Due libi di fotografia documentaria offrono punti di vista sperimentali sulle emergenze che viviamo [di Elena Franco]
https://ilgiornaledellarchitettura.com/2021/07/30/La Terra è al centro dei testi che raccontano, attraverso le immagini, lo stato di salute del nostro Pianeta: piagato da conflitti, percorso da fenomeni migratori, sconvolto dai cambiamenti climatici. Le pubblicazioni suggeriscono una responsabilità collettiva del genere umano ad ampio raggio, dagli effetti della deforestazione in Brasile a quelli dell’inquinamento nella Pianura Padana. L’azione umana è protagonista e la scelta di documentarne gli impatti è il cuore di queste due opere. La fotografia documentaria si rinnova, grazie agli autori delle ricerche presentate, con approcci artistici che si contaminano con altre discipline e – sebbene la fotografia rimanga il linguaggio principale – mappe e dati ben supportano il lavoro d’inchiesta e, addirittura, ibridano, attraverso gli strumenti propri della cartografia contemporanea, l’iconografia scelta dagli autori. Il primo volume, Displaced. Migrazione conflitto cambiamento climatico (Richard Mosse, Corraini Edizioni, 2021, 202 pagine, € 40), accompagna la mostra omonima dei lavori di Richard Mosse esposti al MAST di Bologna (fino al 19 settembre), presentando tutte le 77 immagini esposte, oltre a un saggio critico di Urs Stahel e testimonianze di Michel J. Kavanagh (inviato in Congo e in Africa centrale dal 2004 per varie testate tra cui “The Economist”, “Blomberg News”, “The New York Times”, BBC), Christian Viveros-Fauné (curatore capo presso l’University of South Florida Contemporary Art Museum) e Ivo Quaranta (professore di Antropologia culturale all’Università di Bologna). Il fotografo osserva i paesaggi di guerra, quelli di confine al centro delle migrazioni e quelli naturali compromessi dall’antropizzazione con un’attenta ricerca iconografica che, soprattutto nei lavori più recenti, si serve di tecniche fotografiche mutuate da altri contesti. Mentre, infatti, i suoi primi lavori di aftermath photography (la fotografia dell’indomani) documentano le zone di guerra dopo i conflitti (come nel caso della serie Breach, 2009, incentrata sull’occupazione dei palazzi di Saddam Hussein in Iraq da parte dell’esercito americano), con Infra e The Enclave (2010-15) documenta il paesaggio del Congo utilizzando la pellicola da ricognizione militare sensibile agli infrarossi Kodak Aerochrome, ormai fuori produzione. Con Heat Maps e Incoming (2014-18), Mosse adotta invece una termocamera per registrare mappe termiche che ci aiutano a comprendere il fenomeno delle migrazioni di massa. Infine, con i lavori più recenti Ultra e Tristes Tropiques (2018-19), esplora la foresta pluviale sudamericana: in Ultra utilizza la tecnica della fluorescenza UV per mostrarci la bellezza della natura e la ricchezza che rischiamo di perdere a causa dei cambiamenti climatici e dell’intervento dell’uomo; in Tristes Tropiques illustra, con la precisione della tecnologia satellitare, la distruzione dell’ecosistema ad opera dell’uomo, grazie a una tecnica fotografica definita counter mapping, creando al contempo un archivio degli impatti dell’antropizzazione sull’Amazzonia brasiliana. Il libro fotografico La terra di sotto (di Luca Quagliato e Luca Rinaldi, Penisola Edizioni, 2020, 232 pagine, € 42) parla invece di alcuni fra i più impattanti casi d’inquinamento del nord Italia, in un viaggio tra Torino a Venezia con tappe obbligate a Milano, Brescia, Verona e Vicenza. Tra casi d’inquinamento industriale, discariche e presenza capillare della criminalità organizzata, il progetto utilizza gli strumenti della fotografia, del giornalismo d’inchiesta, della cartografia e della ricerca accademica per restituire una visione inedita sul paesaggio dell’area più produttiva del nostro Paese. La pubblicazione, in collaborazione con Urbanautica Institute, è composta da 97 fotografie scattate tra il 2014 e il 2019 da Quagliato e corredate da didascalie che propongono un approfondimento per ogni caso studio. Il saggio di apertura, Il secolo del rifiuto, e i saggi introduttivi dei quattro capitoli portano invece la firma di Rinaldi, giornalista investigativo e direttore di Irpi Media. Nell’ultima sezione, Matteo Aimini (ricercatore in architettura del paesaggio) introduce all’analisi territoriale della megalopoli padana contemporanea con il saggio La terra dello scarto. Il volume si chiude con le rappresentazioni cartografiche e le visualizzazioni di dati a cura del cartografo Massimo Cingotti che, partendo dai dati forniti dalle Agenzie regionali per la protezione ambientale, raccoglie i parametri ambientali in un’inedita scala transregionale. Molto simili esteticamente per l’estrema cura del progetto editoriale, per la scelta stilistica della copertina (sebbene quella del catalogo di Mosse sia doppia), per l’approccio che innova la pratica della fotografia documentaria innestandola con contributi di specialisti e attraverso un’attenta ricerca artistica (soprattutto nel primo caso), i due volumi offrono l’occasione di riflettere sul nostro mondo e sulle sue criticità, usando un linguaggio nuovo capace di suggestionare in profondità. *Immagine di copertina: Richard Mosse, Souda Camp sull’isola di Chios, Grecia, 2017 (MOCAK Collection, Cracovia). Situato ai piedi dei bastioni di una fortezza medievale, Souda ospita 950 persone secondo le stime ufficiali, una cifra che corrisponde al doppio della capienza, con i nuovi arrivati costretti a montare le tende sulla spiaggia adiacente. I residenti lamentano infestazioni di ratti, epidemie di scabbia, scarsità di alloggi e intossicazioni alimentari. Il 30% dei richiedenti asilo di Souda hanno trascorso nel campo più di sei mesi. Gli abitanti dell’isola di Chios, furiosi per il fatto che la loro terra e la sua florida industria turistica siano in prima linea nella crisi europea dei migranti, organizzano frequenti proteste. Il partito neofascista Alba Dorata raccoglie nell’isola numerosi consensi e i suoi membri hanno attaccato il campo in varie occasioni, lanciando dalle mura del castello massi e bombe molotov sui migranti indifesi parecchi metri più in basso e ferendo molte persone. I rifugiati sono spesso aggrediti e incarcerati illegalmente da poliziotti che simpatizzano con gli ideali di Alba Dorata. Sono stati riportati casi di violenza sessuale ai danni di giovani donne ad opera di cittadini di Chios, documentati da video girati con il cellulare e diffusi a scopo d’intimidazione. Secondo Human Rights Watch, i casi di attacchi d’ansia, autolesionismo e suicidio tra i profughi di Chios sono molto numerosi–**Elena Franco. Nata a Torino (1973), è architetta e si occupa di valorizzazione urbana e del territorio. Della sua formazione in restauro al Politecnico di Torino conserva la capacità di leggere gli edifici e comprenderne le trasformazioni, anche grazie alla ricerca storica. E’ autrice di articoli e saggi sul tema della rivitalizzazione urbana e partecipa a convegni e workshop in Italia e all’estero, in particolare in materia di town centre management e place management. La fotografia – di documentazione e ricerca – occupa gran parte della sua attività e viene spesso utilizzata nei suoi progetti, anche a supporto del lavoro di costruzione dell’identità locale e di percorsi di messa in rete di potenzialità territoriali. Da gennaio 2016 è direttrice della Fondazione Arte Nova, per la valorizzazione della cultura Liberty e Art Nouveau. Fra le sue pubblicazioni: “La rinascita dell’ex ospedale di Sant’Andrea a Vercelli” (2016), “Hospitalia. O sul significato della cura” (2017).
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