Diamo a Frida quel che è di Frida [di Carla Deplano]

 

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A 60 anni esatti dalla morte, Frida Kahlo si rigirerebbe nella tomba a sentire le parole della curatrice della sua personale “mostra-evento” fresca di inaugurazione alle Scuderie del Quirinale. Nel video della mostra, Helga Prignitz-Poda afferma che Frida non si è mai veramente impegnata politicamente e che lei e Diego Rivera avrebbero sfruttato la causa comunista per sentirsi alla moda e ospitato Trotzskij solo per farsi pubblicità. Di fatto opere, avvenimenti e scritti parlano da soli.

Nel murale di Rivera, Ballata della rivoluzione, Frida distribuisce le armi per la lotta rivoluzionaria affiancata dalla fotografa Tina Modotti, dal leader del gruppo comunista cubano Antonio Mella e da David Alfaro Siqueiros, artista amico di Rivera e fervente comunista. Frida indossa una camicia rossa con una stella sul petto ed è raffigurata come membro del Partito Comunista Messicano (PCM), cui si iscrive nel 1928. Come è noto, in quegli anni la pittrice sostiene con i suoi compagni politici la lotta di classe armata del popolo messicano.

In un altro murale, L’incubo della guerra e il sogno della pace, Diego la ritrae nuovamente come simbolo di pace e attivista politica che, sulla sedia a rotelle, tiene per mano Stalin e Mao in ricordo di una sua partecipazione ad una raccolta di firme a sostegno del congresso internazionale della pace contrario all’uso dell’atomica da parte delle potenze imperialiste. Nel 1948 Frida rinnova l’iscrizione al PCM. Negli ultimi anni, dopo aver subito numerose operazioni alla colonna vertebrale che la costringono sulla sedia a rotelle e all’assunzione di massicce dosi di antidolorifici, subisce l’amputazione della gamba destra e si ammala di polmonite. Durante la convalescenza e contro il parere dei medici, il 2 luglio 1954 partecipa alla dimostrazione contro la caduta del regime democratico in Guatemala ordita dalla CIA. Muore dopo undici giorni.

Nel suo ultimo anno di vita, dipinge Il marxismo guarirà gli infermi dove, affiancata da Marx, può finalmente fare a meno delle stampelle, sorretta dall’idea utopica che la fede nell’ideologia comunista possa liberare lei e l’intera umanità dal dolore. Poco prima di passare a miglior vita, lascia il proprio testamento politico-spirituale, Autoritratto con Stalin, in segno di gratitudine nei confronti del leader comunista che si ritrova qui ad occupare significativamente la posizione normalmente riservata al santo in un ex voto. Ribadendo, per un’ultima volta, un rapporto di fede quasi religiosa nei confronti del Comunismo.

Frida assegna alla sua produzione artistica una funzione divulgativa e propagandistica, nell’adesione ai valori messicani postrivoluzionari e nella ricerca di un’identità nazionale finalmente riscattata dalle radici precolombiane e spagnole. Negare questo significa negare l’essenza di una pittura pregna di Mexicanismo. Le parole del Diario risultano piuttosto denotative di sentimenti, rimpianti e intenti che hanno animato fino all’ultimo respiro questa grande pasionaria dell’arte del ‘900: “sono molto preoccupata per quanto riguarda la mia pittura, soprattutto perché vorrei farla diventare qualcosa di utile. Finora, infatti, sono riuscita solo a esprimere me stessa, ma ciò purtroppo non serve al partito. Devo cercare con tutte le mie forze di fare in modo che quel poco di positivo che le mie condizioni fisiche mi permettono di fare serva anche alla rivoluzione, l’unico vero motivo di vivere”.

Riposi in pace, amen.

*Foto: Diego Rivera, Ballata della rivoluzione (particolare), 1923-28

**Storica dell’arte

 

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