Lady Montagu e il vaccino del vaiolo [di Alessandro Banda]
https://www.doppiozero.com/materiali/. Milady Montagute, così la chiamava Pietro Verri, nel lungo saggio Sull’innesto del vaiuolo, che chiude l’ultimo numero del “Caffè” (1766). Montegù, semplicemente e senza articolo, così era invece per Giuseppe Parini, nella lirica dal titolo molto simile (L’innesto del vaiuolo, 1765) che apre la raccolta delle Odi, dove veniva paragonata addirittura a Cristoforo Colombo per analogo ardimento e sprezzo dei feroci critici. Lady Montagu: questo il suo vero nome. Anzi, per la precisione, Mary Wortley Montagu nata Pierrepoint, figlia del conte di Kingston. È una rappresentante privilegiata del Settecento, questo secolo elegante, frivolo, spregiudicato, vivace e spiritoso – e destinato a terminare in una carneficina generalizzata di teste tagliate. Era una donna nobile, intelligente, poliglotta. Si muoveva con agilità tra corti e salotti. Frequentava re e filosofi, sultane orientali ed enciclopedisti parigini. Nata a Thoresby Hall (Nottinghamshire) nel 1689 e morta a Londra nel 1762. Tra i due estremi anagrafici si dispiega una lunga vita avventurosa, ricca d’incontri e viaggi. A cominciare da quella che Maria Teresa Giaveri, la nota francesista curatrice dei Meridiani di Colette e Valéry e autrice di questo delizioso Lady Montagu e il dragomanno (Neri Pozza, 2021), definisce con spiccato senso dell’umorismo una “fuitina”. Eh sì, perché una donna nel Settecento, per quanto nobile, colta e poliglotta, era pur sempre una donna e doveva sottostare alla volontà del padre, quello che Lady Montagu stessa chiama “the disposer of me”. Ma lei si ribellò e nell’agosto del 1712 fuggì per sposare, contro il divieto paterno, Edward Wortley (Montagu), che aveva undici anni più di lei ed era bensì un partito adeguato al suo rango, anche se si era rifiutato con determinazione di intestare al futuro primogenito i beni dotali, secondo il desiderio del suocero. (Saggia decisione, solo che si pensi che questo primogenito, anche lui Edward, sarebbe riuscito un losco figuro di baro, avventuriero e falsario dissipatore). Lord Wortley era stato nominato ambasciatore a Costantinopoli e noi, attraverso le pagine di Maria Teresa Giaveri, che segue fedelmente il dettato delle lettere della sua eroina, possiamo ripercorrerne il tragitto. Il viaggio si svolse nel 1716. La carrozza dei coniugi Montagu è in Olanda ai primi d’agosto di quell’anno. Mary ammira le distese di tulipani, questo fiore gentile, che però alcuni decenni prima aveva provocato la rovina economica di molti, a causa della bolla speculativa legata ai suoi bulbi e al suo catastrofico esito. Del resto tutti quei tulipani sono come il presagio del periodo che si appresta a vivere a Costantinopoli, sotto Ahmed III, chiamato infatti dagli storici “era dei tulipani”. Le strade olandesi la colpiscono perché sono assai più pulite delle dimore private inglesi. Passando poi attraverso varie città tedesche, Mary annota che, mentre quelle libere sono belle e linde, esattamente come le olandesi, quelle che sono sotto il dominio di monarchi assoluti sono invece sporche e in cattivo stato: fanno pensare a povere donne di piacere, in cui il vizio si mescoli indistricabilmente alla miseria. La sosta a Vienna induce la nostra Lady ad acute osservazioni: le donne lì si caricano di pettinature inverosimili, dotate di strutture di garza e coperte di capelli finti, dato che è considerato segno di speciale bellezza avere la testa troppo grande per entrare in una carrozza. Nelle famiglie nobili viennesi non mancano cicisbei e amanti: la considerazione di cui gode una signora è notevolmente aumentata dal rango del suo amante, non certo da quello di suo marito. Una cosa del genere sarebbe scandalosa in Inghilterra. Conclusione: la morale e la religione, come la galanteria e la buona educazione, variano col variare dei climi e delle latitudini. Boemia, Ungheria, Serbia si rivelano altrettante tappe di desolazione da lasciarsi in fretta alle spalle. Da Belgrado in poi i Wortley Montagu sono scortati da un consistente drappello di Giannizzeri, la temutissima guardia personale del sultano. Costoro depredano senza pietà i contadini e, non contenti, impongono loro anche il pagamento del cosiddetto “denaro dei denti”, ossia un balzello sui propri denti, che hanno reso il grande onore ai villici di consumarsi divorando i beni loro rapinati. Nel maggio del 1717 i Wortley sono a Costantinopoli. Si stabiliscono nel quartiere di Pera, la zona delle ambasciate. È un luogo che ricorda da vicino la Torre di Babele: vi si parla turco, greco, ebraico, armeno, arabo, persiano, russo schiavone, valacco, tedesco, olandese, francese, inglese, italiano e ungherese. Ci sono bambini di tre o quattro anni che parlano italiano, francese, greco, turco e russo (di solito lingua delle balie). E pensare, osserva Mary, che certe dame inglesi sono così fiere se riescono a spiccicare appena qualche parola di francese e italiano! Anche l’aria, a Costantinopoli, ha il cangiante colore del camaleonte, almeno secondo quanto ne scrive il poeta, e storico, Kemalpaşazâde. L’incontro con l’Oriente genera pagine bellissime. A Sofia, “una delle più belle città dell’Impero”, Mary fa il suo primo ingresso in un bagno turco. Ciò che la sorprende è la gentilezza con cui le circa duecento donne presenti la accolgono. Nessuno di quegli ironici bisbigli o sorrisi sdegnosi che non mancano mai in Inghilterra quando qualcuno è fuori posto o non è vestito all’ultima moda. Anche i gesti di tutte quelle signore nude sono misurati e perfettamente naturali. Ingres si ricorderà di questa descrizione nell’elaborare il suo celebre dipinto. Pare che abbia anche ritratto (un ritratto assolutamente immaginario) Lady Montagu stessa in un angolo del quadro (tondo, veramente). Alla stessa spregiudicata indipendenza di giudizio sono affidate certe considerazioni sul velo integrale. Esso, secondo Mary, permette in realtà ogni licenza. Quella perpetua mascherata delle donne si traduce in una completa libertà. Ci sono gran dame che raramente fanno sapere chi sono ai loro amanti. Anche dopo sei mesi di relazione essi ignorano il loro nome. Se il primo hamam era stato a Sofia, anche la prima e celebre lettera sul vaiolo era stata scritta poco prima di raggiungere Costantinopoli, e precisamente a Edirne (o Adrianopoli). La famosa missiva all’amica Sarah Chisvell, che poi fatalmente del vaiolo fu vittima, venne scritta nell’aprile del 1717. In questo testo si fa per la prima volta menzione del metodo dell’inoculazione, detta anche variolizzazione, o, secondo Parini e Verri, innesto, con felice metafora botanica. Il vaiolo così fatale e frequente da noi, scrive Lady Montagu (che ne era stata colpita qualche anno prima e ne portava i segni indelebili sul volto senza ciglia) qui è reso del tutto inoffensivo dall’invenzione dell’inoculazione. Seguono pagine in cui il metodo è descritto. Ci sono delle vecchie che girano in settembre, finita la calura, con gusci di noce pieni di materia vaiolosa. Pungono chi ne faccia richiesta con un grosso ago e poi introducono nella vena tanto veleno quanto ne sta sulla punta dell’ago medesimo. Poi medicano la ferita con un pezzetto di guscio vuoto. Dopo otto giorni si vedono gli effetti della puntura: febbre che dura per due o tre giorni. Spunta qualche pustola. Ma poi, poco dopo, sparisce la febbre e anche i segni sulla pelle. Chi è stato inoculato non subisce più gli assalti della malattia. Ogni anno migliaia di persone si sottopongono al trattamento. C’è chi ha detto che lì con questo sistema si prende il vaiolo come da noi si passano le acque. Lady Montagu si propone di introdurre anche in Inghilterra questa utile scoperta, benché tema le resistenze dei medici: il vaiolo è una malattia troppo redditizia per le loro tasche; chi cercasse di mettervi fine si esporrebbe al loro sicuro risentimento. Comunque, già nel marzo del 1718, il primogenito Edward (il futuro scapestrato) fu sottoposto alla pratica, con l’ausilio del medico di famiglia, il dottor Maitland, il quale, dapprima recalcitrante, si farà poi paladino della causa nella madrepatria. È inutile aggiungere che tale procedura dell’innesto o inoculazione o variolizzazione ebbe fin da subito fierissimi oppositori. Una delle ragioni da loro addotte è che si affidava la salute dei cittadini a “chiacchiere di donne”. Lady Montagu avrebbe appreso l’esistenza dell’inoculazione da certe donne greche del suo seguito. In realtà il tramite delle sue conoscenze fu piuttosto un altro personaggio, che è poi il dragomanno del titolo del libro di cui ci stiamo occupando. Si chiamava Emanuel Timoni ed era appunto il primo dragomanno dell’ambasciata inglese a Costantinopoli. Resta da chiarire che s’intenda per “dragomanno”. Molto semplice: interprete. Dove però il senso da conferire a questa parola è più vasto di quello odierno; forse si potrebbe rendere meglio con “mediatore culturale” o qualcosa di affine. I dragomanni sono comunque figure indispensabili per qualsivoglia trattativa diplomatica, giuridica o commerciale. Timoni era di famiglia originaria di Genova, ma nato a Chios e laureato in medicina all’università di Padova. È lui che inviò nel 1713 una lunga lettera in latino alla Royal Society sulla pratica dell’inoculazione. Fu subito tradotta e pubblicata nelle “Philosophical Transactions” della prestigiosa società scientifica inglese. Il testo di Timoni è molto simile a quello della lettera di Lady Montagu. Ma non basta. C’è un altro medico, anche lui di formazione padovana, compagno di studi di Timoni, che scrisse, nel 1715, un volumetto in latino dall’eloquente titolo: Nova et tuta VARIOLAS Excitandi per Transplantationem Methodus… il cui contenuto è sempre quello, il “favoloso innesto”. Il nome di questo medico, veneziano di Cefalonia, Jacopo Pilarino. Sia l’opera del dragomanno Timoni (che di lì a poco si suicidò “per malinconia”) sia quella del clinico Pilarino non suscitarono alcuna eco. Furono seppellite, come scrive Maria Teresa Giaveri con espressione di largo uso odierno, da una compatta e spessa massa di “assordante silenzio”. Nel frattempo i Montagu, anche in seguito agli intrighi di un rivale di Edward, l’infido e perfido Abrahm Stanyan, che ne prese il posto di ambasciatore, dovettero lasciare Costantinopoli. Ai primi di giugno del 1718. Di lì a poco, nella primavera del 1721, in Inghilterra scoppiò una nuova epidemia di vaiolo. Mary fece praticare l’inoculazione alla sua secondogenita di tre anni. Il medico era sempre Maitland, che compì dunque, alla presenza di due suoi colleghi, la prima variolizzazione su suolo inglese. La voce si sparge. Anche la Principessa del Galles, Caroline di Ansbach, futura regina e buona amica di Lady Montagu se ne interessa; al punto da voler far inoculare la sua stessa prole. Il medico di corte, Sloane, è cauto: prima è meglio sperimentare il metodo su alcuni condannati a morte. La riuscita è felice. La Principessa del Galles si può accontentare. Tutto ciò è raccontato anche da Voltaire nelle sue celebri Lettres Philosophiques (o Anglaises) del 1734. Egli sottolinea il paradosso della pratica dell’innesto: questi “pazzi” Inglesi provocano il vaiolo ai loro figli per impedir loro di averlo. Causano una malattia certa, per prevenire un male incerto. Ma è meglio il loro coraggio rispetto alla vigliaccheria degli altri europei che, temendo di far un po’ di male ai figli, li espongono a sicura morte per vaiolo. Voltaire attribuisce l’origine del metodo a certe donne circasse. Come poi farà anche Parini (“di femmineo merto/tesoreggia il Circasso”). Dove ciò che va rilevato è che i presunti barbari sono in realtà molto più evoluti di noi. (Ancora il Parini: “popol che noi chiamiamo barbaro e rude”). Negli stessi mesi in cui l’epidemia divampa in Inghilterra, anche nella colonia americana del New England, a Boston, infuria il vaiolo. E qui uno dei fautori del metodo dell’inoculazione è, con nostra grande sorpresa, il pastore protestante Cotton Mather. Sì proprio lui, uno dei più feroci ispiratori della caccia alle streghe e ai processi di Salem di qualche anno prima. Eppure ora è grazie a lui, e al chirurgo Zabdiel Boylston, che prende piede nel New England la nuova prassi medica. Curiosa inversione di ruoli all’interno di una sola figura: prima campione di oscurantismo e poi di illuminismo! Ma se in Inghilterra, pur tra forti contrasti e vivaci opposizioni, l’inoculazione via via si afferma, nel resto d’Europa saranno necessari almeno altri quarant’anni e parecchie vittime illustri, come, nel 1774, lo stesso re di Francia, Luigi xv. Subito dopo il suo decesso, il nuovo re, Luigi xvi, si farà inoculare, e con lui i suoi fratelli. Tra i coraggiosi e tenaci sostenitori dell’innesto va menzionato almeno il matematico e geografo Charles Marie de La Condemine. È suo il paragone tra la nuova prassi e il gioco del lotto. Si tratta di un lotto forzato. Ognuno ha il suo biglietto. Ogni anno si fa l’estrazione di un certo numero di nomi ai quali tocca il premio della morte. Ma con l’inoculazione si mutano le condizioni di gioco e diminuisce il numero delle polizze funeste. Prima era fatale una su dieci. Ora non ne resta che una su cinquecento. E poi non ne resterà che una su mille. La natura ci decimava. L’arte ci millesima. E tutto ciò, grazie a una donna sagace e avventurosa, Lady Montagu, di cui il libro racconta poi la libera vita, tra i suoi amori per il presunto conte Algarotti, i suoi soggiorni incantati in Italia, a Lovere “il posto più romantico del mondo” e Venezia dove “ciascuno vive come gli pare”, fino alla dipartita, a Londra, come sappiamo, il 21 agosto del 1762. Al di là delle ovvie connessioni con l’attualità, ciò che più colpisce nelle vicende di Lady Montagu, briosamente narrate da Maria Teresa Giaveri, e che riassume forse il senso di tutta la sua esistenza, va trovato, crediamo, in queste parole di una lettera del maggio 1718: “cerco… di fare come ho sempre fatto finora con i brutti scherzi che mi ha giocato la vita: trarne partito, se possibile, per mio diletto”. |