Rivoluzioni e nuovi paradigmi [di Maria Antonietta Mongiu]

Vaso-dei-Guerrieri-reperto-miceneo-del-XII-secolo-a.C

L’Unione Sarda 8 aprile 2021. La città in pillole.  Ci sono eventi che diventano epocali anche nell’archeologia se modificano paradigmi consolidati. Si tratta di “scoperte” fondative solo quando vengono “riconosciute”. I percorsi del riconoscimento sono complessi e abbisognano di lunghe fasi anche se talvolta godono di improvvise accelerate dopo travagli, commisurati al profilo degli attori della modifica.

Ma cos’è un paradigma? Cosa in ambito archeologico? Come inerisce nella percezione di un periodo o di un luogo? Quali traiettorie tracciano le discontinuità? Quanto la mutata percezione incide nel futuro di un popolo o di un territorio?

Per intenderlo, non è necessario scomodare Platone o Aristotele che fanno coincidere il termine col modello assoluto, o Pausania che, nel II secolo nella Guida della Grecia, esemplifica come attraverso i reperti di una sepoltura si riconoscano preesistenti antropizzazioni che cambiano l’interpretazione di un luogo e, di conseguenza, un consolidato paradigma storico fino al momento della scoperta.

Ma è il pensiero di Thomas Kuhn a soccorrere chi fa ricerca scientifica che è, necessariamente, oltrepassabile nelle sue acquisizioni. Per l’epistemologo americano, un paradigma definisce le teorie riconosciute di una disciplina, assurte a modello condiviso.

I mutamenti diventano “rivoluzioni scientifiche” perché il progresso scientifico è un’altalena tra una scienza normale/convenzionale e le “rivoluzioni” che scaturiscono da variazioni di un paradigma che nel tempo diventino epocali.

Quando M. L. Ferrarese Ceruti, per tornare all’incipit, iniziò nel 1979 lo scavo nel Nuraghe Antigori di Sarroch, non sapeva, per dirla con il vocabolario di Kuhn, che stava passando dall’accettazione di un paradigma che voleva il periodo nuragico tutt’altro che interconnesso a quello di una fase tra le più dialettiche del Mediterraneo.

Da una “scienza normale” all’”osservazione delle anomalie” nel nuragico!

Ne ebbe riscontro nl 1980 quando pubblicò, nei Rendiconti dei Lincei, i materiali micenei di quello scavo e del vicino Domu s’Orku, ipotizzandovi un emporio. Nello stesso volume altre due archeologhe, F. Lo Schiavo e L.Vagnetti, con i materiali del Golfo di Orosei tracciarono con lei la “rivoluzione scientifica”, ribaltando un paradigma.

La Sardegna fu irreversibilmente nel mondo e nelle intense dinamiche del II millennio a. C.. Sarà memorabile quando nel Museo di Sarroch, nel Museo Nazionale di Cagliari, nel Betile di Sant’Elia la “rivoluzione scientifica” operata da tre donne sarà raccontata.

Lascia un commento