L’insegnamento di Auschwitz Birkenau Dachau e anche di Srebrenica è ancora valido? [di Sergio Vacca]
ARBEIT MACHT FREI (Il lavoro rende liberi),è la scritta nella cancellata d’ingresso di Auschwitz, bugiarda e beffarda nei confronti di quel milione e oltre di persone, mandate a morire in questo e nel vicino campo di Birkenau. Polacchi, Ebrei, Sinti, Rom, e altre nazionalità. Uomini, donne, bambini. Umiliati, fino a cancellarne in vita la dignità, sfruttati con il lavoro fino massacrarli ed infine sterminati con i sistemi più brutali. A oltre settant’anni da quelle tragedie, che la mostruosa follia nazista ha perpetrato nel corso della Seconda Guerra Mondiale, mandando a morire oltre sei milioni di persone e che ha visto complice l’Italia fascista con le vergognose leggi raziali – dalle quali l’ erede di casa Savoia prende oggi le distanze – cosa rimane di quella memoria? Quali insegnamenti hanno tratto le generazioni al governo in Europa? Liliana Segre, che da adolescente dovette sopportare umiliazioni, offese, torture ed assistere alla morte dei suoi cari e di migliaia di altri esseri umani, a novant’anni, è la testimone di quelle tragedie. L’amore di suo nonno e di suo padre le hanno consentito di sopravvivere. La sua esperienza, lezione soprattutto per i giovani, è che “si sopravvive con la forza dei propri sentimenti della propria etica e della propria morale”. Ciò che va combattuta è l’indifferenza: “che è più colpevole della violenza stessa. E’ l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e gli altri orrori del mondo”. “La memora vale come un vaccino contro l’indifferenza”. Ma oggi, siamo esenti da apatia ed indifferenza? Con quale spirito assistiamo ai tantissimi esempi di violenza in ogni parte del pianeta? Ogni giorno, milioni di uomini, donne, bambini lasciano le proprie terre, divenute inospitali, per cercare migliori condizioni di vita in aree economicamente avvantaggiate, ovvero, per sfuggire ai tanti conflitti in atto nel mondo. Indifferenza e apatia sono i sentimenti prevalenti nei paesi ambiti dai migranti, dai profughi, dai rifugiati. Ma indifferenza e apatia, alimentati da politiche restrittive e miopi, spesso si manifestano con la violenza dei respingimenti indiscriminati, quasi sempre delegati alle forze di polizia. Esempi quotidiani riguardano anche nazioni est-europee. La cosiddetta “rotta balcanica”, alimentata dai conflitti nel vicino oriente, vede ogni giorno respingimenti violenti ai confini di nazioni appartenenti all’Europa Unita come la Croazia, l’Ungheria, la Slovenia, la Bulgaria, ma anche da nazioni come la Bosnia, che pur non facendo parte dell’U.E., usufruisce da questa consistenti, fondamentali aiuti economici. La memoria non appartiene a questi paesi, che in passato, dopo guerre fratricide, hanno goduto di rapporti privilegiati con l’Europa. Anche la Sardegna, a guerra appena terminata, aiutò la Bosnia a ricostruire il proprio tessuto economico-sociale con consistenti aiuti. Tale è il caso della costruzione di un potabilizzatore a Pale, Repubblica Serba di Bosnia, realizzata dall’allora Ente Autonomo del Flumendosa. La memoria, per questi paesi non è – per dirla con Liliana Segre – “un vaccino contro l’indifferenza”. Contro questa occorre combattere. Perché mai più si verifichino le tragedie di Auschwitz, Birkenau, Dachau, ma anche Srebrenica. La scuola e le amministrazioni locali, le più vicine ai cittadini, hanno una grande responsabilità. Bisogna ricordarsi di esercitarla tutti i giorni e non solo il Giorno della memoria- *Sindaco di Milis |