Autonomia, sovranità e indipendenza, per chi? [di Giuseppe Pulina]

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Ho seguito con particolare attenzione (e ammirazione) il carteggio fra Michela Murgia e Silvano Tagliagambe, conseguente all’iniziativa del 17 marzo scorso organizzata da Lamas, Terra pace solidarietà, Art.21, Fondazione Sardinia,SardegnaSoprattutto, alla Mediateca di Cagliari.intorno al libro di Pietrino Soddu Sardegna. Il tempo non aspetta tempo. Maria Antonietta Mongiu, mi aveva invitato, ma non ho potuto esserci. Ho letto anche gli altri pezzi e commenti al suddetto carteggio e mi sono posto su un piano operativo per tentare di dare un contributo a un dibattito che è uscito dagli schemi accademici per affacciarsi prepotentemente alla realtà, come conseguenza del successo elettorale di Sardegna Possibile e dell’ingresso, per la prima volta, nel Consiglio Regionale del rappresentante di un movimento dichiaratamente indipendentista quale l’IRS.

1. Silvano discetta, dal par suo, sulla teoria dei sistemi e sulle relative conseguenze, attingendo ad un bagaglio transculturale potente ed efficace che ha per finalità l’applicazione del paradigma dei sistemi autopoietici (negaentropici, direbbe Odum) ai processi di autodeterminazione di un popolo. In particolare, Silvano si sofferma su limiti e confini di un sistema e sui tunnel mentali che tali oggetti possono provocare. Tuttavia, Silvano sa benissimo che limite e confine son termini ben distinti. Il primo è una proprietà indefinita di un sistema e deriva dalla constatazione che, oltre tale soglia, le leggi interne che governano il sistema stesso non hanno più effetto; il secondo è, invece, sempre arbitrario e delimita ciò che sta dentro da ciò che sta fuori (hic sunt leones) un determinato sistema. In sostanza, il limite è uno spazio indefinito, per quanto piccolo, mentre il confine è una marca ben definita (e ricca di scontri, se non ci si mette d’accordo). Non per altro, in matematica il limite è una tendenza ad un intorno numerico per quanto piccolo, il confine è che ciò che taglia lo spazio in porzioni ben distinte. Ad esempio, il limite e il confine del sistema solare sono concetti ben diversi, essendo il primo quella porzione di spazio in cui l’attrazione gravitazionale del sole diventa ininfluente (non nulla, ben chiaro), il secondo l’orbita dell’oggetto più esterno che compie la sua rivoluzione intorno alla stella. Se guardiamo alla storia, Michela sarà d’accordo nell’ammettere che nel momento in cui l’impero romano passò dai limiti non ben definiti a demarcare dei confini rigidi (e li armò con valli e castelli), iniziò ad avere seri problemi con le popolazioni esterne. Politicamente, pertanto, orientarsi sui limiti di un sistema o sceglierne (o subirne) i confini, non è la stessa cosa. Discutere di sistemi (fisici, biologici o politici) senza tracciarne i confini non è possibile, perché nel nostro universo (empirico o ideale) tutto è collegato.

2. Sovranismo, autonomismo e indipendentismo sono tre ideologie che si applicano, secondo i nostri canoni, a regimi democratici nei quali il popolo (detentore del potere) è sovrano, oppure autonomo, oppure indipendente. Conosco perfettamente tutte le obiezioni che potrebbero essere mosse a questa ipersemplificazione, ma resta il fatto che gli attributi che si assegnano ad un popolo devono essere ben definiti, pena l’ambiguità del descrittore utilizzato. Diciamo che la sovranità è un atto di autodeterminazione di un popolo, che l’autonomia (forte o debole) è un atto di concessione di un potere (un popolo?) sovraordinato a un potere (un popolo?) subordinato e che l’indipendenza è una condizione che si è conquistata (o che non si è mai persa) da parte di un popolo. Se così é, allora non è indifferente porsi su una o su un’altra posizione e rivendicarne le conseguenze.

3. A cosa ci riferiamo quando parliamo di “Popolo Sardo”? E’ evidente che possiamo utilizzare categorie e descrittori se l’oggetto del discorso è ben definito. E qui c’entra il primo punto che demarca la differenza fra limite e confine. Una risposta semplice sarebbe che il Popolo Sardo è una frazione del Popolo Italiano (entità ben definita numericamente e coincidente con coloro che godono della cittadinanza italiana) che è residente in Sardegna e lì esercita i propri diritti elettorali. Così il Popolo Sardo sarebbe un sottoinsieme di quello Italiano “confinato” da un macrocollegio elettorale. Non ci siamo. Cerchiamo allora altrove, nella genetica ad esempio che, con Cavalli Sforza et alii, ci dice che i Sardi sono, insieme ai Lapponi, la popolazione più distante geneticamente da tutte le altre popolazioni europee, Italiani compresi. Strada (limite) bruttissima, che conduce all’eugenetica. Allora proviamo con lo ius soli, che includerebbe fra i Sardi chi nasce in Sardegna, compresi i figli dei nostri ospiti extra-comunitari (bene! Vedasi a proposito il bel articolo di Giampaolo Cassita, L’elemosina e la dignità, su questo sito), ma anche tutti i “Sardi di striscio”, ovvero coloro che nati qui se ne sono andati e non ne vogliono più sapere della Sardegna e di quanto la riguarda. Ovviamente, questa soluzione risolverebbe il dilemma identitario solo parzialmente e non sarebbe applicabile ai “circoli dei Sardi” che costellano il mondo, popolati da seconde e terze generazioni. Ci si potrebbe sbizzarrire a trovare i limiti o i confini che definiscono l’insieme Popolo Sardo (lingua, quarti di sardità, il cosiddetto ius sanguinis, ecc..), ma forse sarebbe come la disputa sugli universali che, come è noto, sono flatus vocis, per cui ci atteniamo al principio di non moltiplicare gli enti praeter necessitatem.

In definitiva, propongo un metodo pragmatico per sapere chi fa parte del Popolo Sardo e chi no, cioè per delimitare coloro che godrebbero degli eventuali diritti derivanti da una convenzione universale dei Sardi: convocare appunto, attraverso loro rappresentanti, una Convenzione Universale del Popolo Sardo per scrivere la Costituzione del Popolo Sardo (da cui poi, eventualmente, derivare uno Statuto). Questo obiettivo ci costringerebbe a pensare di delimitare preliminarmente gli aventi titolo alla Convenzione, a pensare ai processi di autodeterminazione da mettere in moto per la scrittura della Costituzione, a interrogarci su identità e alterità e a riconoscere il diritto alla Cittadinanza Sarda a coloro che, sbarcati da lontano, vogliono costruire qui il loro progetto di vita e portarsi sulle spalle il futuro della Sardegna (dato che i Sardi di oggi, se nulla cambia,  sono destinati all’estinzione per collasso demografico). La Costituzione del Popolo Sardo è dichiaratamente un atto simbolico, ma i simboli,  a volte, sono i più potenti strumenti da mettere in campo per costruire il futuro.

One Comment

  1. Paolo Numerico

    Io ho lavorato in Sardegna per tre anni e passa, dalla metà del 2006 ai primi mesi del 2010.
    Mia moglie ha una casa in Sardegna.
    In Sardegna veniamo quattro volte l’anno, anche per periodi lunghi, non soltanto in estate. Altrimenti detto: dal 2003 un terzo della nostra vita (mia e di mia moglie) si svolge in Sardegna.
    E in Sardegna ho un focolare, amici e cuore.

    E’ , dunque, permesso che io possa essere riconosciuto come appartenente al Popolo sardo, pur ritenendomi anche appartenente al Popolo italiano ed anche appartenente al Popolo della terra?

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