Rete civica per arginare gli incendi [di Antonietta Mazzette]

La Nuova Sardegna 29 luglio 2021. Gli incendi che in questi giorni hanno devastato migliaia di ettari della Sardegna fanno affiorare ricordi lontani della mia infanzia. Mio nonno materno coltivava la terra con amore e dedizione. Riusciva a trasformare un pezzo di terra incolto in un giardino e lo stesso fece in una campagna di Lula. Eppure, quando si avvicinava la stagione del raccolto, ecco che un incendio annientava il lavoro di un anno.

È accaduto più volte e alla fine mio nonno si è arreso, dandola in affitto (per così dire) a qualcuno del luogo, per non ritornarvi mai più. Questa campagna noi nipoti non l’abbiamo mai vista, mentre era una festa andare ogni fine estate in quella di Marreri, alle porte di Nuoro, dove gli adulti vendemmiavano e i più piccoli giocavano all’ombra di un grande albero che per noi era magico per davvero: i suoi frutti erano caramelle, cioccolatini, monetine e nastri colorati, il prodotto del lavoro festoso e nascosto (a noi) di mio nonno nella settimana che precedeva il nostro arrivo.

Di questi incendi ripetuti, più che i fatti in sé o le conversazioni dei grandi da noi bambini carpite a loro insaputa, ricordo il senso della tragedia vissuto dalla famiglia. Era un vero e proprio lutto, avvolto per giorni nel silenzio e nel buio della casa perché, nonostante fosse estate, mia nonna chiudeva le persiane delle finestre e le porte di ingresso (ne ricordo due), come se avesse voluto tenere lontani dal resto del mondo il dolore subito e la stessa esistenza della famiglia.

I volti delle donne e degli uomini che in questi giorni stanno assistendo inermi alla devastazione delle loro case e aziende tra i boschi o a ridosso dei paesi, sono simili ai volti dei miei nonni, ed è come se la storia antica e tragica di ieri si stesse ripetendo inesorabile, come se nulla fosse mutato, come in un racconto di Grazia Deledda.

Eppure, tutto è cambiato in questi decenni, da quando anche la Sardegna è entrata a pieno titolo nella modernità. Sono cambiate le sensibilità degli individui e della società verso il territorio, i modi di lavorare la terra e di allevare il bestiame – la Sardegna si colloca ai primi posti nell’indicatore del benessere animale -, sempre più dotati di tecniche e di conoscenza, non solo di quella ereditata dagli antenati, ma arricchita degli studi universitari di molti giovani, sempre più consapevoli che il valore della terra e il futuro di quest’isola sono alleati e vanno ben al di là della loro quantificazione in denaro.

Tutto è cambiato, ma gli incendi rispuntano puntualmente a ogni colpo di vento e di calore, per travolgere qualunque paesaggio, intendendo con esso il risultato sapiente dell’attività umana. E quindi si ripropongono molte domande, alle quali finora si sono date risposte inefficaci e incomplete. Di chi è la mano che appicca i fuochi? Perché gli esperti ci dicono che la stragrande maggioranza degli incendi è di natura dolosa.

È possibile migliorare il sistema antincendio, con dotazione di mezzi e di persone competenti che stabilmente presidino il territorio? Perché anche i non addetti ai lavori capiscono che l’arrivo dei Canadair è spesso tardivo. E ancora, si possono introdurre delle premialità per quelle amministrazioni che riescono a rendere i loro territori “liberi” da questi atti delittuosi? Che significa sia accrescere le forme di cura del territorio, sia alimentare forme di controllo sociale, in modo che prevenzione e disistima sociale verso quanti oltraggino la terra vadano di pari passo.

Infine, giacché fin dal 2000 i Comuni hanno l’obbligo di censire le aree incendiate di loro competenza, si ha un quadro di quel che è successo in dette aree negli anni successivi?

Il presidente Solinas ha chiesto l’intervento immediato del Governo centrale, ha fatto bene, ma nel frattempo avvii una seria riflessione tra le forze sociali e culturali, economiche e politiche sarde, perché il problema degli incendi è, anzitutto, affare nostro, ed è da qui che dobbiamo ripartire, chiedendoci tutti che cosa possiamo fare.

 

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