Pandemia e dintorni, i-stanze per abitare [di Ilaria La Corte]
https://ilgiornaledellarchitettura.com/ Marzo 2021. Quattro libri riflettono sugli impatti del Covid attraverso cronache domestiche, note ironiche e surreali, visioni progettuali e letture critiche. La riflessione sugli impatti del Covid-19 sta producendo un’esplosione di studi e ricerche, libri e saggi, diari e raccolte: racconti plurali della casa che sarà (o perlomeno di come pensiamo che potrà essere). In questo ricco repertorio, alcune recenti pubblicazioni hanno il merito di offrire – attraverso strumenti alternativi come cronache domestiche, note ironiche e surreali, visioni progettuali, letture critiche – molteplici punti di vista sulla percezione modificata dei luoghi dell’abitare, aprendosi così a scenari futuri. A partire dalle parole. “Questo libro è una casa”. Da questa premessa si muovono Federico Bilò e Riccardo Palma, curatori de Il cielo in trentatré stanze. Cronache di architetti #restatiacasa (LetteraVentidue, collana Research, 2020, 164 pagine, 18 euro). Già nel titolo, attraverso l’uso dell’hashtag, viene esplicitato l’intento della pubblicazione di proporsi come aggregatore tematico per architetti e studiosi “restati a casa” durante le settimane del lockdown della primavera 2020. Facendo coincidere contenitore e contenuto, i due architetti e docenti mettono a punto un originale contributo sul tema dal valore decisamente evocativo. Lo fanno parlando di casa all’interno di una casa (virtuale, appunto) composta da 33 stanze, tante quanti sono gli autori dei testi. “In ciascuna stanza un architetto racconta la sua casa e in ciascun racconto sono evocate altre case. Perciò questo libro è (almeno) una casa alla trentatreesima potenza”. Le riflessioni, oltre a rappresentare un prezioso contributo in termini di narrazione dello spazio domestico, sono in grado di attivare una serie d’immagini appartenenti a un patrimonio letterario e cinematografico che per anni ha strizzato l’occhio al tema della reclusione. “Rinchiudere nelle proprie abitazioni una moltitudine di architetti progettisti e studiosi di architettura, come è successo a causa della pandemia…” sembra dunque essere “… l’occasione – irripetibile (speriamo), date le circostanze che l’hanno prodotta – per proporre ad una parte (purtroppo necessariamente limitata) di questi prigionieri-architetti di restituire le loro osservazioni scritte e disegnate sulle architetture che abitano e che li circondano”. I testi (eterogenei, ma coerenti per lunghezza e composizione della pagina) sono organizzati in 6 sezioni che corrispondono ad altrettante tipologie di spazi domestici (studioli, stanze, corridoi, finestre, giardini, cortili). Ciascun testo è corredato da un apparato iconografico di foto, schizzi e disegni degli stessi autori, a consolidare il binomio tra pensiero e immagine. Il risultato è uno sguardo critico, a volte impietoso, sul proprio habitat e più in generale su quel modo di abitare funzionalista che caratterizza la maggior parte delle nostre case e che si è rivelato inadeguato quando si è reso necessario ibridare l’uso degli spazi domestici facendoli incontrare con quelli pubblici. Condivide lo sguardo – dalla leggerezza solo apparente – l’amara e pungente ironia di Christian De Iuliis ne L’Architemario in quarantena. Prigionia oziosa di un architetto (pubblicato in proprio, 2020, 158 pagine, 12 euro, amazon.it/larchitemario). L’autore della nostra rubrica “L’archintruso” ha scritto, durante la cattività pandemica, una serie di brevi capitoli che, tra visioni surreali, vaticini, riflessioni, motteggi e classifiche di oggetti, azioni e comportamenti, ripercorrono le idiosincrasie e le frustrazioni dell’architetto medio, recluso tra le mura domestiche. Il titolo costituisce il sequel della prima uscita: L’Architemario. Volevo fare l’astronauta (con illustrazioni di Roberto Malfatti, Overview Editore, 2014, 160 pagine, 18 euro). Unisce alla riflessione critica l’aspetto progettuale-costruttivo Alessandra Coppa nel suo Architetture dal futuro. Visioni contemporanee sull’abitare (24 Ore Cultura, 2020, 160 pagine, 32 euro). A parlare non sono più 33 autori del mondo accademico italiano ma 15 archistar e grandi studi internazionali (da Odile Decq a Norman Foster). Se la dimensione iniziale è analoga a quella di Bilò e Palma (“Si prospetta una fase nuova con nuovi spazi abitativi senza uso predefinito, per poter adattare l’alloggio a differenti stili di vita?” si chiede nell’introduzione l’autrice, ipotizzando anche una risposta: “forse l’ideale sarebbe creare progetti di architettura senza costruire, o pensare a progetti “temporanei”: architetture mobili o con un arco di vita prestabilito, a scadenza, che prevedano uno smantellamento”), le risposte sono più muscolari con visioni assai eterogenee in forma di brevi testi scritti, tesi a conferire nuovi significati a progetti recenti, realizzati e non, riccamente illustrati con grandi immagini a colori, all’interno di una originale confezione del volume, con copertina in cartone e buco centrale a rappresentare il futuro. Si torna in un ambiente accademico e alla medesima casa editrice con Covid-Home. Luoghi e modi dell’abitare dalla pandemia in poi (LetteraVentidue, 2020, 96 pagine, 9,90 euro). Il volume, tascabile, curato da Michela Bassanelli, si fonda sui contributi di architetti, studiosi e designer (molti del Politecnico di Milano): una discussione libera con 10 testi di 12 autori che, con approcci molteplici, attraverso i temi degli interni domestici e delle politiche legate al progetto dell’abitare, si spingono a indagare la relazione che s’instaura tra la città e la casa in tempi di pandemia. La chiave di lettura che unisce le 4 pubblicazioni sembra essere quella capacità critica di osservare il proprio spazio abitativo che, se opportunamente stimolata – come la condizione di confinamento ha fatto -, può attivare un processo di memoria in grado di ridefinire strumenti e riferimenti progettuali per il futuro. Il saggio di Imma Forino in Covid-Home (dal titolo Intermittenze della memoria, per il domani) diventa centrale in questa prospettiva: “In fondo, queste intermittenze della memoria rammentano alcune delle risposte già date tempo addietro dai progettisti agli interrogativi del presente, ma molto altro resta da immaginare per le abitazioni contemporanee qualora dovessero ancora sottostare alle pressioni dell’emergenza e alla forzata convivenza, specie se in pochi metri quadrati”. Progettare la casa post-Covid non vorrà dire, quindi, pensare a una nuova casa ma semplicemente attingere a quell’inaspettato bagaglio di esperienze fatte nelle nostre abitazioni, durante la permanenza forzata. E non solo di spazi abitativi si parla: il confinamento in casa ha infatti accentuato la necessità di ripensare profondamente i limiti tra privato e pubblico, Estia e Hermes come scrive Michela Bassanelli, citando Marc Augé. Quello dell’habitat non è quindi un problema circoscritto alle mura domestiche; come ci ricordano Bilò e Palma, il cielo in 33 stanze altro non è che la proiezione della città fuori, alla quale guardiamo attraverso il filtro delle nostre finestre. Fare pace con le nostre case, imparando a ri-abitarle, ci aiuterà dunque a vivere in modo nuovo anche le nostre città. *Dopo la laurea in Architettura all’Università di Roma Tre prosegue la formazione professionale in Portogallo, dove vive e lavora. Dal 2017 svolge attività di ricerca come dottoranda presso la Facoltà di Architettura dell’Università di Porto (FAUP), in co-tutela con lo IUAV di Venezia, con una tesi sui temi del dibattito architettonico internazionale, tra gli anni cinquanta e settanta, riletti attraverso l’opera di Giancarlo De Carlo e Nuno Portas. Dal 2015 svolge attività di supporto alla didattica presso il Politecnico di Milano nell’ambito della progettazione architettonica e urbana
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