Gramsci, le carte con i retroscena del suo attesto [di Gianni Marilotti]

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il Fatto Quotidiano 25 Aprile 2021. “Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per venti anni”: così il pubblico ministero concludeva la sua requisitoria al processo che decretò la condanna di Antonio Gramsci dinanzi al Tribunale speciale fascista.

Mai divieto fu meno efficace: nel dominio dove non comandano le catene, ma solo la libertà di pensiero, l’ordine espresso da Mussolini non poteva essere eseguito ed il detenuto n. 7.047 a Turi partorì quegli straordinari manoscritti diventati i “Quaderni del carcere”, un’opera tradotta in tutte le lingue e ancor oggi oggetto di riflessioni e approfondimenti da parte di studiosi dei cinque Continenti.

A distanza di un secolo, c’è ancora tanto da scoprire, intorno alle vicende che portarono Gramsci nelle carceri fasciste: quando il 9 novembre 1926 fu approvato dalla Camera l’ordine del giorno di Augusto Turati, che decretava la decadenza dei deputati aventinisti e comunisti, l’onorevole Antonio Gramsci già languiva da ventiquattr’ore nel carcere di Regina Coeli a Roma.

Per compiere questo atto illegittimo, non poteva non esservi la complicità del primo garante dell’assemblea di Montecitorio: quell’Antonio Casertano che – già da presidente della Giunta delle elezioni – aveva cercato invano di interrompere la denuncia di Matteotti, nella seduta dell’Assemblea del 30 maggio 1924. Quello stesso Casertano che, il 29 aprile 1926, succeduto a Rocco come Presidente della Camera, osò pronunciare un beffardo necrologio di Giovanni Amendola – definito “infermo di un male che non perdona” – nel dare l’annuncio del suo decesso all’estero, in realtà dovuto alle percosse inflittegli dai fascisti a Serravalle Pistoiese.

Eppure, fallito l’Aventino, era ancora in Parlamento che andava cercata la sede pubblica per la denuncia del regime: il pestaggio con cui era stato accolto il tentativo di rientro in Aula degli aventinisti, il 16 gennaio 1926, affidava questo compito ai soli deputati comunisti. La sera dell’8 novembre 1926, Antonio Gramsci comparve a Montecitorio e, unitamente ad alcuni colleghi, tenne una riunione del gruppo comunista per prepararsi alla seduta dell’indomani.

In Assemblea, le opposizioni avrebbero avuto il proscenio, per la prima volta dopo due anni, poiché si sarebbe discussa la legge che avrebbe decretato la proscrizione definitiva dei partiti politici. Era evidente che – per i deputati riuniti intorno a Gramsci – sarebbe stata la lotta per la vita; confidavano che la stampa internazionale accreditata a Montecitorio avrebbe rilanciato la denuncia all’opinione pubblica internazionale. Sarebbe stata un’insperata replica del grande sdegno suscitato nel Paese per il rapimento e il ritrovamento del cadavere di Matteotti in seguito al suo vibrante discorso in aula.

Per impedirlo, occorreva uno scacco in due mosse: la prima era di equiparare i deputati aventinisti (da far decadere per la “riprovevole” condotta di conservare le prerogative “senza esercitare il mandato” parlamentare) ai deputati comunisti. Il giurista e massone Casertano si incaricò di argomentarla, il giorno dopo in Aula, dimostrando quanto fossero profetiche le parole di Gramsci, nell’unico discorso parlamentare che gli fu concesso di pronunciare pochi mesi prima, allorché dichiarò che la massoneria sarebbe passata in massa al fascismo.

Quanto fosse fragile la motivazione del presidente della Camera è evidente, poiché Mussolini, la sera dell’8 novembre, verso le ore 20 chiamò a palazzo Chigi Farinacci e Augusto Turati e comunicò loro che bisognava aggiungere all’elenco i deputati comunisti. Farinacci fece presente che l’ordine del giorno motivava l’espulsione con l’abbandono, da parte degli aventiniani, dei lavori parlamentari, mentre i comunisti vi avevano preso parte. Mussolini rispose che la Corona voleva così.

Nel dopoguerra Vittorio Emanuele III tentò una difesa – dall’accusa di aver favorito la fine, anche formale, della democrazia parlamentare in Italia – confondendo ad arte la decadenza del 9 novembre con l’entrata in vigore delle leggi liberticide che reintroducevano la pena di morte. Lo scopo del re, tre volte traditore, era di rivendicare indirettamente, ancora nel 1945, una fasulla agevolazione della fuga in Francia dei capi dell’opposizione. Ma questo discorso comunque non vale per i comunisti, che ben prima erano stati messi saldamente ai ferri.

La seconda mossa fu, infatti, ancora più sleale: finita la riunione di gruppo, i deputati comunisti furono seguiti ed arrestati, in violazione dell’immunità parlamentare che lo Statuto albertino garantiva. Finora su questo evento odioso avevamo solo la testimonianza di Gramsci: “Ustica, 19 dicembre 1926. Carissima Tania, arrestato l’8 sera alle 10 e mezzo e condotto immediatamente in carcere” (Lettere dal carcere).

Quella sera furono arrestati e condotti al carcere giudiziario, a disposizione dell’autorità di PS lui e i suoi compagni, secondo il memoriale difensivo. Sull’ora dell’arresto sappiamo che dalla sua casetta di via Morgagni, dove abitava, Antonio Gramsci, alle ore 22.30 esce ammanettato.

Ora leggiamo direttamente sul foglio matricolare che l’ingresso dei deputati nel carcere di Regina Coeli fu anticipato di una notte: ulteriore dimostrazione che i preziosi tesori documentali dell’Archivio di Stato di Roma meritano di essere valorizzati, vieppiù quando si collocano sulla direttrice istituzionale.

La Commissione per la Biblioteca e l’Archivio storico del Senato, che mi onoro di presiedere, con l’attività programmata per l’immediato futuro si farà carico di tutte le sinergie possibili, per consentire al grande pubblico di fruire di testimonianze importanti della nostra storia.

Nell’anniversario del martirio di Gramsci, non può mancare un riconoscimento ulteriore, di cui questo ritrovamento è testimonianza: la simbolica riattribuzione al grande pensatore sardo della sua dignità parlamentare violata.

La medaglietta di deputato, che nel momento dell’arresto non servì ad impedire la violazione statutaria, sia coniata di nuovo per la Casa Museo di Antonio Gramsci: il monumento nazionale a Ghilarza in Sardegna, nel quale l’amatissima madre visse l’umiliazione della notizia del figlio detenuto, riceva dal Presidente della Camera dei deputati questa simbolica restituzione dell’onore di rappresentante eletto del popolo.

2 Comments

  1. Mario Pudhu

    Giustu!!!
    Onore a Antoni Gramsci onore de s’Umanidade!

  2. Felice Di Maro

    Ho letto per caso quest’articolo ed è stato interessante. Non sono un cultore delle opere di Antonio Gramsci ma conosco alquanto la sua storia e penso che meriti di essere approfondita. Il Senatore Gianni Marilotti sul suo arresto scrive:

    «Finora su questo evento odioso avevamo solo la testimonianza di Gramsci: “Ustica, 19 dicembre 1926. Carissima Tania, arrestato l’8 sera alle 10 e mezzo e condotto immediatamente in carcere” (Lettere dal carcere)».

    Come l’articolo del Senatore mette in evidenza non è una cosa da poco e davvero si spera di poter disporre della documentazione citata. Cosa sia stato il fascismo lo sappiamo bene ma come ha agito no, e spesso si rilanciano approssimazioni senza documentazione. La ricerca deve continuare. Grazie per aver postato quest’articolo.

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