Così i musei diventano beni primari [di Maria Antonietta Mongiu]

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L’Unione Sarda 15 aprile 2021. La città in Pillole. In queste note capita di tirare in ballo il pensiero di Thomas Kuhn per cercare di tematizzare il negazionismo sulle vicende dell’isola che spesso si accompagna a narrazioni mitopoietiche. Un tentativo di ricondurre la storia antica della Sardegna a quanto la ricerca scientifica con le sue pratiche cerca di appurare.

La scorsa settimana, l’utilizzo delle categorie del fisico statunitense riguardava il cambiamento della percezione sul periodo dal XVIII al VI secolo a.C. che, in Sardegna, è definito nuragico. Corrisponde, nelle classificazioni più universali, all’età del bronzo e del ferro; ricche di infinite declinazioni, a secondo dei luoghi e delle geografie. L’accumulazione e l’uso di tante definizioni ha creato col tempo una babele di linguaggi dalla difficile decodifica e in cui è complicato orientarsi.

Lo si appura negli allestimenti di musei e di monumenti dove la quantità dei reperti, più simile al modo in cui nelle credenze di casa stipiamo chicchere e piattini, e gli apparati didascalici rendono le esposizioni incomprensibili.

Prima di destinazione turistica per i luoghi si dovrebbe parlare di destinazione culturale. I luoghi della cultura, sul piano dell’informazione e della comunicazione, soffrono infatti, per richiamare Thomas Kuhn, di paradigmi che di fatto disconoscono le rivoluzioni scientifiche intercorse nella museografia e nei contenuti storici.

I nostri musei, come il nostro patrimonio, non sono diffusamente veicoli di formazione. Sono afasici. Diventano pertanto, nell’immaginario collettivo, inutili. Se così non fosse, l’opinione pubblica non avrebbe sopportato di esserne privata tanto a lungo.

Ci si deve interrogare come utilizzare questo tempo per farli diventare indispensabili. Intanto prendendo atto della crisi di paradigma e ribaltarlo. Come? Una risposta possibile nell’insuperato romanzo “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” di Robert M. Pirsig che si interroga su cosa sia la bellezza. Indaga sul suo contrario ovvero sulla bruttezza che non è necessariamente nelle cose ma nella relazione distopica tra queste e coloro che le producono o che le usano.

Cagliari è città di musei ma perché lo sia realmente è necessario attivare una solida relazione tra questi e i cittadini con pratiche di identificazione e di presa in carico. Sarà esemplare quanto il Museo Archeologico nell’immediato promuoverà e quanto la rete dei musei civici dove stanno accadendo cose interessanti.

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