Adesso definiamo l’orizzonte progettuale per esaltare l’autogoverno della Regione [di Gianni Marilotti]
Dunque, la lunga marcia per affermare il diritto dei Sardi a concorrere in condizioni di parità al proprio benessere e a quello nazionale ha avuto il 3 novembre scorso il pieno riconoscimento da parte del Senato che, con 223 voti a favore e nessuno contrario, ha approvato la modifica dell’articolo 119 della Costituzione, introducendo il principio di insularità. Siamo ancora alla prima lettura e la strada è ancora lunga, ma è la prima volta nella storia della Repubblica che il Parlamento approva una modifica costituzionale su impulso di una legge di iniziativa popolare. Mi sia consentito di fare qualche considerazione su quella che non esito a considerare una vittoria del popolo sardo. Come si è arrivati a questo successo? Credo per tre motivi fondamentali. Il primo e più importante è che si è messo in campo un movimento popolare, trasversale e unitario, che al di là delle differenze ha saputo individuare la strada, progettuale ed istituzionale, per raggiungere l’obiettivo. Dopo la falsa partenza, dovuta alla bocciatura dell’iniziativa referendaria per inammissibilità da parte dell’Ufficio Regionale del Referendum, si è individuata la via della proposta di legge di iniziativa popolare con una copiosa raccolta di firme su un testo chiaro. Qui i meriti e i riconoscimenti vanno tutti ai promotori del Comitato che ha visto la partecipazione di cittadini appartenenti alle più diverse categorie sociali, tutte in vario modo colpite dall’handicap dell’insularità. Il compianto Roberto Frongia e Maria Antonietta Mongiu hanno avviato un dibattito che ha trasformato questa azione in movimento di popolo e lo hanno fatto con un cambio di paradigma politico, e qui sta il secondo motivo del successo. Non più richiesta di risarcimenti da parte dello Stato per gli svantaggi derivanti dall’insularità, bensì richiesta di poter concorrere alla pari nel contesto nazionale ed europeo rimuovendo gli ostacoli che lo impediscono. Non solo e non tanto contributi speciali, ma condizioni di parità affinché il diritto comunitario sancito nei Trattati della UE come il seguente: “Le politiche di concorrenza della UE garantiscono che le imprese competano in modo leale e in condizioni di parità nel mercato interno europeo” non rimanesse lettera morta. Nonostante l’UE riconosca da tempo gli svantaggi derivanti dalla condizione di insularità come nei Trattati di Amsterdam e di Lisbona e nonostante la Risoluzione del Parlamento europeo del 4 febbraio 2016 sull’insularità, che al punto 4 recita: “Il Parlamento Europeo chiede che la Commissione avvii uno studio/analisi approfondita sui costi supplementari che la condizione di insularità determina a livello dei sistemi dei trasporti di persone e merci e dell’approvvigionamento energetico, nonché di accesso al mercato, in particolare per le piccole e medie imprese”, niente è stato fatto. Se prendiamo il costo dei trasporti, quello su ferro praticato nella penisola italiana o nel continente europeo ha un costo unitario a chilometro; quello su nave da e per la Sardegna ha un costo unitario assai maggiore e questo surplus va a maggiorare il costo finale con conseguente riduzione del profitto. Lo stesso discorso vale per l’energia che costa di più per i maggiori oneri di trasporto o per l’assenza di una rete, quella metaniera, notoriamente meno costosa. Per non parlare delle grandi infrastrutture, dell’alta velocità, del sistema viario nel suo complesso che nella penisola hanno dei costi ammortizzati dalla continuità territoriale che manca oggettivamente nelle realtà insulari. Certo, non sono solo questi i ritardi e i problemi della Sardegna. Ad essi vanno aggiunti quelli della povertà educativa, delle inefficienze del sistema sanitario, delle servitù militari che sottraggono suolo alle attività produttive, del patrimonio artistico e culturale, ricco e unico nel Mediterraneo, ma ancor poco valorizzato, dello spopolamento delle aree interne dell’Isola. Il risultato raggiunto oggi non va né eccessivamente esaltato, né sottovalutato. Se sapremo metterlo a frutto, mantenendo uno spirito unitario, potremmo pensare di riempire di contenuti un nuovo piano di Rinascita conformemente all’articolo 13 dello Statuto Regionale. Ciò mi porta conclusivamente al terzo motivo del successo, cui accennavo all’inizio. Alludo alla compattezza dimostrata dai senatori sardi nel raccordarsi con i promotori del comitato per l’insularità da un lato, e nel seguire passo passo l’iter parlamentare nella riformulazione del testo alla fine approvato in Commissione e in Aula. Alcuni pensano che in fondo questa modifica costituzionale non sia che un reinserimento di un principio che era già presente nella nostra Costituzione prima della riforma del Titolo V del 2001 che non aveva di certo garantito brillanti successi alla nostra Regione. Ma a ben vedere non è così. Il testo costituzionale in vigore fino al 2001 recitava: “Per provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le Isole, lo Stato assegna per legge a singole Regioni contributi speciali.” Come si vede si trattava di una formulazione generica, tra l’altro, venuta meno con la cessazione della Cassa per il Mezzogiorno. Il nuovo testo approvato il 3 novembre è decisamente più pregnante e vincolante: “la Repubblica riconosce le peculiarità delle Isole e promuove le misure necessarie a rimuovere gli svantaggi derivanti dall’insularità”. Sta a noi, fare in modo che questo impegno si traduca in leggi e decreti attuativi che ne definiscano l’orizzonte progettuale esaltando l’autogoverno Regionale. *Comitato Scientifico per l’Insularità in Costituzione **Senatore della Repubblica
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