Accademie di Belle Arti, per il ministro Giannini «Il settore rischia di collassare» [di Il Giornale dell’Arte]

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Il Gionale dell’Arte.com,.25 aprile 2014. Nel 1999 la legge che tentò di riformare l’alta formazione artistica e musicale si è risolta in un «pasticcio legislativo». Abbiamo chiesto ad alcuni esperti perché. Nel corso delle recenti comunicazioni alla VII Commissione del Senato sulle linee programmatiche del suo Dicastero, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il ministro Stefania Giannini si è concentrata in maniera puntuale, come non capitava da tempo, sul settore dell’Alta Formazione Artistica e Musicale (Afam). Notando quanto sia opportuno ritornare a occuparsi di «questo settore che tanto lustro dà al nostro Paese, specie all’estero, legato com’è alla fama mondiale della nostra produzione artistica, musicale, drammatica e coreutica», la Giannini non ha mancato di stigmatizzare come quello Afam sia «un comparto che negli ultimi anni è stato trascurato dalla politica, soprattutto ministeriale».

Solo che, nel notare quanto «la governance degli Istituti è semplicemente caotica» con «i diversi organi […] in perenne conflitto fra di loro: presidenti e direttori, consigli accademici, consigli di amministrazione, direttori amministrativi», il pur sagace ministro forse ha mancato di individuare la questione nevralgica.

Abbiamo chiesto ad alcuni docenti, impegnati, in anni recenti, in ruoli istituzionali nel settore delle Accademie di Belle Arti, di aiutarci a comprendere i motivi di fondo di quest’impasse. Su un punto sono tutti d’accordo, nel riconoscere onore e merito al Ministro nell’aver denunciato, per la prima volta e chiaramente, la situazione di inadempienza pregressa del Miur. «Il settore Afam, infatti, come nota la Giannini, fu oggetto di una profonda ristrutturazione a seguito dell’emanazione della Legge 508 del 1999.[…] Una volta emanata la legge si susseguirono con lentezza altri provvedimenti che provarono a dare attuazione alle norme di autonomia. Ma la verità è che la mancata definizione dei regolamenti attuativi ha provocato una vera e propria implosione progressiva del settore» che «rischia oramai di […] definitivamente collassare».

«Aristotele ci ha insegnato che la conoscenza è sempre conoscenza delle cause», commenta Dario Giugliano, titolare della cattedra di Estetica presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e componente, nell’anno scorso, del gruppo di lavoro Anvur per la definizione dei criteri di valutazione del sistema Afam; e per Giugliano «ciò che ha consentito a questa colpevole inerzia legislativa di manifestarsi è stata proprio quella Legge 508, che non solo non ha ristrutturato, nei fatti, queste nostre Istituzioni, ma ha creato quella macchina ingestibile che è l’Afam. La politica e l’amministrazione centrale degli anni passati hanno, dunque, gravissime responsabilità: la prima nell’aver creato un pasticcio legislativo, la seconda nell’averne approfittato per creare una ‘palude normativa’».

Chiediamo conferma di quanto appena affermato a Giuseppe Gaeta, titolare della cattedra di Antropologia culturale presso l’Accademia di Belle Arti di Catania, e vicepresidente del Cnam (Consiglio Nazionale dell’Alta formazione artistica, musicale e coreutica) fino al 2013, quando quest’organo di rappresentanza (il corrispettivo del Cun, Consiglio Universitario Nazionale, per il settore Afam) è stato fatto scadere senza che fosse pronto un decreto che stabilisse le regole per una sua ricomposizione. «Il carattere strutturalmente diverso, sostiene Gaeta, delle istituzioni che compongono il sistema Afam è probabilmente una delle cause principali della difficoltà incontrata dalla Legge di Riforma 508/99 a tradursi nei decreti attuativi che ne avrebbero reso possibile una completa applicazione. Nel Cnam, in numerosissime occasioni ci si è scontrati con l’oggettiva impossibilità di adottare regolamenti e norme univoche per le differenti istituzioni: dai modelli di ordinamento, profondamente diversi per impianto e finalità, all’articolazione dei settori disciplinari e delle loro declaratorie, dai decreti di applicazione del sistema dei crediti fondato sul modello Ects, totalmente incomparabili ad esempio tra Accademie di Belle Arti e Conservatori, ai decreti di riconoscimento in crediti dei percorsi di vecchio ordinamento, mai giunti a compimento per la formazione musicale, condizionata fortemente dalla presenza in quei percorsi di una quota consistente di formazione non chiaramente ascrivibile al livello terziario».

Per Aurora Spinosa, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, «occorrerebbe avere il coraggio di separare i destini delle istituzioni Afam e assegnare alle Accademie il posto che spetta loro per destino storico e cioè quello di formazione universitaria tout court».

Del medesimo avviso è Tiziana D’Acchille, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Secondo la D’Acchille è necessario «in tempi rapidi un provvedimento di legge che determini da un lato la trasformazione delle sole Accademie di Belle Arti in Dipartimenti Universitari di Arti Visive e dall’altro, di conseguenza, l’istituzione di un’analoga area all’interno del Cun, che potrebbe così consentire il facile superamento di tutti quegli ostacoli che hanno reso la legge di riforma inattuabile. Questa trasformazione, unitamente alla confluenza del personale docente nel ruolo universitario, svincolerebbe le Accademie di Belle Arti dal matrimonio impossibile con le altre istituzioni Afam e renderebbe il rilancio dell’arte contemporanea nel nostro paese una realtà su cui investire energie nuove sotto forma di progetti di ricerca di livello internazionale».

La trasformazione delle Accademie in Dipartimenti universitari, come è accaduto in altri Paesi (in Spagna, per esempio), ancora secondo Aurora Spinosa «garantirebbe pure una migliore gestione di queste Istituzioni, che al momento sono costrette a, letteralmente, combattere con normative da scuola dell’obbligo». «Si pensi, infatti, sostiene Antonio Bisaccia, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Sassari, che qualunque sia il numero di iscritti e dei docenti di un’Accademia, la legge vincola le nostre amministrazioni, come per le scuole di ogni ordine e grado, a dotazioni di organico di poche unità, col risultato che devono essere i docenti, col direttore in testa, a occuparsi di questioni che in Università sono correttamente affrontate da personale tecnico specializzato. Teniamo pure presente che per poter onorare gli statuti che le fondano, le Accademie dovrebbero avere fondi di ricerca. L’Accademia che dirigo, per le spese di funzionamento, riceve dal Miur solo 47mila euro. Per quanto tempo, mi chiedo, si potrà andare avanti così e, soprattutto, verso dove?».

«Senza contare che mancano, per gli studenti, ricorda Martina Corgnati, titolare della cattedra di Storia dell’Arte presso l’Accademia Albertina di Torino e anch’ella componente del succitato gruppo di lavoro Anvur, corsi postdiploma, come i dottorati di ricerca universitari, così come manca, in Accademia, una permeabilità delle fasce di insegnamento: non c’è possibilità di fare concorsi per passare dalla seconda alla prima fascia e da circa un quindicennio si procede, per sopperire alla mancanza di docenti per i pensionamenti, con incarichi a tempo determinato, questo perché la famosa Legge 508/99 collocò tutto il personale in ruolo a esaurimento».

È chiaramente inutile, insiste Dario Giugliano, «continuare a pensare che si possano risolvere tutti questi problemi con dei decreti attuativi, che dovrebbero poi valere per tutte le istituzioni, così diverse tra loro, del sistema Afam. Occorre invertire quella perversa tendenza, tipicamente italica, a scegliere la strada più tortuosa per raggiungere l’obiettivo: bisogna andare dritti allo scopo e piuttosto che avvicinarsi al sistema universitario a piccoli passi, bisogna insomma avere il coraggio, come fu fatto nel 2002, mediante un decreto che equiparò i titoli delle Accademie alle lauree universitarie, trasformare le Accademie in Dipartimenti e tutto il resto deriverà di conseguenza».

Che sia la volta buona? Di certo, il ministro Giannini nel rilasciare quelle dichiarazioni ha mostrato quantomeno una franchezza e una determinazione mai riscontrati prima. Le prossime settimane saranno il banco di prova anche per quest’altro settore fondamentale della cultura e della formazione del nostro Paese: o una seria riforma radicale e immediata o, come dice il ministro, il collasso.

 

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