Proust e la memoria dei luoghi [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 20 settembre 2021. La città in pillole. Quanto siano di ispirazione le pagine de La Recherche di Marcel Proust che raccontano vissuti e luoghi, lo sanno bene quanti le hanno lette in età in cui le preoccupazioni esegetiche erano di là da venire. Fiumi di parole referenti realtà apparentemente lontane ma assai prossime, nell’essenza fondativa della narrazione. La ragione, come con Il giorno del giudizio di Salvatore Satta, è nella capacità di raccontare la modernità nelle sue potenzialità e, insieme, nel disagio di viverla, forse per l’ansia di perdere la memoria di un tempo perduto. Il tempo delle soggettività, personali e spaziali, fino a qualche decennio, tutt’altro che reificate. Perché è chiaro, come scrive G. Steiner, che Proust e Satta, tra i grandi del Novecento, consentono di capire il ruolo decisivo della memoria nella traiettoria della macrostoria interdipendente con la microstoria quotidiana, collettiva e personale. Verrebbe da soggiungere: specie per chi si occupi della ricostruzione del passato, prossimo o remoto. Cosa sarebbe l’archeologia urbana, infatti, se non si confrontasse con l’oggi e con quanti vivono un luogo, ad esempio, come Cagliari, frequentato, senza soluzione di continuità, da millenni? In questa prospettiva proustiana, i decisori devono essere speciali perché hanno la responsabilità di garantire il rispetto di immani archivi, materiali e immateriali, ma anche di progettare futuro. Se non hanno letto Proust e tanto altro, cosa succede? Per farla semplice, l’importante è che abbiano rispetto di quelli che lo hanno letto ovvero di quelli che della città sanno le cose necessarie e che si tratta di un oggetto complesso dai mille risvolti e interpretazioni. Necessitano competenze anche relazionali perché una città di lunga durata perduri, fugando ogni cenno di Alzheimer storico e, quindi, senza perdere il suo baricentro. Un raffinato flâneur parigino fu capace di trasformare l’otium degli aristocratici romani da privilegio in punto di vista, essenza della città contemporanea. Lo capì W. Benjamin che amplia i vocabolari di una città storica che vuol farsi progetto. A Cagliari li chiamavano oreri. Colti osservatori slow della città. Tracce di tale specie rara, in via di estinzione, si colgono in Spano, Bacaredda, Romagnino, de Magistris. Avere dimestichezza proustiana con i luoghi, fa mutare paradigma, perché insegna l’arte del riconoscimento di quanto sta intorno ed evita che la memoria declini nell’impotenza del rimpianto ex post, frequente a Cagliari dopo ogni distruzione. |