Il luogo dei bianchi colli rinascerà [di Maria Antonietta Mongiu]
Pubblicai l’articolo che segue il 26/05/2011 qualche giorno prima delle Amministrative di Cagliari. A distanza di quasi tre anni con tanti – purtroppo non con quelli che contribuimmo a portare nel Municipio – mi ritrovo a difendere ciò che sembrava essere lo zoccolo duro della campagna elettorale e della nuova amministrazione: il paesaggio e il senso stesso della città. Mentre tutti ci auspichiamo che Cagliari diventi “Capitale della cultura europea” ci troviamo in molti a difendere il paesaggio storico di Cagliari dallo stravolgimento e dall’aggressione di progetti inopportuni. Si vuole manomettere infatti quel particolarissimo luogo che corrisponde a via del Cammino nuovo. Spero che le parole e le speranze di allora risveglino la coscienza, la memoria e il buon senso di chi oggi amministra Cagliari (mam). ********************************* Cagliari, la punica KRLY, il 29/30 maggio del 2011 può voltare pagina. Il luogo dei bianchi colli, abitato dal neolitico, può chiudere uno dei peggiori periodi della sua storia. La città che a Lawrence fece pensare ad una miniaturistica Gerusalemme, adagiata su dieci colli, è esausta a causa di una classe dirigente incapace di interpretarla. Un ceto dominante che non si riconosce più neanche come classe. La più mediterranea e la meno italiana delle città di mare della penisola è sfinita per l’assenza di progetto e sfigurata per l’eccesso di speculazione edilizia. E’stata aggredita persino in ciò che sembrava intoccabile: Poetto, Tuvixeddu, Anfiteatro. Per ignoranza, inconsapevolezza, cupidigia. Sting si fece immortalare con la foto dell’Anfiteatro prima della legnaia. Lui di New Castle non si aspettava un tale macroscopico insulto alla cultura ed al buon senso. Non sapeva che il demone del cupio dissolvi possedeva una parte della classe dirigente della città. Un blocco sociale, famelico e familista. Ruspe e cemento ad insultare la bellezza. Il borgo di sant’Avendrace, stretto tra santa Gilla e Tuvixeddu, immortalato da La Marmora, Spano, Delessert, Wagner, stravolto. Spezzata l’interdipendenza tra ambiente, storia, cultura, ancorché l’irriducibile genius loci ne tuteli il senso più profondo ed i caratteri fondativi. Spazzate via le tessiture insediative che dall’Ottocento ospitarono la classe operaia della Cementeria o delle Ferrovie o la nascente borghesia artefice, fuori dalla città murata, di un’esemplare città- giardino, sopravvissuta tra palazzoni e bruttissimi condomini. Non sapeva che si era violato un paesaggio archeologico irripetibile, scampato per millenni alle peggiori invasioni. E non solo quello funerario cartaginese, di attualità anche per le vicende giudiziarie. Ma quello particolarissimo che, alle pendici di Tuvixeddu, fungeva da fronte stradale. Occupava, dal I sec. d.C. , i lati dell’asse viario che univa Karalis a Porto Torres, Olbia, Sant’Antioco. Degli illustri sepolcri romani persistono alcuni, nell’antica via corrispondente al Viale sant’Avendrace, occultati dalla recente muraglia di palazzi. Non sapeva che, fino a qualche decennio fa, chi vi passava poteva ancora contemplarli affacciati ai lati della strada con le loro struggenti iscrizioni. E seguendoli con lo sguardo, confusi tra antiche ville e giardini, si potevano percepire la sommità del colle da una parte ed il respiro della laguna dall’altra. Si comprendeva ancora tutta la potenza della città d’acqua, ragione e sostanza della città di pietra, madre di ogni racconto possibile, di merci e di genti del Mediterraneo tutto. Come è possibile che chi ci ha governato negli ultimi vent’anni abbia dimenticato ed occultato le mille narrazioni delle tante Cagliari? Perché tanto disprezzo verso la città delle città amata da viaggiatori e scrittori? Perché tanto impoverimento e degrado e la fuga in massa dalla città, diventata ostile ed invivibile non solo per gli invisibili? Ma Cagliari è sempre rinata. L’ultima e drammatica volta fu dopo i bombardamenti. La distruzione fu spaventosa. I cagliaritani, sintesi delle mille Sardegne, furono tenaci e veloci nel ricostruirla. E allora coraggio! Possiamo farcela anche noi. In tanti lo vogliamo. Che ognuno se ne assuma la responsabilità. Ancora poche ore per convincere chiunque che è tempo di cambiare. Recuperi narrazioni e racconti, luoghi e persone. Ne vale la pena. Palazzo Bacaredda ha bisogno di gente nuova capace di dialogare. Questo è il tempo infatti di gente che includa le tante genti di cui è composta Cagliari per farle diventare comunità. Di gente che lavora e crei lavoro per tutti quelli che hanno idee e progetti. Di gente che non si autorecluda nella cinta daziaria. Di gente che superi divisioni e conflitti. Di gente più informata e colta che sa che è la cultura il motore di ogni sviluppo. Di gente che apra il Palazzo e lo renda la casa di tutti. Di gente che si ricordi che una città di lunga durata è fatta di infinite stratificazioni che chiedono rispetto e scienza. Cagliari vuole un sindaco che finalmente amministri. Ha bisogno di Massimo Zedda. Non basta che lo votiamo noi. Convinciamo gli altri a farlo. Perché con lui il luogo dei bianchi colli rinascerà. |