Roma: la Rinascente e quell’idea di restauro alla Viollet-le-Duc [di Lucio Bove]

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https://ilgiornaledellarchitettura.com/2021/06/07. 23, 37 milioni e 2050+ sono le date, la cifra e il nome per un contemporaneo approccio all’edificio della Rinascente di piazza Fiume, progettato da Franco Albini e Franca Helg. Lo studio multidisciplinare di Ippolito Pestelli Laparelli 2050+ curerà i lavori per far tornare il grande magazzino a essere “un attore determinante nel centro storico”, come affermato dall’amministratore delegato di Rinascente, Pierluigi Cocchini.

Con la Rinascente, progettata a partire dal 1957 e realizzata nel biennio 1960-61, lo studio milanese, nato nel 1951 dal sodalizio tra l’artigiano Albini (come preferiva autodefinirsi) e la Gran dama dell’architettura, inaugura una felice stagione dell’architettura e urbanistica italiana: il negozio Olivetti a Parigi del 1958, il Museo di Sant’Agostino a Genova (dal 1956-86), il quartiere di Piccapietra a Genova del 1964, il Museo degli Eremitani di Padova (1969-70) e numerosi altri interventi.

L’edificio di piazza Fiume rispecchia il modus operandi dello studio: ragionare per massima semplicità, eliminando formalismi e aggiunte superflue. Il linguaggio espressivo, funzionale, si ricollega alla formazione razionalista degli anni giovanili di Albini – il rapporto con Edoardo Persico e l’attenzione per i dettagli, specialmente negli allestimenti, e il rigore strutturale di Giuseppe Pagano misto all’eleganza materica – per poi calarsi nella realtà romana degli ultimi anni cinquanta: l’economia è in continua espansione, la capitale è una metropoli cosmopolita recettiva che guarda al modello nord-europeo e statunitense dei grandi magazzini.

Prospiciente le mura Aureliane, l’immobile è realizzato in base ai vincoli del Piano regolatore, il quale imponeva precisi spazi e volumi “che suggerivano di riprendere simmetricamente nella facciata di testa la linea degli edifici preesistenti” (“Cronache Rinascente Upim”, anno XV, numero XV, 1961), vincoli di destinazione (vasti locali non frazionati e la decentralizzazione delle scale e dei locali di servizio), vincoli strutturali (luci ampie, solai di spessore minimo) e vincoli d’impianto, necessari alle nuove “scatole della spesa dell’Italia moderna”.

Un primo progetto presentava due piani in copertura destinati al parcheggio, raggiungibili attraverso elevatori, un rivestimento in lastre di travertino e una monumentale scala a sbalzo sul prospetto principale. Meccanizzazione, modernità e funzionalità. Per motivi di natura economica e di vincolo, la Soprintendenza ai Monumenti impose che l’edificio assumesse un carattere “romano” in accordo con le mura antiche: per le “maglie della struttura costruttiva [sono stati invece usati] pannelli di chiusura in materiale artificiale (granulato inalterabile) che hanno consentito gran risparmio di spazio, di peso e di messa in opera”, come dichiarato dallo stesso studio nel 1961 a intervento concluso.

La struttura portante metallica fuoriesce dalle tamponature leggermente arretrate, definendo membrature classicheggianti; il sistema intelaiato trave-pilastro lascia spazio a una sovrapposizione degli ordini, con le travi slanciate verso l’esterno e i pilastri coronati da mensole-capitelli dal forte richiamo templare. I cavedi dell’impianto di aerazione, elettrico e di smaltimento delle acque meteoriche sono occasione per creare un effetto chiaroscurale su tre dei quattro fronti, bilanciando la forte orizzontalità delle putrelle in acciaio e delle bande decorative bianche.

Le scale mobili, icona dei nuovi sacrari del consumismo, in origine erano un elemento caratterizzante il prospetto della corte interna; ora una vetrata satinata ne occulta la vista da fuori. Fa da contraltare la diafana scala elicoidale metallica, rivestita da gradini sagomati in marmo rosa di Verona. Visibile dalla strada grazie all’angolo trasparente, la struttura assurge a monumento scultoreo di se stesso, staccandosi dalle pareti alle quali si appoggia solo con flebili travi.

Intervento di “restauro e trasformazione” I lavori sull’edificio sono già partiti, la data per la loro ultimazione è agosto 2023; sono previsti diversi lotti, scaglionati in modo che non vi sia mai una chiusura al pubblico totale. L’intervento, firmato dallo studio 2050+ (oltre al fondatore Laparelli, la guida del progetto spetta a Giacomo Ardesio e Chiara Tomassi), ha ottenuto un investimento di 37 milioni: 23 a carico del Fondo Megas gestito da Prelios SGR, proprietario del palazzo, 9 da Rinascente e 5 da investitori dei marchi partner della catena.

Le accattivanti immagini progettuali assonometriche e viste tridimensionali apparse sui canali social dello studio milanese puntano su una comunicazione veloce e puntuale. Il futuro è a colori, mentre i riferimenti e i trascorsi storici sono rigorosamente in bianco e nero; “restauro e trasformazione […] caratterizzato dalla continuità del lavoro di Albini e Helg”, nel solco dei maestri del secolo scorso.

Le viste inquadrano i nodi più importanti dell’intervento: le vetrine del piano terra, il nuovo ascensore panoramico e l’ampia terrazza in sommità. Le vetrate del fronte strada saranno sostituite da specchiature più ampie, eliminando gli attuali montanti metallici che ne interrompono l’orizzontalità; uno scatto dei primi anni sessanta evidenzia l’effetto che si vuole ottenere, quasi volendo filologicamente riproporne gli aspetti formali.

Nella corte interna saranno nuovamente montate vetrate trasparenti, così da poter rileggere in facciata la scansione dei piani e l’ordito sinusoidale delle scale mobili. I corpi scala automatizzati collegano i livelli fuori terra aperti al pubblico, sistemazione che in origine permetteva a colpo d’occhio una comprensione dei piani destinati alla spesa, altrimenti impossibile lungo gli altri fronti completamente opachi.

In copertura sarà ammodernato lo spazio dedito alla ristorazione, ampliato e reso più gradevole portando a vista parte della struttura portante metallica con una porzione vetrata; l’ambiente, protetto e luminoso, inquadrerà dei coni visivi sulle mura Aureliane e sul centro storico, rendendo contemporaneo il rapporto tra i fruitori del grande magazzino e l’Urbe. In origine questo livello era destinato agli uffici aziendali e solo il personale poteva godere della vista- La modifica renderà lo spazio fruibile e piacevole, già impiegato per finalità ricettive alimentari, senza entrare in conflitto con la nuova vocazione degli ambienti.

L’aggiunta forse più emblematica, almeno nella sua giustificazione progettuale, è il nuovo ascensore panoramico, vetrato, vista mura: l’elemento va a inserirsi sul fronte della corte interna, accanto alle scale di emergenza.

Il volume raggiungerà la stessa quota della copertura, come un grigio monolite che interrompe la ritmica scansione della grammatica albiniano-helghiana. Lo studio 2050+ estrapola alcune viste tratte dal modellino del primo progetto del 1957 da accostare al nuovo intervento. Questa proposta scartata prevedeva un rivestimento in travertino, forse posto in opera così da accentuare il senso verticale tramite le venature, il quale copriva numerosi volumi culminanti a quote differenti, compreso il massiccio corpo scale. L’immagine, posta a confronto con l’ascensore progettato, cerca un collegamento ideale e manierato.

La contemporaneità come sguardo al futuro? Per avvalorare la necessità – se di questa si tratta – d’inserire un nuovo vano ascensore si estrapolano frammenti di un primigenio progetto di Albini-Helg “che può non essere mai esistito in un dato tempo”, per dirla alla Viollet-le-Duc. Se per trovare una giustificazione formale al linguaggio contemporaneo viene posto a faro di Alessandria uno studio embrionale dell’edificio mai portato a termine, forse dobbiamo ancora fare i conti con l’eredità del patrimonio architettonico del passato, anche novecentesco, e con gli strumenti da utilizzare quando si parla di conservazione e di restauro.

L’architettura contemporanea in contesti già edificati necessita di formalismi, volumetrici e/o funzionali, per avvalorarsi? La porzione di un progetto non realizzato, con una propria estetica e organizzazione spaziale, avulsa dal contesto originario, diventa uno scudo da alzare nei confronti di eventuali critiche che rischia di schiacciarci con il proprio peso. Il fotogramma di una pellicola cinematografica in bianco e nero, tagliato ed esposto da solo, senza il prima e il dopo al quale si collega, sarà sempre e solo una visione parziale dell’intera sequenza.

L’architettura deve assurgere a essere sostanza, non formalismo storicista. Dobbiamo credere e avere fiducia nei nostri interventi contemporanei, specialmente quando ci troviamo a dialogare con i grandi del passato. Se il corpo di un nuovo ascensore, una nuova vetrata o una moderna vetrina espositiva sono funzionali, esteticamente apprezzabili e sensibili nei riguardi dell’esistente non dobbiamo cercare giustificazioni ma coesioni, co-esistenze con esso.

Il confronto con un volume così introverso e definito qual è la Rinascente di piazza Fiume presenta numerosi rischi, primo fra tutti quello d’insinuarsi in un circolo vizioso del giustificare-sminuire la progettualità contemporanea. Auspichiamo dialoghi, sincronici e diacronici, con la fase realizzativa dell’edificio e con le eventuali modifiche avvenute fino al presente storico, e non fraintendibili e pericolosi salti temporali. Ogni eventuale trasformazione, vista in quest’ottica, nobiliterà gli architetti del passato, noi del presente e le generazioni future.

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