Placido Cherchi [di Carlo A. Borghi]

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Oplà Placido, chercher Cherchi. Da qua sei andato là e di là ci osservi mentre ci affanniamo e arrabbattiamo a dare una scossa e una smossa alla cultura in Sardegna… soprattutto, ma non solo, dato che il Mediterraneo è grande, molto più grande di quanto non appaia nelle mappe. C’eravamo conosciuti a spazio a… e finché spazio a… è rimasto là, tu ci sei sempre stato a guardare, ascoltare, decifrare. Succedeva tra il 1976 e il 1981. Il fermento vivo e battagliero degli anni Settanta passava il testimone ai vari riflusso, effimero, edonismo. Eravamo lì, nel capannone, davanti al teatro coprofago di Mario Mieli e ai Giardini Elettromagnetici di  Alvin Curran. Non ti perdevi nulla – o quasi – , da Aldo Braibanti a Dominot a Massimo Urbani a Steve Lacy. C’era sempre modo di parlare e analizzare vecchi e nuovi segnali delle avanguardie artistiche, poi neoavanguardie e poi dopo post avanguardie.

Ora siamo qui avendo in meno uno come te che, quando passeggiavi in riva al Poetto, perfino le conchiglie si chetavano per cogliere i tuoi ragionamenti. Son certo che dove stai ora ci sia una spiaggia dove far volare altissimi i tuoi pensieri insieme alla brezza del mare.

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