Percezione e rappresentazione dei rischi da incendio boschivo. Valutazione delle pratiche locali sosteni-bili di prevenzione in un contesto mediterraneo (1) [di Benedetto Meloni e Antonello Podda]

Abstract: I rischi ambientali possono essere analizzati (e gestiti) con maggiore efficacia all’interno di specifici contesti territoriali per aree socioeconomiche omogenee. Nel campo del rischio ambientale lo studio delle correlazioni contestualizzate consente di ragionare sui meccanismi sociali generativi, di individuare scenari di interazione tra fattori endogeni del sistema locale. L’analisi del fenomeno incendi nella regione Sardegna dal 1951 al 2012, per regioni agrarie, mostra una correlazione elevata con comportamenti sociali poco attenti alle modalità di utilizzo delle risorse, legati a trasformazioni profonde e all’apparenza inarrestabili (addensamento urbano, insediamento costiero, abbandono agricolture collinari). La nostra ricerca ha posto al centro dell’attenzione il venir meno delle regole che governano un territorio. Più che macro progetti tendenti a perfezionare l’apparato di lotta e di spegnimento viene alla luce che le soluzioni più durature e meno costose sono la prevenzione e le regole d’uso dei suoli utili. La ricerca si pone inoltre l’obiettivo di verifica della percezione e dell’accettabilità sociale di alcuni strumenti di policy (interni al Piano Paesaggistico, Piano di Sviluppo Rurale, al Piano Antincendio) ai fini della creazione di forme di governance condivise, in riferimento al ruolo delle comunità locali, degli operatori agricoli e dei volontari della Protezione Civile.

1. Premessa di metodo: rapporto tra rischio e contesto

Il rischio ambientale è una dimensione tipica della società moderna, frutto dell’azione dell’uomo e delle sue decisioni, assunte singolarmente ma soprattutto in forma collettiva (Beck 1999). Questo tipo di rischio riguarda l’inquinamento delle acque, la desertificazione, il versante idrogeologico, gli incendi: tutte contingenze dovute ai comportamenti e all’abbandono delle pratiche e delle regole di governo di un territorio. In questo senso, il rischio riguarda le società, non le persone, per cui la questione si trasferisce dalla sola dimensione naturale alle implicazioni della relazione “uomo-ambiente” o, meglio, “uomo-territorio”. Quando si parla di rischio ambientale si richiama, pertanto, la necessità di superare l’artificiosa separazione tra spazio fisico e sociale, per prestare attenzione al quadro delle relazioni tra società e ambiente, che deve essere studiato sia sul piano dei comportamenti materiali che su quello cognitivo e culturale (Catton, Dunlap, 1980).

Le cause del rischio sono dovute a specifici processi di trasformazione dell’ambiente ad opera dell’uomo, gli effetti conseguenti hanno un rilevante impatto economico e sociale, strettamente legato alla cultura e alla percezione (Douglas, 1996). Il comportamento collettivo è, infatti, connesso anche alla rappresentazione che individui e gruppi hanno della probabilità di venire a contatto con l’evento rischioso, alla sua gravità, al fatto che esso sia attribuito a cause naturali puntuali o a comportamenti umani incontrollabili.

Da questi assunti teorici derivano due conseguenze analitiche. La prima, che è anche premessa di metodo per lo studio dei rischi, è che questi possano essere analizzati (e di conseguenza gestiti) con maggiore efficacia all’interno di specifici contesti territoriali e socio-economici. In tale percorso analitico è necessario procedere alla contestualizzazione e alla delimitazione d’ambito per aree territoriali in cui si localizzano le fonti di rischio.

Per questa via è possibile rilevare, attraverso indicatori appropriati, la causalità multipla, a partire da una gerarchia ben definita della multifattorialità dei rischi. Così facendo, si migliorano le strategie di intervento e di prevenzione e, come mostra lo sviluppo dell’epidemiologia (Vineis, 1990) ci sono problemi leggibili a scala ridotta, che consentono di elaborare modelli di società locale a partire da elementi ritenuti rilevanti per comprendere comportamenti e origine sociale dei rischi.

Nel campo del rischio ambientale lo studio delle correlazioni contestualizzate consente di ragionare sui meccanismi sociali generativi, di individuare scenari possibili di interazione tra fattori endogeni del sistema locale, ipotizzando scenari futuri, anche a partire dai caratteri specifici, sia in termini di capacità di autoregolazione che in termini di vulnerabilità endogena dei sistemi locali. Quindi, la contestualizzazione consente di mostrare alcuni nessi tra società locale e ambiente, e quest’ultimo viene assunto in forme diversificate territorialmente.

La seconda conseguenza per l’analisi del rischio è che ne esista una forma “soggettiva”, non solo oggettiva, che può essere analizzata “autonomamente”, perché legata alla percezione personale, alle mappe mentali, al riconoscimento dei problemi ambientali nelle rappresentazioni sociali (Douglas, 1992) e, in genere, alla cultura: partiamo dal presupposto che i cittadini non percepiscono i rischi nello stesso modo in cui li percepiscono gli esperti.

Stante queste premesse gli strumenti per l’analisi dei rischi soggettivi diventano i concetti di percezione e rappresentazione. Esiste una differenza tra i due livelli cognitivi: a fronte di un riconoscimento di problemi ambientali (percezione) può non manifestarsi una sensibilità e un voler agire per l’ambiente nel vissuto quotidiano (rappresentazione). La rappresentazione è una forma di sapere pratico che lega un soggetto ad un oggetto, a un contesto, frutto dell’adattamento all’ambiente che lo circonda (Wilkinson 2002).

È al contempo un’elaborazione di livelli diversi di percezione dell’ambiente, una coscienza sociale elaborata e condivisa, che orienta i comportamenti ed è dotata di un obiettivo pratico concernente la costruzione di una realtà comune a un insieme sociale (Moscovici, 1977; Mathieu, Jollivet, 1989), perciò la rappresentazione orienta l’agire anche quotidiano degli individui e dei gruppi (Jeffrey, 2001; Meloni, 2006).

2. La ricerca – percorso metodologico

L’attività di ricerca è stata localizzata in contesti territoriali specifici individuando tre aree pilota, e ha affrontato problematiche collegate agli impatti del cambiamento climatico sull’ambiente naturale e antropizzato, con particolare riferimento alle condizioni di rischio indotte da questi mutamenti, specificamente in materia di incendi.

L’obiettivo generale è stato quello fornire strumenti per compensare gli effetti negativi di una serie di eventi naturali legati alla variabilità climatica nella situazione territoriale esistente, mettendo a fuoco le connessioni con particolari mutamenti associati a comportamenti sociali ed economici poco attenti alle modalità di utilizzo delle risorse ambientali, che hanno prodotto negli ultimi cinquant’anni trasformazioni profonde e all’apparenza inarrestabili.

L’addensamento urbano, l’insediamento costiero, l’abbandono delle zone agricole meno fertili di media e alta collina e l’abbandono delle agricolture tradizionali, ci confermano che non si tratta di un fenomeno solo fisico, ma legato ad aspetti sociali ed economici.

Il centro dell’attenzione è il venir meno delle regole che governano un territorio, la pressione umana sulle risorse – e, dunque, i comportamenti sociali – e il rapporto tra sviluppo sostenibile e gestione complessiva delle risorse ambientali. Riteniamo infatti che, più che i macro progetti tendenti a perfezionare l’apparato di lotta e di spegnimento, siano la prevenzione e le regole d’uso dei suoli (che vanno ad incidere sui comportamenti e quindi sull’individuazione di variabili culturali, sociali ed economiche), vale a dire soluzioni più durature e meno costose, a dare una risposta non effimera al problema della gestione sostenibile delle risorse ambientali.

Con questi presupposti, la ricerca si è proposta di porre al centro una serie di questioni necessarie per affrontare la gestione sostenibile integrata del rischio incendi:

  1. a) come premessa di metodo, che il rischio incendi e le politiche di mitigazione e sostenibilità possano essere analizzati con maggiore efficacia all’interno di specifici contesti territoriali e storico-culturali; di conseguenza, che la messa in atto di buone pratiche locali di prevenzione richieda di assumere i saperi e le pratiche locali;
  2. b) i concetti di percezione e rappresentazione sociale del rischio incendi come strumenti sia per l’analisi del rischio, sia per lo studio delle modalità di condivisione delle politiche finalizzate alla gestione sostenibile delle risorse ambientali;
  3. c) inclusione dei portatori di interesse nei progetti relativi al rischio ambientale si pone in opposizione alle forme di intervento tecnico che prescindono dai saperi locali e dalla comunicazione. La finalità è quella di rafforzare la relazione tra sapere esperto e sapere diffuso.

La ricerca è pensata, quindi, in primo luogo come un’operazione di tipo conoscitivo, che si affianca a un progetto operativo, per fornire al committente informazioni relative al fenomeno incendi, alla percezione e alla conoscenza dell’incendio boschivo. Contemporaneamente, si propone anche come un supporto adeguato a favorire l’informazione, la partecipazione e la formazione degli utenti (operatori, volontari, amministratori ecc.), sempre più necessarie quando un progetto richiede decisioni che implicano rischi per le comunità coinvolte.

La ricerca è stata strutturata, perciò, come ambito d’assunzione e di trasmissione di informazioni sul progetto, ai fini di successivi momenti informativi e formativi, all’interno dei quali sia possibile il controllo delle informazioni rese e la valutazione delle proposte di intervento. Tutto ciò a partire dal fatto che le popolazioni interessate alla gestione del rischio incendi – operatori, enti pubblici, gestori della risorsa suolo, agricoltori – sono informate e possono trasmettere le proprie conoscenze specifiche, con l’obiettivo di migliorare il progetto e, per quanto riguarda gli operatori rurali, le proprie condizioni di vita. La ricerca è stata divisa in tre sottofasi:

  • Indagine statistico territoriale volta alla costruzione di un database omogeneo sugli incendi in Sardegna a partire dai dati disponibili, comprese le schede INCE.
  • Survey con questionario sulla valutazione percezione e conoscenza del rischio incendio, ulteriormente articolata in quattro attività:
    • Somministrazione del questionario on line di valutazione della conoscenza dei rischi da incendio boschivo e idrogeologico e dell’impatto della variabilità climatica sui rischi stessi (campione costituito da 300 Volontari della protezione civile e 28 dipendenti del Servizio Protezione Civile);
    • Svolgimento di un Focus Group con la struttura del Corpo forestale per la restituzione dei primi risultati e la definizione del quadro analitico della ricerca;
    • Survey con questionario in tre contesti territoriali (117 questionari, distribuiti nelle tre aree in maniera proporzionale);
  • Forum Tematici Territoriali, per la restituzione dei primi risultati della ricerca.

3. Evoluzione del fenomeno incendi dal 1950 al 2012

L’analisi del profilo oggettivo del rischio incendi, quale emerge dall’analisi desk e dall’indagine statistico territoriale ha messo in evidenza alcuni tratti di fondo che ci permettono di descrivere le tendenze del fenomeno incendi, riscontrabili anche nel grafico successivo (Fig. 1): gli anni ’70 si caratterizzano come il decennio più critico, sia per percentuali di superfici percorse, che per un numero estremamente elevato e gran parte degli incendi hanno una origine rurale e pastorale.

A partire dalla metà degli anni ’80 il numero medio degli incendi tende a diminuire e si stabilizza attorno ai 3400 nell’ultimo decennio; le superfici medie percorse per incendio tendono a contrarsi, se escludiamo alcuni anni apicali e se si prendono in considerazione le medie decennali. La media delle superfici tende tuttavia a stabilizzarsi. Ciò mostra, da una parte, l’accresciuta capacità di intervento della macchina organizzativa preposta allo spegnimento, ma dall’altra dimostra anche che questa capacità non è in grado di incidere sul fenomeno oltre una determinata soglia, anche in considerazione della stabilizzazione del numero medio per anno.

A partire  dal 1995 esiste un gap consolidato tra numero degli incendi e contrazione della superficie coinvolta, a dimostrazione dell’efficienza dell’apparato di lotta. Tuttavia, permane elevato il numero degli incendi e ciò rimanda alla necessità di agire sulla prevenzione a livello localizzato.

Il fenomeno incendi tende a spostarsi dalle montagne centrali verso gli altopiani e le pianure, e non riguarda solo la provincia di Nuoro (quella più pastorale maggiormente interessata negli anni ‘70), ma anche le altre province, soprattutto quella di Cagliari. La superficie percorsa da incendi tende a decrescere ma all’interno di questa sono soprattutto le superfici a pascolo a incidere sempre meno sul totale delle superfici percorse, mentre aumenta l’incidenza relativa del bosco e delle altre colture.

Ciò rimanda al venir meno del rapporto tra pastorizia e incendi, che ha costituito a lungo la chiave interpretativa del fenomeno (Susmel 1974; Meloni 1984; Meloni, Puggioni 2004,). Lo scostamento verso le zone litoranee e marine costituisce l’altro elemento determinante: i comuni maggiormente interessati sono quelli costieri e quelli parzialmente costieri. L’incendio di interfaccia – nei luoghi dove esiste un’interconnessione tra sistemi naturali-vegetali e sistemi urbano-insediativi – negli ultimi anni tende a divenire uno degli elementi centrali che caratterizzano la fenomenologia complessiva (continua).

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