A proposito dell’Anfiteatro romano di Cagliari [di Franco Masala]
Si ripropone una scheda redatta 14 anni fa per il Comitato a difesa dell’Anfiteatro romano di Cagliari, che vide tra i promotori Giovanni Lilliu ed Antonio Romagnino. Il Comitato che raccolse migliaia di firme non riuscì ad evitare il disastro che è sotto i nostri occhi. L’ Anfiteatro romano è ancora “imprigionato” mentre peggiora il suo stato di salute. L’occultamento ne impedisce la fruibilità alla comunità. Ciò in contrasto con l’art.9 della Costituzione [NdR]. Il travestimento irrispettoso che da più di un decennio subisce l’Anfiteatro romano di Cagliari non deve impedire qualche riflessione sull’utilizzazione non sempre felice che ne è stata fatta come sede di spettacoli nel corso del Novecento. La storia recente dell’uso dell’Anfiteatro inizia nel 1919 con alcune rappresentazioni classiche (tragedie di Monti e Alfieri) della compagnia di Gustavo Salvini, per continuare con alcune manifestazioni popolari e spettacoli sporadici nei primi anni ’20. La vera “tradizione” dell’antico monumento come luogo per spettacoli si colloca nel decennio 1956-66 quando la Cooperativa “Mario De Candia” allestì fortunate stagioni liriche alle quali si aggiunse un certo numero manifestazioni di vario tipo (basti ricordare la presenza di Mina e Celentano nel 1962), utilizzando una struttura di tubi Innocenti e tavole di legname, che veniva montata e smontata ad ogni stagione. Durante questi anni si parlò a più riprese di una sistemazione definitiva senza mai giungere a realizzarla. Fu utilizzato soltanto nella prima stagione del 1956 l’affascinante triplice palcoscenico che in un’opera complessa come la Forza del destino verdiana collegava i numerosi cambiamenti di scena in tempi reali. Al di là dei bei ricordi che inevitabilmente il “tempo perduto” innesca, è bene citare anche i problemi irrisolti di quegli anni: i tentativi di correggere un’acustica decisamente infelice; il maestrale freddo tutt’altro che infrequente nelle serate cagliaritane d’estate (il Piccolo Marat di Mascagni del ’63 ebbe qualche signora in pelliccia in pieno agosto !) con una ulteriore dispersione del suono; il montaggio e lo smontaggio delle impalcature per poche sere ogni estate, con evidenti squilibri di carattere finanziario e pratico. Poi nel 1967 gli spettacoli vennero interrotti per problemi di sicurezza sollevati dalla Soprintendenza alle antichità (accesso disagevole alle gradinate e insufficienza degli ingressi) e, dopo una lunga stasi, ripresero nel 1981 con il blitz di padre Guidubaldi e l’allestimento di spettacoli eterogenei da parte dell’associazione Sa ferula. In questa occasione si fece un’inversione rispetto ai resti della cavea. Il pubblico fu sistemato di spalle all’Orto botanico e il palco montato a ridosso del canalone, per la salvaguardia della integrità, dell’ambiente e del decoro del monumento, imposto dalla Soprintendenza. Frattanto, nei primissimi anni ’70, un concorso di idee bandito dal Comune, senza esito, vedeva la partecipazione di un gruppo di professionisti, che in una relazione indicava che i “resti” dell’Anfiteatro dovessero porsi “essenzialmente come oggetto scenico da vedere più che come sgabello per sedercisi sopra, offrendo in tal modo inusitate possibilità anche alla regia e senza ricorrere a nessuna sovrastruttura sui resti preesistenti” (Casu Corti Milesi Piga 1974). Il progetto proponeva infatti una struttura reticolare spaziale, che si incuneava nell’arena, sviluppandosi al di fuori dei ruderi e consentendo di utilizzare il monumento come sfondo sempre visibile e visitabile, oltre la fase degli spettacoli. Nel 1976-77, un finanziamento del Piano di Rinascita prevedeva il ripristino dell’Anfiteatro mediante il completamento della cavea, una strada di servizio dalla via Ospedale e l’ingresso dall’Orto Botanico. Ancora una volta, non se ne fece niente. Dal 1982 l’Anfiteatro fu riutilizzato con strutture mobili dopo diversi interventi per gli accessi, ma ritornando alla tradizionale sistemazione con il palco verso il muro di separazione dell’Orto botanico (salvo alcune interruzioni degli spettacoli nel 1984, nel 1991 e nel 1995, per questioni finanziarie e burocratiche). Nel 1998, per la prima volta, fu utilizzato il rivestimento di legno che, in modo ancor più pesante e invasivo, è alla base dell’intervento del 2000 quando fu montata la “legnaia” che a dispetto di provvedimenti, intenzioni e propositi è ancora lì. Alla luce di questi fatti sorge spontanea una serie di interrogativi: è proprio indispensabile l’uso dell’Anfiteatro come sede per spettacoli ? Si potrà obiettare che l’Arena di Verona o il Teatro romano di Orange consentono spettacoli di grande livello e con ottima acustica, ma proprio perché l’anello degli spettatori è chiuso e raccolto e non occulta le strutture antiche e perché, specie per il primo caso le ristrutturazioni ed integrazioni risalgono a diversi secoli fa. Sarà il caso di riservare l’Anfiteatro cagliaritano a eventi particolari ed esclusivi con ridottissimi numeri? Si pensi allo straordinario uso fattone nel 1986 per La tragédie de Carmen dal grande regista inglese Peter Brook, che ricorse al fondale delle antiche pietre con straordinaria efficacia teatrale e drammaturgica. Naturalmente lo spettacolo fu replicato per diverse sere per consentire un’ampia fruizione. Oppure è venuto finalmente il momento di inserire il monumento in un percorso archeologico attrezzato che lo colleghi alle testimonianze limitrofe dell’antica città – dalle cisterne dell’Orto botanico alle domus cosiddette di Tigellio – da utilizzare per poche manifestazioni realizzate su misura e tali da rendere il viaggio a Cagliari necessario, anzi indispensabile? Cagliari città turistica”, “Cagliari capitale del Mediterraneo” sono acqua passata. La candidatura di “Cagliari capitale europea della cultura” porrà finalmente mano all’intricata matassa ? *Nella fotografia l’allestimento della Forza del destino (1956) |
Non è forse lo spettacolo, e quello popolare in particolare, il destino dell’Anfiteatro?
Non voglio discutere della pazzia di chi ha pensato alla legnaia.
Voglio solo segnalare il vuoto di oggi e invece ricordare le serate di grandissima musica con mostri sacri della musica e della danza che hanno onorato l’Anfiteatro e reso più bella e più colta la città.
Era magico per noi spettatori l’Anfiteatro ma lo era di più per gli artisti, che davano il meglio di sè quando si esibivano lì, rapiti dal fascino del luogo.
Ora c’è il deserto.
Io vorrei che l’Anfiteatro tornasse ad essere un posto popolare, certo custodito e governato, ma aperto e fruibile da tutti, perchè la bellezza è di per sè educativa e contribuisce al benessere della città.