Per una visione complessa del paesaggio e strategica della tutela [di Monica Stochino]
Di seguito la Relazione integrale tenuta da Monica Stochino, Soprintendente Archeologia, Belle Ari e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna, nel corso del Quarto Seminario di Minima Juridica: Aspetti giuridico – legislativi della tutela del paesaggio. Il Seminario è stato organizzato, venerdì 27 maggio 2022, dall’Associazione Amici del Museo e dal think tank Sarda Bellezza, e si è svolto nell’ex Regio Museo, Piazza Indipendenza, Cagliari. ********************************************************************************* Nel corso dell’attuale dibattito inerente la modifica della Carta Costituzionale in favore dell’ingresso tra i principi fondanti del tema della tutela ambientale, sono emerse fra le argomentazioni favorevoli alla modifica, considerazioni che paiono aver retrocesso il concetto di tutela del paesaggio su posizioni ancorate a fatti percettivi e finanche visivi, ampiamente superate dagli approcci epistemologici al tema del paesaggio e dalle loro declinazioni sul versante della tutela operata sul piano amministrativo. Che la tutela dell’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, conquisti uno scranno costituzionale è certamente un fatto positivo della cui utilità proprio chi opera sul campo della tutela del paesaggio riconosce l’intera portata e potenzialità. Certo è che ciò non può avvenire con un meccanismo di deprivazione del concetto di paesaggio di tutta la sua complessità e portata, e della tutela paesaggistica di propri strumenti epistemologici, di metodo e operativi. Argomentazioni a favore della recente modifica tentano di relegare la tutela del paesaggio alla applicazione discrezionale di approcci estetizzanti ancorati primariamente al tema della percezione visiva. Queste argomentazioni paiono dimenticare che tali approcci furono già ampiamente superati dalle primissime formulazioni normative in materia di tutela del paesaggio, che pure rappresentano una attenuata espressione della temperie culturale coeva sul tema, stemperata appunto dalle esigenze della politica parlamentare. Ad una prima organica disciplina di tutela del paesaggio, infatti, si giunge nel 1922, con la legge n. 778, per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico, che permane in vigore fino al 1939. La norma fu preceduta da un decreto legge presentato due anni prima da Benedetto Croce, ministro della Pubblica istruzione nell’ultimo governo Giolitti (1920 – 1921), il quale, tra l’altro, aveva messo in luce “che anche il patriottismo nasce dalla secolare carezza del suolo agli occhi, ed altro non essere che la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, i quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli”. Con la norma vengono quindi sottoposte “a speciale protezione le cose immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza naturale e della loro particolare relazione con la storia civile e letteraria”. La relazione al disegno di legge, in particolare, anticipa tematiche e valutazioni poi riprese dalle leggi successive. Il concetto di beni rappresentativi dell’identità nazionale, sottoposti a tutela indipendentemente dalla loro qualità estetica e dalla percezione visiva, è presupposto concettuale, nel 1985 della legge n. 431, voluta da Giuseppe Galasso, che da ambiente culturale crociano proveniva. Pochi anni dopo, ministro Giuseppe Bottai, la legge 29 giugno 1939 n. 1497 sottopone a protezione due categorie di beni: le cosiddette bellezze individue e quelle di insieme e, per quanto l’approccio “estetizzante” e “vedutistico” sia evidente, non mancano spunti che hanno consentito di salvaguardare interi centri storici o paesaggi agrari attraverso l’interpretazione, neanche troppo estensiva, delle disposizioni di legge. I “complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”, espressamente tutelati dalla legge sono, infatti, costituiti, nell’accezione fornita dall’art. 9 del R.D. 1357/40, regolamento di attuazione, dalla “spontanea concordanza e fusione fra l’espressione della natura e quella del lavoro umano”. La normativa ha spesso così consentito di superare la mera tutela del valore estetico in favore di quella dei valori storici, testimoniali e finanche sociali. I numerosi provvedimenti di vincolo (circa un centinaio nel territorio di competenza della nostra Soprintendenza), tecnicamente vincoli di primo tipo, ancora oggi operano sul territorio come formidabili strumenti di salvaguardia che hanno consentito in plurime circostanze anche di surrogare alla normativa di tutela ambientale che si è spesso dimostrata non altrettanto efficace. Ma è al piano paesistico come tratteggiato dalla Norma e dal regolamento che il Legislatore affida le esigenze di tutela del paesaggio oggetto di una protezione “dinamica”, per il tramite di uno strumento capace di sottrarre le aree vincolate alle conseguenze perverse di una successione non coordinata di interventi, e che consente di apprezzare contestualmente gli effetti sull’ambiente dell’insieme delle trasformazioni assentibili. Le successive evoluzioni normative (legge 431/1985 Legge Galasso) amplieranno la portata del piano paesistico, equiparandolo di fatto ad un piano territoriale. Una evoluzione imprescindibile: la nuova norma aveva imposto la tutela di intere categorie di beni assunti quali elementi strutturanti del territorio nazionale, a prescindere da qualsiasi considerazione sulla loro qualità specifica, men che meno estetica, investendo gran parte del territorio (territori costieri, fluviali, lacustri, boscati, montani, usi civici, etc). Una svolta di tale portata con l’introduzione dei vincoli tecnicamente denominati di secondo tipo non poteva che costruire strumenti di più vasta scala per la gestione della tutela. A fare il punto sugli ulteriori avanzamenti concettuali che nei decenni successivi investono il campo della tutela del paesaggio, è nell’anno 2000 la Convenzione Europea del Paesaggio. Viene sancito il “diritto” delle popolazioni a godere di un paesaggio di qualità, quale “elemento chiave del benessere individuale e sociale”; introdotto il concetto di “percezione” del Paesaggio (“Paesaggio” designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni , il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni) esperienza multisensoriale a cui non è estraneo il vissuto di ciascuno, superando così definitivamente obsolete concezioni vedutistiche. Promuove la Convenzione i concetti di “Salvaguardia dei paesaggi” e “Gestione dei paesaggi”. Gestione dei paesaggi in particolare indica le azioni volte, in una prospettiva di sviluppo sostenibile, a garantire il governo del paesaggio al fine di orientare e di armonizzare le sue trasformazioni provocate dai processi di sviluppo sociali, economici ed ambientali. Concetti ampiamente riversati nel D. Lgs 42/2004 Codice dei Beni culturali e del paesaggio, e declinati da quest’ultimo, che definisce il paesaggio “territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”, tutelato per gli “aspetti e caratteri che costituiscono rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali”. Il Paesaggio che ne emerge è evidentemente una entità complessa il cui carattere deriva da molteplici fattori di natura diversa di cui l’uomo/ la comunità rappresentano però certamente la misura. Si tratta pur sempre di un concetto tutto interno alla tutela del patrimonio culturale. Il Codice fornisce un formidabile strumento di conoscenza e di governo di tale entità, il piano paesaggistico, in grado di risolvere il tema cruciale della conoscibilità dell’oggetto della tutela, nei termini di una comprensione della complessità che non diviene impropria semplificazione, e si incardina sul dispositivo procedimentale della copianificazione, strumento centrale delle strategie di gestione del territorio . Le esigenze di salvaguardia e gestione del paesaggio poste dalla Convenzione e accolte e declinate in termini normativi dal Codice, pongono in campo due tematiche sostanziali: da un lato il tema della conoscibilità e comprensione di una entità complessa, dall’altro il tema della possibilità dell’azione. Sul versante della conoscibilità, l’epistemologia della complessità (Morin 1977) avverte che la complessità non può essere ridotta ad una somma di oggetti semplici, deve essere mantenuta nel suo stato. L’approccio di stampo riduzionista è inadeguato a comprendere il mondo delle complesse interazioni che si esplicano intorno alla problematica del paesaggio. Comprendere quindi non significa semplificare, solo le entità complicate ammettono una semplificazione, ma cogliere tutti gli elementi e tutti i caratteri che rendono complessa quella entità. Il senso del rispetto dell’oggetto complesso vincola l’azione conoscitiva. È inoltre necessario prendere coscienza di un buon grado di incertezza o indeterminatezza insito in tutta la scienza e specie in quella del paesaggio. In quest’ottica l’approccio strategico è il solo a garantire possibilità reali di agire per la tutela del paesaggio Fra gli strumenti posti in campo, certamente quelli discendenti dalla pianificazione territoriale rappresentano la più avanzata soluzione al tema della conoscibilità del paesaggio. Ma forse anche per la specifica connotazione di strumenti di conoscenza e insieme di salvaguardia e gestione, esigenze che paiono spesso imporre un approccio semplificatorio, sono frequentemente connotati da un sostanziale incapacità di cogliere pienamente la complessità del tema del paesaggio. Per esemplificare, in Sardegna il Piano paesaggistico regionale, approvato con Deliberazione Della Giunta Regionale 5 settembre 2006, n. 36/7, introduce una modalità di approccio al tema della costruzione delle conoscenze estremamente articolata che si fonda su una lettura per Assetti, Componenti e Beni. Gli Assetti Ambientale, Storico-culturale, Insediativo propongono una lettura per profili di interesse e implementano, per il tramite della propria chiave di lettura, Componenti e Beni, tipizzati e cartografati, dei quali il Piano codifica le modalità di riconoscimento (Definizioni) e di salvaguardia e gestione (Disciplina: Prescrizioni, Indirizzi). Un approccio geografico al tema della conoscenza e deterministico al problema della tutela che pone innumerevoli difficoltà e mostra spesso tutta la propria inadeguatezza. Solo con la lettura e per Ambiti, dell’ Atlante degli Ambiti di Paesaggio, e con le relative Schede, si opera la ricostituzione della complessità del tema. L’ambito di paesaggio “rappresenta l’area di riferimento delle differenze qualitative paesaggistiche del territorio regionale. L’ambito di paesaggio è un dispositivo spaziale di pianificazione del paesaggio attraverso il quale s’intende indirizzare, sull’idea di un progetto specifico, le azioni di conservazione, ricostruzione o trasformazione. È nelle letture delle analisi e delle strategie degli Ambiti di paesaggio che la tutela operata sul versante amministrativo trova ancora oggi i più potenti e formidabili strumenti di conoscenza e di governo delle trasformazioni. In sostanza, la natura intrinseca del paesaggio non può prescindere da un approccio olistico che sia in grado di porre in luce l’ulteriore valore d’insieme che attiene alla somma delle singole componenti o elementi semplici del paesaggio conosciuto con un approccio scientifico. E pertanto occorre progettare la nostra azione, anche conoscitiva, sul paesaggio, mantenendo inalterato il carattere di complessità del tema. Sul versante della possibilità di azione finalizzate alla gestione del paesaggio raccomandata dalla Convenzione Europea, che assegna centralità di “procedure di partecipazione del pubblico, delle autorità locali e regionali e degli altri soggetti coinvolti nella definizione e nella realizzazione delle politiche paesaggistiche”, l’approccio classificatorio del PPR scoraggia il coinvolgimento delle comunità La conoscenza scientificamente determinata del territorio attraverso la griglia di lettura proposta dal Piano rischia di escludere dalla lettura la possibilità di considerare visioni differenti, ulteriori o anche contrastanti del medesimo, eventualità che invece sono proprie della riconosciuta complessità del tema del paesaggio, Ed è esperienza di tutti quanti operano sul Piano Paesaggistico come anche i pochi momenti di partecipazione prescritti e codificati dal Piano non si concretizzino nella realtà come momenti di partecipazione al riconoscimento dei valori e delle modalità di gestione del paesaggio, quanto in una mera adesione ad un procedimento amministrativo collaterale. È il caso dell’art. 49 delle NTA del PPR che rinvia alle fasi di adeguamento degli strumenti urbanistici comunali l’individuazione di perimetri di tutela paesaggistica e di disciplina delle cosiddette “Aree caratterizzate da edifici e manufatti di valenza storico culturale”. Elementi di valore e qualità del territorio tutelato che negli strumenti urbanistici divengono, nel loro insieme, mero strato informativo cartografico utile al più alla assunzione di limiti alla azione pianificatoria, ma mai elementi centrali di una visione strategica del territorio e delle sue potenzialità. Si tratta allora di promuovere nuovamente una visione complessa del paesaggio e di mettere in campo modalità nuove di azione. Agire nella complessità deve partire dalla presa di coscienza del fatto che l’azione stessa presenta i caratteri della complessità ed è contemporaneamente qualcosa di più e di meno degli atti che la formano. La complessità non richiede l’assunzione di decisioni categoriche e immutabili, ma richiede la strategia, perché solo la strategia può consentirci di avanzare in ciò che è incerto e soggetto agli eventi. La strategia consente, muovendo da una posizione iniziale, di ipotizzare un certo numero di scenari per l’azione, che saranno determinati dalle innumerevoli visioni, non immutabili, che concorrono a definire la conoscibilità del tema del paesaggio, e dagli eventi e informazioni che arriveranno nel corso dell’azione. Cosa manca sostanzialmente perché un tale approccio al problema, sul piano teorico generalmente condiviso, sia posto in campo e possa finalmente dare i propri frutti: manca la competenza. Serve un impegno congiunto di tutti gli attori in campo ad agire sul piano della formazione, perché governare i processi conseguenti a questo cambio di paradigma richiede di manovrare con estrema consapevolezza strumenti diversi e nuovi. Solo questo cambio di paradigma potrà produrre la più ampia condivisione della esigenza della tutela del paesaggio-territorio, nella vasta accezione fin qui tratteggiata, quale luogo fisico e reale nel quale, nel bene e nel male, si stratificano le aspirazioni della comunità (Gambino 2009).
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