22 marzo giornata mondiale dell’acqua [di Guido Pegna]
Ognuno di noi ha dei pallini che gli durano tutta la vita. Ero stato appena assunto come assistente incaricato e il mio capo, signore e padrone – era l’epoca dei baroni, statica da secoli – colui che mi aveva cooptato per quel posto non mi aveva ancora assegnato alcun compito, quando un giorno mi fece chiamare dal bidello. Lui arrivava tutte le mattine alle nove in punto con L’Unità piegato in quattro nella tasca sinistra della giacca o del cappotto, si chiudeva nel suo studio, una stanza immensa esposta al primo sole, e non ne usciva più fino alle 13,.30. Quella stanza, il suo studio, considerato da tutti come un minaccioso inaccessibile sacrario da cui potevano provenire solamente pericoli mortali, in realtà faceva parte di un vero e proprio appartamento di altre due o tre stanze, di cui una perfettamente buia che conteneva una branda per riposarsi dalle cure, sempre gravi, dalle preoccupazioni e dalle grane della direzione dell’Istituto, oltre ad un armadietto antico a vetri e a un grosso baule dove si diceva fossero conservate sotto naftalina tutte le sue pubblicazioni. Faceva parte della suite anche il laboratorio personale del Professore Direttore, un’altra enorme stanza dotata di tutti i possibili servizi – quadri elettrici di marmo per la corrente continua e alternata, lavandini, mensole di marmo, rubinetti per vari tipi di gas – nella quale era stato istallato da poco un meraviglioso costosissimo doppio spettrografo laser per studi Raman. I pericoli a cui accennavo erano proprio quelle repentine convocazioni, foriere quasi sempre di feroci rimproveri e recriminazioni, e, in casi estremi, ma rarissimi, di licenziamenti in tronco. Era infatti nel potere e nelle attribuzioni del Direttore dell’Istituto quello di licenziare senza preavviso e senza giustificazioni assistenti, tecnici, personale avventizio di amministrazione; in modo indiretto, nel caso dei liberi docenti o dei professori incaricati, quello di liberarsene con l’ottenerne un immediato trasferimento ad altro istituto o sede. Entrai dunque accompagnato dal bidello fin sulla soglia del sacrario, a cui si accedeva attraverso una doppia porta basculante a molla che si richiudeva silenziosamente alle spalle del malcapitato; le gambe mi tremavano come devono tremare ad uno che sta uscendo da un grande magazzino dove ha appena rubato una cravatta. Davanti alla scrivania del Direttore c’erano due sedie, ma si sapeva che si doveva stare rispettosamente in piedi. Quella volta il Professore, contrariamente al solito, si alzò e si diresse lentamente, maestosamente, senza una parola verso la stanzetta della branda. Lo seguii. Lì giunti, aprì uno degli sportelli della vetrinetta, mi fece cenno di accostarmi e sempre in silenzio mi indicò un oggetto che stava da solo su uno dei ripiani. Si trattava di una grossa provetta di vetro, sigillata alla fiamma, contenente un liquido trasparente che si vedeva essere un liquido perché c’era anche una piccola bolla d’aria. Sulla provetta c’era una targhetta adesiva con una data: 1934. Eravamo nel 1969, dunque quella provetta era lì da 35 anni. Richiuse con cura lo sportello e si diresse di nuovo lentamente verso la direzione. Si sedette, prese dal tavolo davanti a sé un dattiloscritto ingiallito e me lo porse. Era una bozza di un suo lavoro scientifico dal titolo: “Studio dell’effetto Raman di acqua stata a lungo ferma”. Lo guardai un po’ sconcertato, ma subito capii. Non era stata pronunciata una parola, ma nella sua mente il mio destino per gli anni a venire era determinato. Nella sua visione del mio futuro come suo assistente avrei dovuto studiare quell’acqua stata a lungo ferma con il meraviglioso spettrografo che era nel suo laboratorio personale, ogni giorno sotto il suo sguardo. Mi tornarono in mente anche altre cose apparse sporadicamente anni prima sulle riviste scientifiche sulla presunta “memoria” dell’acqua, e anche le idee pazzesche di Samuel Hahnemann, il fondatore della medicina omeopatica, secondo le quali l’acqua conserva la memoria di sostanze che sono state disciolte in essa anche quando quell’acqua venga diluita milioni o miliardi di volte con acqua pura. Quello era dunque uno dei pallini del professore, tenuto da parte con cura proprio per me. Su quello si sarebbe sviluppata la mia carriera accademica o il mio fallimento. Uscii dal sacrario in preda ad un innominabile terrore. Mi vedevo trascorrere mesi, anni nella stanza buia dello spettrografo Raman a fare sempre le stesse cose, a girare sempre le stesse manopole, in uno di quei lavori di ricerca ripetitivi, mortali per noia, inutilità, delusione, frustrazione. Come si svolsero le cose negli anni successivi, quale fu il mio destino di ricercatore sarà forse argomento di altri racconti, di altre avventure, di altre delusioni. Questa vicenda della memoria dell’acqua stata a lungo ferma mi è tornata in mente come una delle più oscure e dimenticate che hanno anch’esse che fare con questo liquido straordinario di cui si celebra oggi la giornata mondiale. Anni dopo, come in una illuminazione, mi resi improvvisamente conto che quel meraviglioso spettrografo Raman, che aveva impegnato fondi di ricerca risparmiati pazientemente per anni era stato acquistato proprio per me, atto di stima e di amore di quell’uomo solitario, burbero e temuto. |