Alla Gnam si riflette su un mondo in fiamme [di Guglielmo Gigliotti]

https://www.ilgiornaledellarte.com 27 dicembre 2022. Roma  26 artisti internazionali interrogano gli squilibri dei rapporti tra gli uomini e la natura.  Fino al 26 febbraio una mostra alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, curata da Gerardo Mosquera, illustra, con 26 lavori di artisti di tutto il mondo, alcuni dei modi con cui l’arte affronta le preoccupazioni per il futuro del pianeta. Non è tuttavia una mostra di denuncia, ma di riflessione sugli squilibri del rapporto uomo-natura, secondo letture simboliche.

Il titolo della mostra «Hot Spot», per esempio, è quello di una grande scultura di Mona Hatoum, che rappresenta la sfera terrestre con i confini tra i Paesi in forma di linee luminose e incandescenti. Tutto brucia, e le acque salgono. Il video di Ange Leccia rappresenta proprio la filigrana grafica, come in negativo, di grandi onde che si espandono l’una sull’altra. Nel video del coreano Kim Juree, invece, l’acqua porta al disfacimento un edificio di argilla. Nell’installazione di Pier Paolo Calzolari, lo stesso elemento viene trasformato da un refrigeratore in ghiaccio. Ciò non ferma le esondazioni dei fiumi nel mondo, documentate da Gideon Mendel, con fotografie dall’effetto drammatico ma mai patetico, di vittime di alluvioni avvenute in varie parti del pianeta.

Gli animali ci guardano sbigottiti, come i gorilla in bronzo di Davide Rivalta, o muoiono, come la scimmia e lo stallone in polvere di marmo e resina di Daphne Wright. La novantaduenne americana Ida Applebroog ha realizzato quattro anni fa con materia colante una serie di uccelli in giallo, freschi e vibranti, posti in dialogo, nel museo romano, con il volatile della natura morta del 1930 di Filippo de Pisis. La presunta supremazia dell’uomo rispetto alla natura è emblematicamente oggettivata da John Baldessarri in un video del 1972, dove una voce umana è impegnata a insegnare le lettere dell’alfabeto a una inerte pianta.

Pistoletto, invece, con l’installazione «Cinque tronchi divisione moltiplicazione» del ’72, prestata dal Mart, dispone specchi all’interno di tagli incisi in fusti arborei, permettendo una riflessione interna del naturale col naturale, promossa però dall’uomo, secondo intenti di ricomposizione dell’unità perduta. Un ristabilimento degli equilibri che Andrea Santarlasci emblematizza nel bilico tra una grande radice d’albero secca e un modellino in vetro di edificio.

Gli alberi, o ciò che resta di essi, sono al centro anche della performance corale concepita dalla polacca Cecilia Malik, ispirata all’indiscriminato disboscamento avvenuto negli ultimi anni nel suo Paese: donne allattano i loro figli sedute su tronchi divelti, innestando simbolicamente ipotesi di rinnovata coscienza di vita universale, dove altri hanno distrutto.

Il brasiliano Alex Cerveny ricongiunge l’umano e l’arboreo in una grande silhouette su carta, di grafica sintesi vegetale-animale. Il sapore arcaico di questa raffigurazione, come del rito inscenato dalla Malik, permette di scorgere in un passato lontano della nostra storia possibili soluzioni per il suo futuro. Così almeno da rispondere allo sguardo sbalordito del piccolo uccello collocato in posa immobile, dal fotoartista Alejandro Prieto, a cospetto delle pareti di filo spinato che tracciano il confine tra Messico e Stati Uniti.

D’altronde come afferma il curatore, «la vita sulla Terra ha un’enorme capacità di resilienza». Quindi, «tra il fallimento del progetto moderno e la possibilità di uno sviluppo armonioso» (nelle parole sempre di Mosquera), si pongono anche mostre di questo tipo, soprattutto se realizzate da musei come la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea che, sotto la direzione di Cristiana Collu, ha approntato, a principiare dal 2016, primo museo in Europa……

 

 

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