Brocche di Decimomannu al Museo di Sèvres [di Maria Laura Ferru]

decimo

Nel 1839,  in seguito al carteggio che intercorse  tra il direttore del  Museo di Sèvres, Alessandro Brongniart, e il generale Alberto Della Marmora, all’epoca in Sardegna per occuparsi di miniere, dalla città di Cagliari vennero spedite in Francia  alcune brocche di produzione locale destinate ad incrementare la raccolta di ceramiche provenienti  da tutto il mondo che il Brongniart andava da tempo  ricercando.

La vicenda del contatto tra i due è possibile ricostruirla sulla base di quanto lasciò scritto lo stesso Alessandro Brongniart nel suo Traité dès arts ceramiques ou des Poteries, pubblicato a Parigi nel 1844 e da quanto riferì Alberto Della Marmora nelle sue opere Voyage en Sardaigne, nella seconda edizione del 1839 e Itinerario dell’isola di Sardegna del 1868.

Il Brongniart ricordò come il Della Marmora gli avesse inviato non solo brocche ma anche “des débris de poteries antiques” (cocci di ceramiche antiche), il che si spiega con quanto Alberto Della Marmora tenne a precisare a vent’ anni circa da quell’episodio. Aveva scelto le brocche alla Fiera del Carmine a Cagliari, che si teneva nella vasta piazza posta di fronte alla chiesa del Carmine, durante l’ottavario della festa nel mese di luglio. In essa veniva allestita la fiera della “terraglia”con il concorso di tutti i vasellai del Campidano e segnatamente degli stovigliai di Decimomannu: “Da questa fiera io scelsi le brocche che mandai al sig. Alessandro Brongniart per ornare il suo museo ceramico in cui ha raccolto i prodotti di tutti i paesi del globo… Le brocche sono della stessa forma di quelle che si estraggono  dalle antiche tombe, e si direbbe che gli artisti hanno conservato una legge tradizionale.”

Il richiamo alla suggestione archeologica emanata dalla forma della brocca in uso in  Sardegna nella prima metà dell’Ottocento trova precisa rispondenza negli acquerelli del Cominotti che nel 1825 disegnò Le Donne al Rosello in Sassari con l’alta e stretta brocca in testa e nel 1827 una brocca simile la raffigurò in testa a donna oristanese.

Tale forma trovava ancora nel 1885 preciso riscontro nella descrizione che ne diede  Giuseppe Corona: “fiasco grande per acqua, una sorta di cannone a canna tronca sormontato da un tubo a due anse, portato di solito in testa, di capacità variabile da uno a dieci litri “, modello che gli stovigliai di allora volevano rendere più panciuto. E difatti con le brocche disegnate in capo alle Portatrici d’acqua di Aritzo, xilografia di Gaston Vuiller de 1893, risultò evidente l’avvenuto processo di arrotondamento delle forme della brocca sarda.

Ma tornando alla brocca alta e stretta dei primi dell’Ottocento occorre dire che l’episodio del Brongniart e del Della Marmora ha permesso di mettere a fuoco l’esistenza di un unico modello sardo, che veniva prodotto ad Oristano e venduto nella Sardegna centro-settentrionale e a Sassari segnatamente, dove il Cominotti ebbe modo di immortalarlo: simile all’oristanese  quello campidanese, per la forma di anfora antica attestata proprio dalle parole del Della Marmora. Modello di anfora diffuso  nella Sardegna meridionale dai vasellai di Decimomannu, riconosciuti all’epoca tra i più abili  sia dal Della Marmora che dal canonico Spano.

Oggi sappiamo che quel modello non proveniva dall’epoca del dominio romano ma da quella del dominio aragonese ma rimane sempre attuale l’impressione del Della Marmora sulle suggestioni archeologiche di una forma che oggi ci può venire attestata solo dagli acquerelli del Cominotti perchè anche le brocche mandate nel 1839 al  Museo di Sèvres non ci sono più, scomparse nelle rovine della seconda guerra mondiale.

*Esperta di ceramica sarda e perito in argenti antichi

2 Comments

  1. Maria Luisa Vargiu

    Alla ricerca di colori, di bellezza, di storia come Giovanni Spano, come Alberto Ferrero della Marmora, mitici maestri da cui c’ è solo e sempre da imparare, il mio primo ” coccio ” è stato, tempo fa, una piastrella azzurra e gialla , lasciata sola fra i detriti alla base delle mura del Castello cagliaritano . Da allora il fascino, lo stupore per Chi nel tempo ha prodotto le terraglie, per Chi oggi con tanta bravura come Maria Laura Ferru le studia, le conosce e con competenza ne scrive è continuato tanto da potermi considerare della ceramica almeno amica !

    • Maria Laura ferru

      La ceramica ma anche la filigrana, la tessitura, l’argenteria, l’intreccio etc. producono oggetti che, se studiati, rivelano aspetti di storia, di economia, di arte in grado di raccontare, almeno in parte il “come eravamo”. Sono, quegli oggetti, parte essenziale della cultura materiale necessaria per la corretta interpretazione della nostra “identità” con la quale devono fare i conti quotidianamente i nostri artigiani, di oggi e di domani. Il direttore del Museo di Sèvres, che era anche responsabile della fabbrica e della scuola di ceramica, l’aveva capito bene già nel 1800 quando gli fu affidato l’incarico e cosa sia la ceramica di Sèvres oggi lo sanno tutti. Quanto alla piastrella azzurra e gialla: non era sicuramente opera di figoli cagliaritani (non hanno mai usato smalti coprenti e colorati) e questo è già un punto di partenza importante per continuare a porsi domande, a stupirsi e a volerne sapere di più. Grazie per la sua attenzione e per il suo amore per la conoscenza che può venire dagli oggetti. Maria Laura Ferru

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