La tutela penale dei beni culturali [di Marco Cocco]

Di seguito la Relazione tenuta da Marco Cocco, Sostituto della Repubblica del Tribunale di Cagliari, nel corso del Quarto Seminario di Minima Juridica: Aspetti giuridico legislativi della tutela del paesaggio. Il Seminario è stato organizzato, venerdì 27 maggio 2022, dall’Associazione Amici del Museo archeologico nazionale di Cagliari e dal think tank Sarda Bellezza, e si è svolto nell’ex Regio Museo, in Piazza Indipendenza, Cagliari (NdR).

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Se ci si deve occupare della tutela penale del patrimonio culturale, occorre prendere le mosse dall’art. 9 della Costituzione e, in particolare, dal secondo comma: “[La Repubblica] tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico nazionale”.Due aspetti sono immediatamente evidenti:

  • 1) L’accostamento tra il paesaggio e il patrimonio storico e artistico.

Anche Kant, nella Critica del Giudizio, distingueva dapprima, e poi accostava l’uno all’altro, il “bello di natura” e il “bello d’arte”. Nel decreto legislativo 42/2004, il c.d. Codice Urbani, all’art. 2, si fa riferimento al patrimonio culturale, come genus che ricomprende i beni culturali (es. quelli di interesse archeologico) e i beni paesaggistici. Non deve sfuggire, però, che i primi hanno natura statica (es., un bronzetto nuragico quello è e quello deve restare), mentre il paesaggio necessariamente cambia, deve cambiare (anche a prescindere dalla presenza o dall’intervento dell’uomo: basti pensare al profilo delle nostre coste, che muta per il fenomeno dell’erosione).

  • 2) Il riferimento al patrimonio storico e artistico senza definizioni o spiegazioni, come se tutti fossero immediatamente in grado di sapere in che cosa esso consiste.

Ma forse non è così semplice.

Ci si può innanzi tutto intendere sulla parola “patrimonio”, richiamando l’etimo latino che unisce pater e munus e individuando quindi un dovere di tutelare l’eredità dei padri, del passato. Ma quando il bene diventa “culturale” e quindi entra a far parte del patrimonio omonimo?

Sono possibili due risposte a questa domanda:

  1. Quando il valore culturale del bene sia riconosciuto dall’Autorità preposta: in questo caso, si tutela (anche penalmente) il patrimonio culturale dichiarato. Il vantaggio è evidentemente rappresentato dalla certezza che tutti hanno, e non possono negare di avere, a disposizione: il formale riconoscimento del valore culturale del bene non consente a nessuno di trattarlo come un oggetto qualsiasi. È chiaro che un sistema del genere funziona se e in quanto esiste e opera un adeguato sistema di classificazione ufficiale dei beni.
  2. Quando il valore culturale sussiste, a prescindere dal formale riconoscimento dell’Autorità: in questo caso, si tutela il patrimonio culturale reale. E allora, in un sistema di questo tipo, non avrebbe fortuna, per esempio, la difesa di chi, avendo trasportato nel suo giardino un “masso” rinvenuto in un bosco, opponga che non poteva avvedersi dell’inestimabile valore archeologico del reperto. Insomma, la tutela del patrimonio culturale reale sacrifica l’esigenza di certezza a favore di una protezione del valore effettivo del bene, ma presuppone che si sia in grado di riconoscere il valore culturale o, quanto meno, di rappresentarsi la possibilità che esso sussista.

Questa esigenza si pone proprio perché il valore culturale del bene non dipende dalle sue caratteristiche obiettive (nell’esempio proposto, effettivamente, dal punto di vista materiale, si trattava di un “masso” in tutto simile ad altri), ma dall’unione inscindibile tra quel substrato materiale e il suo valore ideale.

Ma se questo è vero, l’intervento penale a tutela del bene (e quindi del patrimonio) culturale richiede necessariamente che quel valore ideale, o immateriale, del bene sia conosciuto o quanto meno conoscibile.

Credo allora si possa agevolmente riconoscere:

  • Da un lato, che la tutela giuridica del patrimonio culturale costituisce un sistema complesso, nel quale il diritto penale deve costituire l’extrema ratio, l’ultima frontiera.

Prima di esso, devono essere previste – e nel nostro sistema sono in effetti previste –  altre misure, e devono aver luogo altri interventi, che anticipano l’esigenza di un intervento penale.

Ad esempio, è necessario che si attivi l’autorità amministrativa, anche irrogando sanzioni pecuniarie e soprattutto imponendo attività di ripristino del bene.

  • Dall’altro, che quell’ultima frontiera non può mancare e deve essere adeguata.

Ciò, se non altro, proprio perché esiste l’art. 9 co. 2 Cost., che riconosce dignità costituzionale al patrimonio culturale e, come detto, impegna la Repubblica a tutelarlo.

Non è però inutile chiedersi per quali specifiche ragioni sia necessaria la tutela penale del patrimonio culturale. La prima risposta potrebbe essere intuitiva: perché chi sbaglia, es. ricevendo un reperto archeologico del quale altri si sia illecitamente impossessato, viene punito. Una risposta di questo tenore non sarebbe sbagliata, ma certamente sarebbe parziale.

La norma penale (sostanziale e processuale) non serve solo per punire il responsabile di un fatto illecito già accaduto. Questa funzione repressiva, infatti, non è l’unica, e forse neppure la più importante, della norma incriminatrice. Essa serve anche a prevenire la realizzazione di altri fatti dello stesso tipo, da parte di quella stessa persona (prevenzione speciale) o da parte di altri (prevenzione generale).

La sanzione penale, dunque, anche in questo specifico settore, svolge almeno 3 funzioni (sanzionatoria; specialpreventiva; generalpreventiva). Ma occorre segnalarne un’altra, a mio avviso più importante, in questo settore. Quando il legislatore decide di sanzionare penalmente un certo comportamento, orienta, anche, i valori della comunità. Nel caso in esame, il valore è, ovviamente, quello dell’importanza da riconoscere ai beni culturali.

Analoghe considerazioni potrebbero valere, stando all’art. 9 Cost., come è stato modificato dalla Legge costituzionale 11 febbraio 2022, nr. 1: per i delitti contro il sentimento per gli animali (Titolo IX-bis del Libro II c.p., introdotto con la L. 20 luglio 2004, nr. 189); per i c.d. Ecoreati (o delitti contro l’ambiente, Titolo VI-bis del Libro II c.p., introdotto con la L. 22 maggio 2015, nr. 68).

Potremmo parlare di funzione promozionale (o pedagogica) del diritto penale. E non si può negare che tale funzione promozionale dei valori, grazie alla norma penale, non si indirizza solo alla generalità dei consociati, ma coinvolge anche i magistrati, che quelle norme sono chiamati ad applicare. A questo punto, deve riconoscersi la realizzazione di queste funzioni dipende (non solo e non tanto) dall’esistenza di una norma penale (dal fatto che essa “esiste”), quanto piuttosto dal contenuto di questa norma e dai suoi rapporti con le altre norme dell’ordinamento: dipende, in altre parole, da “come è fatta” la norma.

L’effettiva formulazione della norma penale, infatti, condiziona le possibilità di applicarla ai casi concreti. Ci si può limitare a un solo esempio: se il furto di un reperto nuragico di inestimabile valore è punito come il furto della banconota da dieci euro che era custodita su un’autovettura lasciata in sosta per strada, si comprende bene che la funzione promozionale del diritto penale, e tutte le altre funzioni citate in precedenza, rischiano di essere, nel concreto, vanificate.

L’esempio proposto descrive esattamente la situazione in Italia prima del 23 marzo 2022.Quel giorno, infatti, è entrata in vigore la Legge 9 marzo 2022, nr. 22. Essa ha introdotto il Titolo VIII-bis del Libro II del codice penale, Dei delitti contro il patrimonio culturale.

In estrema sintesi, ha:

  1. Introdotto una pena più alta, rispetto ai corrispondenti reati che abbiano oggetto diverso rispetto ai beni culturali. Per es., il furto di beni culturali (art. 518-bis c.p.) è punito ora più gravemente rispetto al furto comune e anche più gravemente rispetto al furto con strappo (c.d. scippo, art. 624-bis c.p.);
  2. Incentrato quindi la riforma (non sul comportamento, ma) sul bene (culturale, appunto) che è oggetto di quel comportamento.

L’orientamento generale della riforma è quello della tutela del patrimonio culturale reale (anche se con una scelta non netta). I primi commenti dell’intervento di riforma sono in prevalenza positivi.

Mancano, ovviamente, fino a oggi, perché non c’è stato il tempo, concrete esperienze applicative di quelle norme. Non resta che aspettare, per verificare insieme se, e come, quelle funzioni della norma penale saranno realizzate. E se, e come, sarà cambiata la nostra sensibilità culturale, come cittadini e come magistrati.

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