Allestimenti comprensibili nei musei [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 9 febbraio 2022. La città in Pillole. Non c’è giorno che l’uomo non immagini l’impossibile per eccellenza: dialogare con chi non c’è più. Lo dice il culto degli antenati che, ad ogni latitudine, ha lasciato testimonianze. Riempiono i musei che, spesso, sono una summa di ininterrotti memorabilia funerari. Ripuliti e decontestualizzati, assumono un diverso senso, una volta risemantizzati, in allestimenti che siano dall’alto o basso impatto informativo e educativo. Nuove discipline, non solo l’archeologia, li interpretano. Un dialogo, fitto e continuo, che cambia col passare del tempo e delle metriche, e, persino, di grammatiche e sintassi. Un manufatto di cui si crede di sapere tutto, col crescere della conoscenza, disvela molto di più di quanto fosse già noto. L’arricchita narrazione fa percepire come una pratica possibile, la conversazione con l’artefice di quell’oggetto. Sembra reale per la sua oggettiva matericità. Ma è un’illusione. Arriveremo a sapere la provenienza delle argille, le tecniche di estrazione e le composizioni, i mezzi e i modi di produzione. Si potranno persino identificare le impronte digitali e conoscere il genere di chi lo ha realizzato. Ancor di più bisogna diffidare di chi si identifica con un oggetto, un periodo, una vicenda storica. Le vere competenze accademiche o inaccademiche, sono quelle dai filtri avvertiti e dai collaudati distanziamenti. Si evita il grottesco e il mitopoietico. In Sardegna è accaduto, come in altri luoghi, e può, nuovamente, accadere. Vengono in mente i racconti di Umberto Eco che hanno come protagonisti archeologi in un futuro prossimo e le loro stravaganti elucubrazioni. Gustosi e farneticanti siparietti di quanto, a volte, accada quando si trasformi l’archeologia in un caleidoscopico luna park. Figuriamoci se non si è neanche archeologici. Eco aveva capito che le discipline umanistiche, sono campo di caccia di velleità. Spesso consolatorie, altrimenti, finanche, furbacchione. Ecco la necessità, di dotare i musei di allestimenti comprensibili. Perché l’archeologia è disciplina che indaga i segni e i musei sono il suo grande accessibile dizionario pubblico. Come nei musei europei in cui si valuta anche il trasferimento di competenze e conoscenze. In primis ai propri cittadini. Bisogna spiegarlo ai decisori che forse non conoscono bene il British di Londra, il Louvre di Parigi, o il Mucem di Marsiglia, che il turista internazionale ha visto. Agisce il passa parola e una vera pedagogia della storia più di mille estemporanei interventi a pioggia. |