L’incompetenza condanna la Sardegna [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 27 luglio 2023. La città in pillole. “Si protegge ciò che si ama, si ama ciò che si conosce” la frase di Giulia Maria Crespi, fondatrice del FAI, è sentimentale quanto politica. La politica, infatti, senza amore per il prossimo e il bene comune è puro strumento di dominio e di interessi privati. D’altronde, solo la sapienza e l’educazione consentono di riconoscere i luoghi, di amarli, e di tutelarli. La necessità di ripartire da Gramsci lo raccontano le valutazioni, Ocse Pisa e Invalsi, su competenze e conoscenze degli studenti della Sardegna. L’isola è ultima. Lo è da troppi anni nell’indifferenza. Non lo fu, in una parentesi, quando la Regione Sardegna adottò i protocolli dei paesi che primeggiano, come si fa in tutte terapie validate, con fondi del bilancio ordinario e grazie alle opportunità della scuola dell’autonomia. Ecco il richiamo a Gramsci che ha insegnato al mondo quanto l’istruzione sia rivoluzionaria perché fondante l’autocoscienza che restituisce la possibilità di sottrarsi a chi autoriproduce il proprio dominio, capitalizzando la subalternità in cui si è relegati per deficit di conoscenza e di competenza. Aveva verificato, in Sardegna e a Torino, quanto la fragilità educativa fosse connessa alla classe di origine. Ecco perché la Costituzione volle ovviarvi, soprattutto, con l’art.3, con l’art.9 e gli altri affinché fossero garantite le pari opportunità a prescindere da luogo e classe sociale. Ecco la necessità del diritto allo studio come insieme di pratiche che fanno educante ogni comunità. Non c’è necessità di particolari scavi nelle posture decisionali delle classi dirigenti, a principiare dai decisori politici, per capirne l’incapacità di sciogliere il nodo dell’istruzione, padre e madre degli altri. È l’incompetenza che condanna la Sardegna all’irreversibile destino di piattaforma di mille servitù sul suo paesaggio rurale, urbano e marino. Un indistinto nonluogo. Una periferia, senza soluzione, a partire da Cagliari. Sintomo, nelle sue declinazioni, di un patologico disamore, figlio dell’incompetenza su cosa sia stato e sia il rapporto tra urbs e civitas. Quando Marc Augé, mancato in questi giorni, discusse a Cagliari con Giulio Angioni, era già in corso la trasformazione da luoghi del vissuto, in senso antropologico, a luoghi d’uso, spaesanti perché reificati. Che oggi siano, a pieno titolo, nonluoghi, è un dato. Cosa altrimenti, il centro di Cagliari e di molti “borghi turistici “, enfatizzati dall’ apparato propagandistico? A destra e a manca, non fa molta differenza. |
Sos Sardos semus su ‘pópulu’ de nedhue, sa zente de vattelapesca, zente de no isco ite. ‘Intellettuali’ DOCENT.