Santa Teresa di Yves Saint Laurent [di Carla Deplano]

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La comunicazione pubblicitaria impiega immagini codificate di indubbia efficacia. Il debito della pubblicità nei confronti dell’arte è altissimo e non si contano i “prestiti” di opere celeberrime a fini commerciali: chi non ricorda la pubblicità dei Levi’s indossati dal David di Michelangelo o la Gioconda nelle versioni “liscia gassata o Ferrarelle”, giusto per citare le più popolari? In alcuni casi, come nella foto di Ken Haak di una vecchia pubblicità di Valentino, il messaggio appare molto curato esteticamente ma si rivolge ad un pubblico sofisticato e colto, in grado di individuare il prototipo nel Cristo morto di Mantegna.

L’immagine più efficace è sempre e comunque quella femminile, dato che la donna non è solamente la “regina dei consumi” da blandire con i messaggi pubblicitari, ma anche l’oggetto dello sguardo degli uomini. Insomma fa vendere più di qualunque altra cosa. L’altro giorno, in preda alla mia deformazione professionale, ho catturato con lo smartphone l’immagine di una pubblicità dell’ultimo prodotto cosmetico di un noto marchio francese. La modella semi-incosciente nel bel mezzo del godimento estatico con gli occhi chiusi, le labbra semiaperte, la testa reclinata sulla spalla con il collo ben in vista, trova il suo prototipo nell’estasi di Santa Teresa di Bernini, capolavoro barocco in cui la sensualità della carne viene abilmente trasformata in un orgasmo spirituale che violenta e consuma il corpo della mistica. Mentre il gesto, tipicamente teatrale, della mano destra portata al seno la fa assimilare evidentemente alla posa e all’espressione di abbandono ancora più forzata della Beata Ludovica Albertoni, realizzata dallo stesso Bernini per la chiesa di San Francesco a Ripa.

Andando ancora indietro nel tempo, l’iconografia richiamata nella nostra pubblicità è presto individuata anche nella Cleopatra del manierista Rosso Fiorentino che, rifacendosi a sua volta al modello classico dell’Arianna dormiente, ne accentua l’espressione languida del volto incarnando, insieme al corpo voluttuoso, l’eterno connubio eros-thanatos presente anche nei soggetti di carattere profano.

A partire dalla consolidata prassi studentesca di disegnare un perizoma sulle statue classiche e rinascimentali, a mio avviso il San Sebastiano di Antonello da Messina potrebbe rappresentare un modello d’eccellenza per una pubblicità di intimo Dolce e Gabbana: perché non ci hanno ancora pensato? Lo conosceranno, già che almeno uno è conterraneo di Antonello !?!

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