Un’ebrea americana a Cagliari [di Franco Masala]

Dopo una breve carriera internazionale di soprano Marta Du Lac abbandonò le scene per sposare a Londra, nel 1925, il cagliaritano Antonio Pau. Nata a New York nel 1888 come Martha Lewis, ebrea americana, con il matrimonio si trasferì a Cagliari dove visse una vita piena di affetti, di legami parentali, di vicende familiari, perfettamente integrata nelle vicende locali, per morirvi poi nel 1953.

Fin qui sarebbe una storia di normale respiro, seppure caratterizzata dal trasferimento dal cuore di Manhattan alla sonnacchiosa Cagliari per seguire una vita quotidiana, allietata anche dalla nascita di un figlio, dopo una carriera teatrale che la portò dagli Stati Uniti all’Italia, a Malta, alla Francia, alla Grecia e altri Paesi con un repertorio legato essenzialmente ai ruoli di soprano drammatico. Cantò anche al Politeama Regina Margherita di Cagliari come protagonista di Manon Lescaut e Tosca.

L’inciampo della sua vita furono le leggi razziali antisemite, emanate nel 1938 che colpirono indistintamente tutta l’Italia, comprendendo sia comunità ebraiche consistenti come quella di Roma sia presenze sporadiche di ebrei in località anche piccole. È quello che capitò a Cagliari dove, a fronte di una popolazione che raggiungeva i 100.000 abitanti, si contava una decina di persone ebree, alcune delle quali di passaggio o coniugate a cattolici. La documentazione conservata nell’Archivio di Stato di Cagliari consente di conoscere la situazione anche in Sardegna, di gran lunga minoritaria rispetto a zone storicamente più legate all’ebraismo.

Anche Martha Pau Lewis fu oggetto di attenzione delle autorità fasciste insieme con il figlio che, per via materna, era considerato ebreo. Dovette fare l’obbligatoria autodenuncia di “razza ebraica” nel 1939 anche per lo stillicidio progressivo di divieti che rendeva la situazione sempre più pericolosa.

Dal trasferimento patrimoniale di diversi appartamenti al marito, considerato che agli ebrei non era più consentito di possedere terreni né fabbricati, alla serie di informazioni circa la condotta morale civile e politica anche dei familiari, al divieto di avere persone di servizio ariane, fu un crescendo di difficoltà fino al rifiuto della richiesta di “discriminazione” che avrebbe consentito una relativa sicurezza.

Martha Pau Lewis fu colta dall’armistizio dell’8 settembre 1943 mentre si trovava con il figlio nella penisola per le consuete vacanze estive. Dovette entrare in clandestinità a Roma, abitando – per colmo dello sberleffo – nel ghetto a fianco alla sinagoga. Con documenti falsi intestati a una fantomatica Lecis, evidente corruzione di Lewis ma anche cognome sardo, affrontò continui disagi culminati dopo l’attentato di via Rasella quando, durante un controllo, due giovanissimi militi delle SS, di origine viennese, bussarono nell’alloggio di via del Tempio.

Martha, ormai Lecis, sentendo l’accento dei militari, con prontezza di spirito cominciò a parlare imitando il dialetto di Vienna, intrattenendoli sulla porta d’ingresso e distraendoli con riferimenti alla città austriaca mentre altri soldati perquisivano i restanti appartamenti. Il sangue freddo e il controllo delle emozioni si unirono certamente all’attitudine scenica, sviluppata da Martha durante la carriera lirica abbandonata con il matrimonio italiano, riuscendo a evitare miracolosamente la perquisizione della casa.

Con la liberazione di Roma e l’arrivo dei connazionali americani nel giugno 1944 Martha Pau Lewis si adoperò per il ritorno in Sardegna alla ripresa delle comunicazioni, concludendo positivamente le drammatiche vicende derivate dalle leggi antisemite.

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