Progettare il futuro per chi verrà [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 1Aprile. La città in pillole.  Nel tempo in cui il fulcro della cristianità è privato dei riti in cui il redento e il redentore sono equiparati dalla morte, diventa terapeutico recuperare il senso della parola pascha che connota in Sardegna la resurrezione di Cristo ma anche altre scadenze religiose.

La parola assume l’accezione di festa che, nel mondo romano, era giorno in cui, per celebrare il culto, si sospendeva persino il potere giudiziario.

Ma il significante pascha, in ebraico da cui origina, ha il significato di andare oltre, che appare almeno rassicurante. A scavarlo, si discosta poco dall’ascrizione al greco patire, connotante la pasqua cristiana.

Come agire pascha, nei tempi che oggi ci sono dati? Progettando, per le generazioni a venire, e abitando la visionarietà e la prassicità necessarie per oltrepassare quanto accade e chi ne è, pro tempore, referente. E’ già accaduto.

La Sardegna e Cagliari perciò devono mettere mano ad un progetto di rigenerazione, ripartendo dal Betile, il Museo Nazionale dell’Arte Nuragica e dell’Arte Contemporanea del Mediterraneo. Non solo per riguardare i fondamenti stessi della Sardegna e della percezione della stessa ma per porsi domande improcrastinabili.

In primis cosa sia per un sardo il contemporaneo in quanto modernità e cosa siano i luoghi, materiali e immateriali, dell’auto riconoscimento.

Domande problematiche anche per le ossessioni autoreferenziali che portano alcuni a sostenere le cause del nuragico, altri del prenuragico, altri ancora del minerario o del romanico, e a seguire dei furratroxus e del paesaggio rurale. E via a compartimentare la Sardegna che attende che il PPR la ricomprenda tutta per tutelarne il paesaggio nella sua interezza in virtù dell’art.9 della Costituzione.

La realtà attuale riferisce infatti che il nuragico vive una superficiale volontà di riconoscimento, confermata non solo dalle quotidiane pratiche di disconoscimento ma anche da narrazioni che trascendono la storicità.

Da tempo la consolidata enfasi, di fatto negazionista, reifica lo stesso oggetto/totem. Negazione aggravata dall’insistita antitesi tra urbano e nuragico, secondo una vulgata pseudo identitaria mai seriamente contradetta; tra città e campagna, tra classico e anticlassico, e via contrapponendo.

Ecco perchjè il Museo Betile deve nascere tematizzando questa sottile linea d’ombra, come opportunità di ricostruzione. Fu progettato per Cagliari non in quanto capoluogo, ma perché il suo golfo fu – e potrà tornare ad essere – per le genti del Mediterraneo la grande porta della Sardegna.

 

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