Lettera aperta alla Presidente della Regione Autonoma della Sardegna e al Presidente del Consiglio Regionale [di Raimondo Zucca e Giovanni Ugas]

La bimba è nata (da tanto tempo) ma non esiste: una Sentenza inaudita. I beni archeologici senza tutela.  C’è una bimba che non è stata riconosciuta dai genitori ma uno Stato civile e responsabile sostiene che essa esiste, le mostra la sua vicinanza, le porta assistenza e tutela e la fa vivere. Di tutt’altro tono è la recente sentenza del 29 Maggio 2024 del TAR Sardegna (Sentenza sul ricorso numero di registro generale 384 del 2023, proposto dal Comune di Barumini, contro il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE), il Ministero della Cultura (MIC) e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nei confronti di Sf Ele II S.r.l.), che ha dichiarato la legittimità della realizzazione di un impianto “agri voltaico”, esteso circa 24 ha, della potenza di 15,190 MW, da realizzare nell’ambito del PNRR in prossimità (236 metri) del nuraghe complesso Turriga”, nel territorio comunale di Tuili, ed a 3810 metri ad ovest del sito archeologico di Su Nuraxi di Barumini, il monumentale Castello nuragico con villaggio, patrimonio dell’umanità, inscritto nella Unesco World Heritage Lists il 7 dicembre 1997, con una estensione del bene di Ha  2, 3254  ed una Buffer zone di ha 3, 9178.

La sentenza, in base al principio tempus regit actum, secondo cui la legittimità del provvedimento amministrativo va accertata con riferimento allo stato di fatto e di diritto esistente al momento della sua emanazione,  stabilisce che un bene archeologico possa essere compromesso nel suo contesto paesaggistico, con un impianto agri voltaico, allorquando lo stesso bene non  sia  stato previamente sottoposto a vincolo di tutela diretta e indiretta ex L. 1089/1939 (artt. 2-3, 21) o successivamente  ex D. Lgs. 490/1999 (artt. 6-7-8) ed infine ex D. Lgs. 42/2004 (artt. 13-16: dichiarazione di interesse culturale) dal Ministero della Cultura, previa istruttoria da parte dei suoi organismi.

Tale sentenza trascura il fatto che per la società civile siamo dinanzi a un bene archeologico: lo dicono le pubblicazioni scientifiche dell’Università e delle Soprintendenze, lo sostengono le immagini fotografiche, e spesso le delibere comunali e regionali. In Sardegna sono noti e documentati migliaia di beni archeologici sardi (nuraghi, menhir, tombe di giganti, ipogei sepolcrali prenuragici detti domus de janas, necropoli e insediamenti di età storica) non soggetti a vincolo di tutela ministeriale, ma, ove insistano in proprietà privata, per la Repubblica italiana non esistono, come se le comunità non facessero parte della stessa Repubblica e non ne fossero testimoni!

Così, migliaia di domus de janas e nuraghi non possono essere tutelati e valorizzati solo perché la Repubblica italiana non li ha ancora riconosciuti formalmente attraverso la dichiarazione di interesse culturale. Queste testimonianze del passato sono bimbe senza madre, res nullius alla mercè di tutti, eppure hanno le stesse caratteristiche dei beni archeologici sottoposti a tutela per legge: l’antichità, l’essere monumento architettonici e storici, strumenti identitari di un luogo, parte del paesaggio e appartengono non solo al privato nel cui terreno esso insiste, ma a tutta la comunità, come recita la Convenzione di Faro (Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società), rettificata dalla Repubblica italiana con L. 1 ottobre 2020, n. 133.

Il Ministero dei Beni Culturali, tramite il Segretariato regionale, non è in grado, per propria deficienza (ataviche mancanze di personale idoneo e risorse adeguate delle Soprintendenze), di emettere i numerosissimi vincoli di tutela dei beni culturali necessari in una regione come la Sardegna caratterizzata da una delle più elevate incidenze di beni archeologici (anche monumentali) dell’intero Mediterraneo, come sottolineava già il grande archeologo Massimo Pallottino nel 1950.

Lo Stato fa gravare sull’isola questa sua grave manchevolezza non riconoscendo migliaia di beni archeologici già noti alla comunità.  

I Giudici della sentenza del 29 maggio 2024 del TAR Sardegna, considerata «la assoluta peculiarità della situazione fattuale sottesa alla controversia e la (almeno parziale) novità delle questioni esaminate», hanno dimostrato che il complesso sistema normativo italiano, un tantinello sovrabbondante (D. Leo, L. Loguercio Giustizia. Nessuno sa quante leggi sono in vigore in Italia, Il Corriere della Sera, 14 dicembre 2022 (https://pagellapolitica.it/articoli/numero-leggi-in-vigore-italia)), conduca ad un risultato, ineccepibile sul piano normativo e giurisprudenziale, con il richiamo alla «norma [che] infatti bilancia, nella discrezionalità del legislatore, l’interesse alla produzione di energia da fonti rinnovabili con la tutela del patrimonio culturale», ma che, nella fattispecie, costituisce un vulnus alla tutela archeologica nel contesto paesaggistico della Sardegna.

Con il PNRR, cioè con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, lo Stato ha il fine dichiarato di finanziare opere destinate a migliorare le condizioni di vita delle comunità tutelando la loro identità, ma così come è impostato questo piano si prefigura non come un sostegno economico per la Sardegna ma  come una nuova forma di servitù statale per oltre un trentennio, con tanti Sardi espropriati delle loro terre.

Infatti, gli impianti fotovoltaici, “agri voltaici” e pale eoliche produrranno già in partenza l’enorme quantità di energia di 6,2 gigawatt che eccede di gran lunga il fabbisogno energetico dell’isola cosicché tale energia dovrebbe essere esportata nella Penisola mediante il Tyrrhenian link previsto nel sito di Su Padru in territorio del comune di Selargius. Questi impianti avranno un impatto non sopportabile per le numerosissime aree archeologiche e di interesse naturalistico e paesaggistico, preservate nel tempo dalle comunità sarde che non potranno essere più fruite dalla comunità, oltre che, in un contesto più in generale, per l’intera economia delle vaste zone interessate.

È evidente che questo piano del PNRR appare di gran lunga peggiore delle ben note cattedrali nel deserto, che l’isola ha dovuto sopportare per vari decenni con una strategia economica industriale avulsa dal territorio, cui invano si oppose Ciccitto Masala. Non possiamo non rilevare che anziché sostenere le attività economiche in grave crisi, basilari e rispettose dell’ambiente, l’agricoltura, la pastorizia, l’artigianato e il commercio, oltre che i collegamenti aerei, marittimi e terrestri, imprescindibili supporti per lo sviluppo dell’economia dell’isola, lo Stato tende a realizzare una politica energetica  nefasta  e del tutto fuori luogo,  sostanzialmente una nuova, subdola servitù,  oltre a quelle militari.

Pertanto, si impone l’esigenza di un nuovo accordo Stato-Regione per ridurre il numero, l’estensione e la potenza di tali impianti in congruità con la situazione economica e culturale dell’isola, e dunque per eliminare con decisione il Tyrrhenian Link, vale a dire il supporto fondamentale di tale piano energetico enormemente sovradimensionato e alieno.

Quale miglioramento delle condizioni di vita, può derivare dal piano del PNRR se i beneficiari delle opere che si intende realizzare in Sardegna non sono i suoi abitanti ma soggetti esterni e quale tutela dell’identità dell’isola, se tanti suoi beni culturali, i suoi valori naturalistici e paesaggistici verranno  resi inutilizzabili per decenni da tale piano? I finanziamenti del PNRR avrebbero potuto essere utilizzati in modo più consono per valorizzare  i  beni identitari dell’isola, in primo luogo per porre termine alla grave carenza delle Soprintendenze sarde nell’ambito vincolistico.

Errare humanum est, perseverare diabolicum. Lo Stato e la Regione Sarda dovrebbero correggere i propri errori riconsiderando la reale situazione economica, culturale e paesaggistica dell’isola. Lo Stato fece un grave errore portando il suo esercito nella regione di Pratobello a Orgosolo e ritornò sui suoi passi: adesso deve avere il coraggio e il buon senso di fare altrettanto. I Sardi non possono accettare una nuova politica delle cattedrali nel deserto, in forme anche peggiori.

La bellezza della nostra isola non è data solo dalle sue coste, ammirate dai vacanzieri estivi, ma anche e soprattutto dalla straordinaria varietà morfologica del suo territorio interno e dai suoi beni archeologici e paesaggistici; si tratta di un valore identitario ed economico inestimabile e irrinunciabile per i Sardi e nessuna azione sacrilega deve  attentare ad essa, tanto meno da parte di chi ci governa.

Uno Stato attento e responsabile non può non adottare immediati provvedimenti di legge per porre rimedio alla grave carenza nella tutela dei beni archeologici della Sardegna. Al riguardo, ricordiamo che gli organi della Repubblica italiana non possono autorizzare interventi che comportino la fattispecie dell’art. 733 del Codice penale: «Chiunque distruggedeteriora o comunque danneggia un monumento o un’altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante pregio, è punito, se dal fatto deriva un nocumento al patrimonio archeologico, storico, o artistico nazionale, con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda non inferiore a euro 2.065. Può essere ordinata la confisca della cosa deteriorata o comunque danneggiata».

Il reato di distruzione, deterioramento o danneggiamento di un monumento o un’altra cosa propria di cui sia noto [secondo la dottrina al proprietario, al possessore, al detentore] il rilevante pregio è punito con l’arresto o con l’ammenda. Orbene il danneggiamento del paesaggio culturale del Nuraghe Turriga (monumento o un’altra cosa) con la realizzazione di un amplissimo impianto agri voltaico, all’interno della fascia di rispetto di 500 metri dal Monumento, implica o non implica la previsione dell’art. 733 C.P.?

Il C.P. si riferisce alla “notorietà del rilevante pregio” e non alla notifica del provvedimento amministrativo della dichiarazione di importante interesse culturale ex D. Lgs. 42/2004 (e precedenti normative). Sembrerebbe dunque poter intendere che a tutela dei fittissimi beni culturali della Sardegna (e del relativo contesto paesaggistico) si erga il Codice Penale con l’articolo 733.

A nostro avviso, per la difesa del proprio inestimabile patrimonio culturale-paesaggistico la Regione Sardegna potrebbe non di meno avvalersi dell’articolo 142 del D. Lgs. 42/2004.

Art. 142. Aree tutelate per legge

  1. Sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni di questo Titolo:
  2. m) le zone. di interesse archeologico.

Nell’ambito delle Norme Tecniche di Attuazione del PPR della Sardegna (il primo piano paesaggistico regionale approvato nella Repubblica Italiana) si è provveduto per i territori costieri dell’isola a definire, in attesa di salvaguardia ulteriore  nei PUC redatti in adeguamento del PPR della Sardegna, la Buffer zone (in sostanza il “vincolo indiretto”) di ogni zona di interesse archeologico, ossia l’area circostante le testimonianze visibili delle emergenze archeologiche, con norme specifiche di tutela paesaggistica.

Lo strumento da adottare è quello di una legge regionale, con intesa preventiva con lo Stato, per l’approvazione di un nuovo stralcio del PPR della Sardegna relativo alle “zone archeologiche” sia costiere (di nuova individuazione), sia dei comuni interni della Sardegna, ai sensi della loro natura di zone di interesse paesaggistico” ex art. 142 del D. Lgs. 42/2004, redatti da una commissione che può essere costituita da giovani archeologi assunti dalla RAS sotto la supervisione delle Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Sardegna e delle Università della Sardegna, con l’apporto fondamentale anche dei docenti in quiescenza (ai sensi dell’art. 5, co. 9, del D.L. 95/2012 e della deliberazione della sezione regionale della Corte dei conti della Basilicata n. 62/2023), relativa ad incarichi di formazione e assistenza per i nuovi assunti. Ne conseguirebbe in tempi brevi un quadro organico con relativa planimetria aggiornata delle zone della Sardegna “inidonee” per gli impianti eolici, fotovoltaici e agri voltaici.

Lo Stato non ammette l’ignoranza delle leggi, e non dovrebbe ammettere neppure quella propria; dovrebbe essere ben consapevole che un nuraghe o un altro bene culturale paesaggistico, già documentato e acclarato dalla comunità scientifica, benché non ancora sottoposto a dichiarazione di importante interesse culturale,  non può essere distrutto e non si può impedire alla comunità  la sua conoscenza e la  sua fruizione nel breve e nel lungo termine.

Se esiste una carenza normativa questa va sanata e in tempi brevissimi! Chi si prende la responsabilità di distruggere o danneggiare un nuraghe, una domus de janas, una terma romana o un castello medioevale solo perché non è tutelato dalla dichiarazione di importante interesse culturale? La tutela e il danno che può subire un bene archeologico non può riguardare il solo proprietario del terreno in cui esso insiste, ma tutta la comunità!

La Sardegna è una regione a Statuto speciale per le sue caratteristiche storiche, culturali e geografiche e questa specialità, non può essere elusa proprio nella tutela delle sue specificità identitarie. La Repubblica italiana ha il dovere di venire incontro alle esigenze delle comunità e del loro patrimonio culturale e paesaggistico. Siamo certi, e meno male, che non si consentirà di innalzare altissime pale eoliche nelle bellissime Dolomiti, mentre le si vorrebbero vieppiù innalzare (come, ahimè!, si è già fatto in molte aree rilevanti paesaggisticamente e culturalmente dell’Isola) nei  meravigliosi paesaggi naturali e culturali della Sardegna, ricca di non meno 15 mila siti archeologici, tra insediamenti abitativi prenuragici e nuragici, luoghi e monumenti funerari prenuragici  e nuragici, menhir,  insediamenti abitativi e necropoli  puniche, romane e medioevali,  torri, castelli e chiese medioevali, cioè con una media che si aggira  intorno a  un sito  archeologico ogni 1,6 kmq. Quale area della Sardegna e dunque quale paesaggio culturale e naturale dell’isola può sopportare l’invasiva presenza delle pale eoliche di cento e talora oltre duecento metri di altezza?

A causa delle manchevolezze dello Stato, il Tar Sardegna applicando la legge alla lettera, di fatto consente il danneggiamento e la mancata fruizione di tanti beni archeologici, avallando tali manchevolezze.  Ma è proprio una buona cosa?  Nell’isola è in corso una speculazione di una gravità inaudita ai danni del suo territorio, speculazione favorita dalla povertà, dalla disoccupazione, dall’emigrazione e dall’abbandono delle campagne dei suoi abitanti, e lo Stato anziché soccorrere la sua gente, l’abbandona alla speculazione.

Nessuna legge deve andare contro i valori culturali e naturali di un territorio e favorire, non i suoi abitanti, ma coloro che  vogliono impossessarsi dalla loro terra, per giunta fruendo dei finanziamenti dello Stato.

In breve, dato per scontato che nessuno può distruggere un bene archeologico di cui gli sia noto il pregio (art. 733 Codice Penale), riteniamo che associare l’art. 733 del C. P. all’art. 142, co. 1, m) del Codice Urbani (zone archeologiche tutelate per legge come beni paesaggistici) possa dare alla Regione uno strumento straordinario per legiferare subito su uno stralcio del PPR connesso alle zone archeologiche della Sardegna e di conseguenza dichiarare non idonei per fotovoltaico, agri voltaico e pale eoliche le zone archeologiche (aree monumentali e la circostante zona di “vincolo indiretto” regionale.

Sulla base di quanto esposto, e ai sensi dell’art. 5 dello statuto della Regione Sardegna secondo il quale le norme dello Stato possono essere adattate alle specificità della Regione, si rivolge un pressante appello alla stessa Regione e a tutti i parlamentari sardi affinché vengano adottati i provvedimenti atti  a scongiurare il gravissimo pericolo che minaccia il patrimonio culturale e paesaggistico e, non di meno, la stessa economia della Sardegna.

Giovanni Ugas, Raimondo Zucca

Cagliari 12 giugno 2024

Lascia un commento