Puigdemont rivela le contraddizioni della politica spagnola [di Nicolò Migheli]

L’esito era annunciato. La Corte d’Appello di Sassari si allinea alle magistrature europee sospendendo l’estradizione di Carlos Puigdemont i Casamajó. Fino a che non ci sarà la sentenza della Corte Europea di Strasburgo, l’ex presidente della Generalitat ed eurodeputato gode dell’immunità parlamentare. In questi tre anni le corti di Germania, Belgio, Austria, Lituania, Svizzera e Scozia, con motivi relativi alla non corrispondenza dei delitti di sedizione e malversazione con i loro codici, si sono opposti alla richiesta del Tribunal Supremo. L’arresto di Puigdemont avvenuto la settimana scorsa nell’aeroporto di Alghero, mostra aspetti non chiariti.

Forse un’intesa tra polizie spagnola e italiana che si traduce nella ennesima brutta figura della magistratura spagnola. Però, dopo la sentenza in cui il leader indipendentista veniva rimesso in libertà senza neanche l’obbligo di risiedere in Sardegna, perché il procuratore del Tribunal Supremo Pedro Llarena ha insistito con una memoria dove si chiedeva l’entrega inmediata? E se non fosse stato possibile, misure cautelari finché Strasburgo non si fosse pronunciata.

La magistratura ispanica ha un Consiglio Superiore di nomina politica. Lo volle così durante la Transición nel 1978 la sinistra che aveva paura di una magistratura indipendente dominata dai franchisti. È noto la Costituzione venne contrattata in maniera dura con il franchismo ancora al potere. Parti delle istituzioni, i militari per primi, erano contrarie, preferendo la continuità del regime. Pablo Llarena è di nomina governativa come tutti i procuratori, deve il suo posto ai popolari e al premier di allora Mariano Rajoy. Il PP non ha mai cercato di risolvere politicamente la vicenda catalana, ha sempre preferito la via della repressione e quella giudiziaria. Per il momento ha vinto.

L’insistenza del Tribunal Supremo ha oggi una spiegazione nella lotta sorda contro il governo socialista di Sánchez che ha una maggioranza risicata garantita dai partiti baschi e catalani; ha bisogno dei voti degli indipendentisti di Esquerra Republicana de Catalunya per l’approvazione del bilancio. L’arresto di Puigdemont avrebbe causato una crisi di governo e nuove elezioni. Una speranza per la destra spagnola che va dal PP ai neo franchisti di Vox. Sánchez questo pomeriggio ha tirato un sospiro di sollievo. Ma il permanere dei politici esiliati non semplifica la politica catalana.

Ancora una volta si riproduce la divisione tra le componenti all’estero e quelle che sono rimaste in patria. Queste ultime ambiscono a una sorta di normalità, stante i gravi problemi come la pandemia e la crisi economica, ma che i mandati di cattura internazionali impediscono.

La Generalitat catalana vive in uno stato d’impasse dal 1° ottobre del 2017, quando si svolse il referendum. Poi ci fu l’applicazione dell’art. 155 della Costituzione in cui le funzioni vennero assunte da Madrid. Le nuove elezioni che confermarono la maggioranza indipendentista con il presidente Torra che venne inabilitato. Il governo attuale del presidente Arágones è ancora indipendentista, ha l’appoggio di Erc, Junts per Catalunya (JxCat) e la Candidatura d’Unitat Popular (Cup). JxCat è il partito di Puigdemont. La settimana scorsa il Parlament ha votato una mozione della Cup con la quale si impegna a chiedere un referendum contrattato con lo Stato spagnolo. Un percorso lungo che implica una modifica della Costituzione.

La posizione della Cup è pragmatica, sa che per avere l’indipendenza occorrono maggioranze ampie. Il movimento che la vuole non ha mai superato il 48% delle intenzioni di voto nei vari sondaggi. Una società spaccata in due che ha bisogno di essere governata e riconciliata. Sánchez il primo passo l’ha fatto concedendo l’indulto ai politici incarcerati e condannati dal Supremo.

Ma fintanto permarranno gli ordini di cattura internazionale degli esuli ogni riconciliazione sarà difficile.

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