Stendhal passa per Cabras [di Enrico Trogu]
Le pietre parlano una lingua antica, ci guardano con pietà. Una pietà, quella del gigantesco architrave che sovrasta l’ingresso della tomba di Agamennone (a Micene, nell’affamata Grecia), capace di schiacciarti. Secoli prima del Partenone, un colle fortificato nacque per ricordarci quanto piccoli possiamo diventare, con l’ossessione di evolverci. Prima di parlare di Sardegna, è necessaria una seconda tappa greca. Sotto il Partenone è nato nel 2008 il museo omonimo, una palafitta posata sopra un sito d’età romana. Vetro, acciaio e aria a racchiudere una collezione unica, accudita e “affidata” ai visitatori: nessuna teca, nessuna barriera, tanta fiducia. All’ultimo piano una riproduzione della parte superiore del tempio, a grandezza naturale e orientata secondo la posizione dell’originale; al primo un book shop economicamente flessibile, elegante, affiancato ad un ristorante dai prezzi accessibili. Nella hall al piano terra un maxischermo che trasmette ininterrottamente un cartone animato muto sulla storia dell’arte greca, in cui le opere dialogano navigando, coltivando e combattendo. Di fronte, un lungo divano ad anfiteatro e un grande tappeto per permettere ai bimbi di seguire la proiezione comodamente seduti o sdraiati. Conoscere i giganti nostrani fa affiorare una sensazione curiosa: al netto dei nuraghi, che non fanno parte del nostro paesaggio perché lo sono, tutto ciò che è sardo è generalmente pensato in quanto piccolo. Bronzetti, soldati, fauna e case. Gli uomini di pietra di monte Prama, invece, son lì a ricordare che siamo stati “mega”; il ragionamento prescinde dall’esattezza scientifica come dalla vulgata nazionalistica: nel marzo di 2800 anni dopo profili virili, riccioli e larghi toraci confermano la potenza della nostra storia, la sua ulteriore legittimità, e affinità, rispetto alle tradizioni mediterranee, il nonsenso del non darle vita pur conoscendola. Chiunque andrà a vederli, alla fine della visita vada via passando dal viale Buoncammino; riceverà l’immagine di Cagliari, dei suoi millenni di “pietre”, che accarezzano il Mediterraneo. Sommi a ciò la città (potenzialmente) speleologica, quella gastronomica e quella ambientale. Guardi ad ovest e veda un aeroporto internazionale. Immagini un polo culturale diffuso che renda visibili le connessioni tra testimonianze e i reperti, e i territori di appartenenza, e il modo per raggiungerli e comprare libri, mangiare sardo, dormire ed emozionarsi per un architrave che ha pietà di te guardando dall’alto. Che poi le elezioni pare le abbiano vinte quelli acculturati. Tornino le speranze. |