L’importanza della tutela dell’Anfiteatro [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 20 giugno 2024. La città in pillole. Che alcuni nodi di Cagliari siano diventati inattuali? Luoghi simbolici se si pensa a Tuvixeddu/ Tuvumannu o all’Anfiteatro romano. Niente si sa dacché il Consiglio di Stato, oltre un decennio fa, scrisse parole definitive su ulteriori speculazioni edilizie nei colli. Cosa si sa sull’Anfiteatro che, nondimeno, fu oggetto di improvvide autorizzazioni ministeriali e di conseguenti distruzioni, accertate dallo stesso ministero, e, parimenti, di attenzioni dei Tribunali? La presa in carico da parte di questi organismi dice dell’incapacità delle classi dirigenti, elettive e di carriera, di trovare soluzioni ai problemi, spesso, creati dalle stesse. Di recente Massimo Recalcati, in un’intervista, ha ripreso, tematizzandola, un’idea già esplorata da Jacques Lacan “non possiamo liberarci del passato, ma riscriverlo sì”. Vale anche per i luoghi. Come abitare la loro riscrittura? Tema che non è di alcune professioni: storici, archeologi, urbanisti, geologi, agronomi ecc. Se così fosse, sarebbe più efficace l’intelligenza artificiale. La riscrittura di un luogo, essendo la biografia di una comunità e delle sue genealogie, presuppone, intanto, il possesso della scrittura che ha molte regole, formali e informali, perché non è un’attitudine naturale. Arrivare alla tutela del bene comune ha richiesto, infatti, millenni. Pazienza e competenza, inoltre, per interpellare i luoghi e capire come sono stati scritti e riscritti. Il paesaggio è anche la radiografia delle classi dirigenti succedutesi. Paradossalmente, nella modernità, le riscritture sono state, spesso, pessime. Sempre in bilico o a sfumare tra forme abigeatarie ed accattone. In città l’Anfiteatro ne reca indizi con il bagaglio di analfabetismo, strutturale e di ritorno, a leggere gli esiti, drammatici per il monumento, contenuti nella Relazione, frutto del sopralluogo (10/03/2011) degli specialisti dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro del Ministero della Cultura. È un j’accuse sulla violenza, consumata nel 2000, sul manufatto. Era stato riconosciuto, nelle sue declinazioni, nell’Ottocento, da Vittorio Angius e da Giovanni Spano; e dall’insuperata immagine di Edouard Delessert del 1854. Perché nessuno si senta trascurato, la violenza vide autorità statali, regionali, comunali, di carriera ed elettive, allineate. Intanto a Firenze gli stati membri firmavano la “Convenzione europea del paesaggio” e in città si consegnavano al Presidente del Consiglio regionale migliaia di firme contro il misfatto. |