“Giorgia Meloni, un pericolo sottovalutato”: intervista a Paolo Berizzi [di Daniele Nalbone]
https://www.micromega.net/ 16 Giugno 2022. Le ultime amministrative hanno sancito il successo della leader di Fdi, che si è presa la destra. Con Salvini ormai all’angolo, è Giorgia Meloni il vero rischio per la tenuta della democrazia italiana. Giorgia Meloni? “Un pericolo che è stato sottovalutato per troppo tempo”. Sembrava impossibile che potesse prendersi il campo della destra, “e invece, complice il fallimento di Salvini, è accaduto”. E ora? “Ora, proprio nell’anno del centenario della Marcia su Roma, il primo partito italiano ha nel suo simbolo la fiamma tricolore”. Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica e scrittore da anni impegnato a contrastare lo sdoganamento delle forze di estrema destra, non usa mezzi termini per analizzare l’esito del primo turno delle elezioni amministrative. A partire dall’affermazione del partito di Giorgia Meloni. Possiamo dire che ormai è Giorgia Meloni la leader della destra italiana? Lo abbiamo visto al comizio in Spagna al cospetto dei neofascisti di Vox, una platea di nostalgici del franchismo, xenofobi, omofobi. Non a caso all’estero FdI è considerato un partito di estrema destra, mentre in Italia centrodestra. Siamo vittime di una sorta di acquiescenza anche linguistica, e Meloni punta anche su questo: lo sdoganamento progressivo, che sta appunto, e persino, nelle parole usate da chi racconta la politica. Quelle parole poi si depositano e diventano pensiero comune. E il gioco è fatto. Quindi le responsabilità di questa affermazione sono anche del “circo mediatico-politico”? Meloni gode di un atteggiamento che definirei benevolo da parte di chi non perde occasione per definirla una leader moderna. Peccato che poi l’attuale leader della destra italiana non perda occasione per smentire tali analisti e commentatori politici. Lei tutto incarna fuorché una leader moderna: la sua visione è patriarcale, maschilista – cosa sorprendente considerando che è l’unica leader donna di partito in Italia -, xenofoba, intollerante. Se e quanto questa leadership durerà, però, è tutto da vedere. Fratelli d’Italia ha dei problemi enormi a livello di dirigenza: Meloni non ha cresciuto una classe dirigente degna di questo nome, intorno a lei c’è un vero e proprio vuoto politico. Inoltre, Fdi ha un enorme problema di presentabilità, con deputati, eurodeputati, consiglieri regionali, sindaci, assessori che non solo non rifiutano il periodo fascista, ma che anzi mostrano con orgoglio questa loro origine. Qual è l’elemento preoccupante di questa affermazione politica? Semplice. Che oggi primo partito in Italia, nel centenario della Marcia su Roma, è una forza politica che nel suo simbolo ha la fiamma tricolore, che affonda le proprie radici nel fascismo, e il cui leader proviene da quella storia e da quegli ideali. Non è un bel segnale per la nostra democrazia. Il primo turno delle amministrative racconta anche altro, all’interno della galassia di destra italiana. A Verona – città che hai analizzato nel tuo ultimo libro che abbiamo raccontato in questa intervista – le urne hanno visto Damiano Tommasi, candidato del centrosinistra, finire in prima posizione davanti al sindaco uscente, Sboarina, e al redivivo Tosi. A Verona la destra è andata in frantumi. È ancora possibile che Sboarina e il centrodestra vincano grazie all’appoggio di Tosi, ma la partita è aperta. E questo è un risultato enorme per la coalizione di Damiano Tommasi. La sfida è stata tutta interna alla destra, con Sboarina sostenuto da Meloni, Salvini e, ovviamente, da Zaia e Tosi a erodere voti alla grande alleanza. Il candidato di Giorgia Meloni, visto che Sboarina è un uomo di Fdi, ha fallito: mai prima d’ora era accaduto che un sindaco uscente prendesse così pochi voti. Tosi quando si ricandidò venne rieletto al primo turno con il 57 per cento dei voti. Mai prima d’ora la destra era stata costretta a inseguire in quel di Verona. Ora dovranno cercare alleanze, apparentamenti, e questa è già una sconfitta che potrebbe lasciare strascichi. In questo, fondamentale è stato proprio Damiano Tommasi che con una candidatura lontana dai partiti, larga, civica, costruita dal basso ha dimostrato che le destre, anche nelle loro roccaforti, possono essere colpite. Prima di arrivare a Matteo Salvini faccio una tappa nell’altro campo. Il tuo lavoro è, passami il concetto, “fatto in strada”. E allora ti chiedo, “dalla strada”, come valuti la situazione all’interno del Movimento 5 stelle?Dalla strada, soprattutto dalla strada, è evidente la palude nella quale il Movimento 5 stelle si è infilato. Una palude fatta di confusione, di alleanza col Partito democratico che un giorno è data per fatta e l’altro invece è saltata. Oggi o il Movimento si rifonda, o cerca un traino forte per sopravvivere. E il Pd per il Movimento è questo: un traino. Grillo, Di Maio e compagnia sono però chiamati a prendere una decisione, a partire dalla leadership di Giuseppe Conte che, al netto degli sforzi, del tour, delle campagne, non ha ottenuto risultati. Ma, attenzione, lo stesso discorso vale anche per il Pd: da solo non può contrastare il duo Meloni-Salvini, o ciò che rimane di Salvini. La sfida, come dimostra il caso di Verona con Damiano Tommasi, sarà quella di allargare il campo democratico. E veniamo a Matteo Salvini. A che punto è la sua carriera politica? Al tramonto. In piena fase discendente dopo i tanti, troppi tonfi – anche clamorosi – inanellati. Il referendum sulla giustizia e il primo turno delle amministrative sono solo gli ultimi due. Il tutto condito con incidenti e gaffe imbarazzanti, vedi il viaggio a Mosca. Da uomo che riempiva le piazze oggi è l’uomo che le svuota. A Belluno ho visto con i miei occhi la stessa gente che tre anni fa aspettava Salvini come il salvatore essere imbarazzato dalla sua presenza. È riuscito in un capolavoro tafazziano: ha portato la Lega dallo zero al 30 per cento, ha rivitalizzato un cadavere politico, e ora lo sta trascinando giù. La svolta nazionalista, la svolta all’estrema destra, l’alleanza con il Movimento 5 stelle. Tutto lo ha letteralmente distrutto. Se a questo aggiungiamo una politica sgangherata, ecco spiegato il fallimento della sua linea. E ora? So di “deadline” dentro la Lega, con la percentuale del 15 per cento come termine ultimo per sostituire quasi automaticamente il leader. E ora Salvini le sta provando tutte, è tornato a spingere sui social contro gli immigrati, a postare video e immagini di migranti che si macchiano di reati o comportamenti disdicevoli, a puntare il dito contro di loro. Per Salvini “chi si ferma è perduto”, altro slogan nostalgico, e così sta cercando disperatamente di ricicciare fuori vecchi temi, inseguendo quello che Meloni invece non ha mai smesso di fare. La sensazione? È disperato. Non sa cosa fare e allora si attacca ai vecchi cavalli di battaglia. Ma ormai l’elettorato si è girato dall’altra parte.
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