Il canalone sarebbe come una cicatrice [di Mauro Gargiulo]
È singolare la tesi sostenuta dall’Amministrazione comunale di Sassari secondo la quale alla soluzione proposta per il Fosso della Noce, non vi sarebbero alternative progettuali. La tecne non dovrebbe mai esprimersi in termini ultimativi e, comunque, in fase di “prefattibilità” sarebbe d’obbligo porre sul tavolo tutte le opzioni. Il canalone sarebbe come una cicatrice possibili in relazione agli impatti ambientali, economici e sociali che dalle scelte conseguirebbero. Tutto questo si traduce in un dovere civico in capo all’Amministrazione. Alternative al “canalone” di fondo valle ed alla “condotta” passante sono state proposte dal Comitato dei Cappuccini e dai tecnici dell’Università di Sassari, vanamente ricevuti in Comune. Peraltro la soluzione adottata non sembra sfuggire ad ampie riserve. L’idea di far confluire rapidamente lungo il fondo cementato gli effetti pluviometrici conseguenti ad una “bomba d’acqua”, dopo aver denaturalizzato il Fosso non può che lasciar dubbi sugli imponderati effetti conseguenti alla cinetica delle portate e sulla tenuta di condotta e muraglione. D’altro canto, irrisolto appare il problema del collegamento delle valli, mentre ulteriori elementi di criticità sono, ad adiuvandum, la pista per i servizi di cantiere (spacciata per ciclabile) e la conservazione delle aree a parcheggi. L’approccio progettuale in chiave esclusivamente idraulica appare quanto meno riduttivo rispetto alla complessità della problematica in gioco, che andrebbe affrontata anche in una prospettiva ambientale e paesaggistica, ovvero in chiave olistica secondo un’ottica ecologica. La valenza paesaggistica di quello che dovrebbe urbanisticamente evolvere verso un “parco urbano”, non dovrebbe nemmeno essere revocata in discussione. L’escavazione profonda del compluvio, la realizzazione di opere di contenimento considerevoli per dimensioni e modalità di realizzazione, gli apprestamenti cantieristici alcuni dei quali permanenti, il taglio indiscriminato della rigogliosa vegetazione, finirebbero per costituire una cicatrice non rimarginabile inferta ad una città che porta già ampi segni di passate violenze. La Valle urbana ha assicurato alla città, silente e per lungo tempo, servizi ecosistemici vitali. Cattura di CO2, conservazione di suolo organico, copertura vegetale, rifugio faunistico, fruizione estetica, fusione sociale. In una “città di pietra”, qual è Sassari, l’odio per il verde urbano, in questi anni di delirio cementificante, ha cooptato aiuole rinsecchite, smembrato parchi storici, snaturato orti botanici. Nella sua appartata solitudine il Fosso sembrava poter essere sfuggito alla furia glaucoclasta di urbanisti ed amministratori. Forse è per questo che i Sassaresi oggi ritrovano in questi dimenticati lacerti verdi il barlume di un’irriconoscibile identità e si ribellano al mainstream tecnocratico. Amministrare una città significa confrontarsi con la Comunità, interpretarne le attese, anticiparne le istanze. L’onere di questo faticoso incedere è dettato non dalla Convenzione di Aarhus o dalle Direttive europee sull’obbligo del debat public: è il sale della Democrazia! L’assenza dialettica maschera la latenza di ascolto: una condizione di imposta afasia, che la comunità non è disposta a subire. Italia Nostra Sardegna, in aderenza al pensiero ecologico, non può che unirsi a questo coro. Presidente regionale di Italia Nostra
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