L’autunno, il barocco e la melagrana [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 26 novembre. La città in pillole. Chi più di Emily Dickinson, vissuta nell’assoluta sottrazione simile ad un’ininterrotta penombra autunnale, può aiutarci a intravvedere positività in quest’autunno incerto? “L’acero indossa una sciarpa più gaia/La campagna una gonna scarlatta/Ed anch’io, per non essere antiquata, mi metterò un gioiello”, scrive in L’estate è finita. Perché l’autunno è denso di attese e nel mondo contadino, da cui buona parte dell’umanità proviene, luogo di rinascita e di abbondanza. In Sardegna, dove massima è la conservazione di ogni archè, settembre, suo incipit, è capidanni, inizio dell’anno ma pure centro. Origine di ogni tempo avvenire, in osservanza del calendario bizantino ma in coerenza con i mille riti agrari che attraversano millenni, culture, religioni. Un caleidoscopio oggi appannato da mille sagre, messe indistintamente in sordina dalla pandemia. Comunque sia l’oggi, l’autunno è il tempo del lavoro, delle opere, della ricchezza. Ancor di più nelle comunità dove resiste la raccolta e la conservazione dei frutti, della legna per ogni fuoco, la vendemmia. Segnacoli potenti dell’incipiente inverno. Specie i frutti autunnali. In Sardegna tracciano alimentazione, immaginario, iconografia, tradizioni popolari, cultura materiale, e transumanze. Per capirne antropologie e simboli, bisognerebbe partire da lontano e da alcune opere di Caravaggio, sintesi di senso e madri delle future nature morte. Dalla Canestra di frutta alla Cena di Emmaus, capolavori e raffinato metatesto, che, attraverso significati e significanti, sono un dizionario dei principi della Controriforma, insegretiti nel realismo della rappresentazione. I frutti e l’abbagliante foliage, archetipo di ogni estetica, sono infatti summa delle interpretazioni dei testi testamentari. Non diversamente da quanto si rinviene nel barocco cagliaritano che recupera il simbolismo del cristianesimo primitivo, in cui ha perdurato intensamente l’antico. Ecco allora l’uva, intrinseca a Bacco, che si trasforma in un simbolo cristologico con l’immagine della vite e dei suoi tralci o del vino che diventa sangue di Cristo. Si potrebbe continuare con la mela, caduta e redenzione; la pesca; la mela cotogna, da sempre emblema di fertilità e di redenzione. Campeggia la melagrana, allegoria, specie se dischiusa, della chiesa dalle mille voci o di rinascita e fertilità. Specie ora perché non frequentare musei, chiese, campagne alla ricerca di questi indizi eirenici e beneauguranti?
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