Sinèddoche, simbolismi e identità [di Maria Antonietta Mongiu]

L’Unione Sarda 2 dicembre 2022. La città in Pillole. C’ è una parola, sinèddoche, che è di origine greca, transitata nel latino e approdata alla lingua italiana, usata da pochi, che, quando la si sente, fa molto effetto. In verità il suo significato è nell’uso corrente. Una parte per il tutto e viceversa o un termine che sostituisca due o più, che abbiano una relazione tra loro.

Si può estenderne l’uso a diversi campi, tanto da trasformare una sinèddoche in metalinguaggio. In queste righe, spesso, si è fatto riferimento alla sinèddoche “il femminile”, non più riferito alle declinazioni di genere ma ad un comportamento. Non tanto donnesco o estetico quanto relativo a pratiche paritarie di relazione, non appartenenti più ad un genere.

Una diffusa sinèddoche è casteddu, per indicare non un quartiere ma Cagliari. Non a caso, molti sardi chiamano, in tale modo, la città capitale. Questa, il più delle volte, è rappresentata con la Forma urbis di Sigismondo Arquer che la fissa nella sua cifra, urbanistica e architettonica, cinquecentesca, con quattro quartieri, murati e turriti. Forma non più corrispondente alla città contemporanea, più ampia di quella.

Ma c’è un campo dove la sinèddoche agisce, più sottilmente nel simbolico, che ha a che fare con le molteplici geografie con cui si costruisce un logo e, attraverso questo, un’identità con modalità tutt’altro che lineari. Possono, infatti, un oggetto o un colore diventare sinèddoche, fondativa di un’identità visiva o di un’identità tout-court?

L’evidenza lo conferma ove si pensi alle bandiere di nazioni e, persino, di squadre o a una madonnina su una guglia di un duomo, diventata simbolo di Milano. Non diversamente da un piccolo oggetto, quale è l’elefante della torre omonima, a Cagliari.

Altro dai simbolismi cristologici del Bestiario medievale da cui, concretamente, deriva, assurge a logo di una città, grazie ad un’opera letteraria, L’elefante sulla torre di Francesco Alziator, ma, soprattutto, grazie a un piccolo capolavoro che è la rielaborazione che ne fece Stefano Asili.

Quando si usa qualsivoglia materiale, specie ancestrale o di sostrato, per farne sinèddoche dei luoghi e, di conseguenza, sistema linguistico-relazionale degli stessi, per non scivolare nel dilagante e grottesco etnocentrismo turistico, sono necessarie sofisticate competenze e un’attrezzata cassetta degli attrezzi.

In Sardegna e a Cagliari gli esempi a cui riferirsi non mancano da Salvatore Fancello a Costantino Nivola a Ubaldo Badas a Stefano Asili, al paesaggio. Senza, è apocalisse culturale.

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