avere una forte componente estetica ed essere pensato in modo da non lasciare indietro nessuno, per un progresso che metta al centro le persone. E’ in questa cornice che la presenza al tavolo di artisti come Luca Pozzi, Roberto Pugliese o Fara Peluso, che si approcciano alla ricerca in perfetta sintonia con lo spirito leonardiano, è stata illuminante sulla superata distinzione tra arte e ricerca scientifica, anche applicata ai brevetti industriali.

Stefano Casaleggi, direttore di Area Science Park con grande esperienza nel mondo profit, è convinto che si innovi meglio in posti in cui gli artisti e i creativi siano coinvolti in maniera sistemica e non episodica. Nonostante questo, chi si occupa di cross-fertilization sa che in diverse nazioni europee sono attivi progetti pilota in cui spesso le imprese sono le organizzazioni più difficilmente permeabili: le ragioni di questa assenza e i modi per colmarla sono le questioni di cui si è maggiormente dibattuto.

Gli speaker condividono, infatti, la consapevolezza che diversi esperimenti di cross-fertilization, spesso finanziati pubblicamente per incentivare un nuovo modello di contaminazione, sono rimasti azioni senza continuità. Nonostante la soddisfazione da parte delle imprese coinvolte, come dimostrato anche dagli interventi di Giacomo Biraghi e Paolo Manfredi, rappresentanti di Confindustria e Confartigianato, ma anche dalla ricerca di Chiara Paolino su più di duecento corporate collections italiane, difficilmente si è riusciti a trasformare l’esperienza spot in un dialogo strutturato, probabilmente anche a causa di un recente passato in cui molte organizzazioni culturali hanno pensato le imprese come dei bancomat, alimentando mutue diffidenze.

Il dialogo intermittente con il mondo delle imprese non è però una questione aperta solo per i soggetti culturali, come testimonia Barbara Busi, Innovation Ecosystem Unit Manager di Arter Emilia Romagna, che da anni si occupa di costruire un ponte tra tecnopoli e imprese: gli stessi centri di trasferimento tecnologico e le Università fanno spesso difficoltà ad intercettarle.

Non si tratta, dunque, di una diffidenza verso il mondo dell’arte da parte dei manager e degli imprenditori. La sensazione è che molte imprese si percepiscano come dei sistemi autarchici che faticano a inserire l’open innovation nelle strategie aziendali e che ci sia quindi bisogno di un cambio di paradigma, portando avanti un lavoro di sensibilizzazione in cui le Pubbliche Amministrazioni possono giocare un ruolo cruciale, come emerso dagli interventi di Dario Sciunnach, della Direzione Ricerca e Innovazione della Regione Lombardia, e Renato Galliano, della Direzione Economia Urbana e Lavoro del Comune di Milano.

Se l’esperienza del Baltanlabs di Eindhoven raccontata da Lorenzo Gerbi  mostra che in altri Stati esistono degli ecosistemi già maturi e in grado di creare un ponte tra l’arte e il mondo delle imprese, anche in Italia ci sono spazi ibridi dislocati capillarmente nei grandi e nei piccoli centri urbani – vicini alle grandi aziende, ma anche alle pmi – che iniziano a facilitare questi incontri e sono motore di sviluppo economico e sociale per i territori in cui insistono.

Questi presidi fisici, come ha testimoniato la presenza di Nicoletta Tranquillo, co-fondatrice di Kilowatt, offrono uno scambio quotidiano e organico tra i diversi elementi del sistema, per cui sembra naturale immaginare che siano i luoghi in cui attivare politiche che incentivino una interazione continuativa tra artisti, soggetti pubblici, produttivi, del mondo nonprofit e della ricerca, in una costante ricerca di allargamento ecosistemico.

Si tratta di centri culturali, di innovazione sociale, di rigenerazione urbana, spesso con un carattere verticale specifico: l’ambiente, il digitale, l’educazione. Hanno in comune la conoscenza e la vicinanza delle proprie comunità di riferimento, l’eterogeneità e l’alto livello delle competenze, la presenza di changemakers nella loro community, di una governance resiliente e di un certo spirito ribelle.

Sono luoghi in cui ci si forma, si progettano e realizzano idee innovative, si fa smartworking, si mangia, si ascoltano i concerti e le conferenze, si produce coesione sociale, valore economico e a volte ci si innamora. La sfida cruciale è, dunque, capire come questi luoghi – che hanno sviluppato straordinarie competenze digitali in grado di fornire risposte creative e tecnologicamente avanzate alle trasformazioni alle quali stiamo assistendo – possano attivare una relazione continuativa con il mondo profit in ottica di partnership, affinché non si perpetui questa distinzione ormai superata tra chi produce valore sociale (il nonprofit) e chi produce economia (il profit).

E’ sulla scorta di queste consapevolezze che Simona Bielli ha raccontato di come Nesta Italia abbia deciso di strutturare City of the Future, il nuovo progetto di residenze artistiche piemontesi che prevede il partenariato con diversi centri culturali torinesi per lo sviluppo di soluzioni visionarie di social innovation che coinvolgano anche il mondo delle imprese.

In un mondo come quello in cui viviamo, in cui tout se tient, come sosteneva il linguista De Saussure, parallelamente alle politiche di inclusione delle categorie più fragili è importante………

* Co-founder Sineglossa

 

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