Abete: saremo noi il maggiore operatore italiano per la cultura [di Giornale dell’Arte]

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Nasce l’Italian Entertainment Network. Luigi Abete lo descrive a Il Giornale dell’Arte: «L’Italia è leader nei valori della cultura, ma vicina allo zero nei processi di internazionalizzazione» Roma. Sta nascendo un grande gruppo privato che intende occupare uno spazio strategico nel mondo della cultura e dello spettacolo. Si chiamerà Italian Entertainment Network e sarà operativo entro giugno con programmi ambiziosi e una forte proiezione internazionale (cfr. lo scorso numero, p. 6). Intende organizzare eventi e mostre anche all’estero, partecipare alla gestione di musei e luoghi d’arte, diventare il polo di investimento privato di gran lunga più importante in questi settori. Protagonista del progetto è Luigi Abete che, come imprenditore, da molti anni ha interessi in settori diversi della cultura: editoria, cinema, spettacolo, attraverso più società. È presidente di Bnl Paribas ma tiene a chiarire che questo ruolo di dirigente di una grande banca, che fa parte di un gruppo internazionale, resta nettamente separato dalle sue personali attività.

Per Abete il progetto dell’Italian Entertainment Network è il risultato di un lungo percorso. Già 21 anni fa, approvata la Legge Ronchey, ha creato la Gebart, una società che si occupa della gestione di servizi di accoglienza e gestisce bookshops in importanti musei e luoghi d’arte, statali e non. «La mia attività di imprenditore, racconta Abete, viene da mio padre. Aveva un’azienda tipografica diventata poi editoriale: la ABeTe (Azienda Beneventana tipografica Editoriale). Da oltre 20 anni sono editore di “Internazionale”. Quindi il mio interesse per la cultura nasce dall’editoria. Nel 1985 avevo comprato l’agenzia Asca e nel 2009 la maggioranza di TmNews: stiamo progettando di unirle per avere così la seconda agenzia italiana dopo l’Ansa. In seguito ho capito che questa editoria di qualità, come quella della rivista “Internazionale”, restava uno spazio di nicchia perché la grande editoria era ormai possibile soltanto con enormi investimenti. Ho pensato che nel XX secolo, per crescere, un tipografo diventava editore. Nel nostro secolo, un tipografo già editore che spazio può avere? Credo lo possa trovare nella valorizzazione dei beni immateriali, dei beni culturali. E questa è diventata la “fase 3” del mio processo d’impresa».

Negli ultimi anni le attività di Abete si moltiplicano e cambiano anche le dimensioni delle imprese alle quali partecipa e delle quali in molti casi è presidente. Oltre dieci anni fa ha privatizzato Cinecittà. «Me lo chiese Carlo Azeglio Ciampi, allora ministro del Tesoro, racconta Abete. L’ho realizzata accanto agli operatori del settore che si erano dichiarati disponibili, Aurelio De Laurentiis e Vittorio Cecchi Gori, convinsi a intervenire Diego Della Valle e Vittorio Merloni, cioè imprenditori che rispondevano a tre caratteristiche utili nel mondo della cultura: erano internazionalizzati, avevano la cultura del “brand”, cioè del valore del bene immateriale, ed erano abbastanza grandi per avere una strategia a medio termine. Fino al 2006, ho fatto soltanto il presidente per far crescere Cinecittà. Poi sono diventato anche azionista e continuo a essere presidente, senza compenso, della capogruppo, la Italian Entertainment Company, che è azionista di Cinecittà e del nuovo grande Parco a tema Cinecittà World, una città del divertimento dedicata al mondo del cinema, a sud di Roma, che aprirà prima dell’estate, oltre a una serie di altre attività».

Costruita su 25 ettari, crescerà ancora. L’investimento è di oltre 200 milioni di euro.
Un altro elemento si è aggiunto alla galassia Abete, si chiama Filmmaster Group. Nata come società internazionale di produzione di spot pubblicitari, è adesso produttore di eventi aziendali per grandi gruppi italiani e stranieri e di «produzione creativa» di eventi eccezionali: organizzerà anche quelli delle Olimpiadi in Brasile del 2016.

Il progetto più strettamente legato al mondo dei beni culturali è arrivato con gli accordi tra la Gebart di Abete e Civita, la maggiore società italiana per la gestione di servizi per musei e organizzazione di grandi mostre. Civita Cultura ha un fatturato di circa 70 milioni di euro e diversi soci tra i quali la Costa Edutainment, leader nel suo settore: ha anche gli acquari di Genova, Livorno, Cattolica e gestisce i servizi del museo Galata a Genova. «Civita, spiega Abete che dal 2009 ne è presidente, ha un credito rilevante con la pubblica amministrazione, bloccato da alcuni anni, ma che prima o poi si risolverà. Ha poi investito diversi milioni in un’altra società di servizi culturali, Opera Laboratori Fiorentini. Dunque è cresciuta, crede nel futuro e, anche se ha qualche sofferenza, sta ampiamente in equilibrio. A questo punto, con i soci di Filmmaster Group e quelli di Civita abbiamo detto: perchè non facciamo sinergia con queste due realtà? La cultura organizzativa è comune. Filmmaster è internazionalizzata; Civita, con il suo know how, può fare anche produzioni internazionali. Quindi Civita Cultura diventa una società partecipata da Filmmaster Group che sarà suo partner, ma resteranno tutti gli altri soci. Il nuovo gruppo si chiamerà Italian Entertainment Network. Abbiamo interessato anche il Fondo di Investimento Italiano che metterà 10 milioni di euro, risorse destinate a progetti che spingano verso l’internazionalizzazione e le sinergie in Italia. Pensiamo, per esempio, alla possibilità di organizzare spettacoli permanenti, qualcosa come il Cirque du Soleil».

Luigi Abete parla di un’operazione complessa anche dal punto di vista finanziario. Il Fondo di Investimento Italiano è un fondo privato che comprende le nostre maggiori banche, Unicredit e Intesa Sanpaolo (ma non Bnl) con una componente pubblica: la Cassa Depositi e Prestiti, e ha come obiettivo quello di far crescere le medie aziende italiane. Questo è il suo primo investimento in campo culturale. «L’Italian Entertainment Network, spiega Abete, parte da 140 milioni di fatturato per le due società nel 2013. In tre anni pensiamo di arrivare a 200 milioni con un “ebitda” (margine operativo lordo) che passerà dall’attuale 5 al 10 per cento. Se l’operazione riesce, la prospettiva è di quotare la società in borsa. Il nostro obiettivo non è quello di lavorare di più con il settore pubblico, ma di fare più iniziative nel privato che si aggiungano a quelle delle amministrazioni pubbliche».

La nascita di un grande polo privato come l’Italian Entertainment Network crea già ostilità e timori che preoccupano Abete: la collaborazione tra pubblico e privato nel mondo dell’arte e della cultura resta un nodo irrisolto. Abete insiste soprattutto sui pregiudizi che tendono a delegittimare questa collaborazione. «È un processo che definisco paraideologico, afferma, si usa l’ideologia per tutelare i propri specifici interessi. Si sostiene anche: “piccolo è bello” e fa cultura. Ma io rispondo, piccolo è soprattutto spesso controllabile. I piccoli hanno capacità progettuale limitata e quindi si adattano alla loro posizione subalterna. E poi i “piccoli” non possono fare investimenti significativi e quindi non danno alcun servizio davvero “aggiuntivo”. Il nostro è un Paese leader nei valori culturali, artistici, storici, ambientali ma siamo vicini allo zero nei processi di internazionalizzazione.

È possibile che non siamo in grado di organizzare grandi mostre o eventi importanti all’estero se non paga lo Stato? E anche in quel caso continua a mancare una attività organizzata di creazione, di progettualità, di investimento, per esportare nel mondo i nostri valori culturali. Sono convinto che il futuro del Paese stia anche nelle sinergie tra pubblico e privato. Il ministro Franceschini ha fatto dichiarazioni molto chiare in questa direzione. L’utopia che mi ha spinto a creare l’Italian Entertainment Network è che il suo fatturato non arrivi da un allargamento del mercato statale ma dalla capacità progettuale in un mercato libero fatto a rischio di chi investe. E questo anche internazionalizzando il mercato. Stati Uniti, Francia, Giappone, Inghilterra, non hanno bisogno di Civita Cultura per organizzare una mostra. Ma altre centinaia di Paesi nel mondo sì. Abbiamo avviato iniziative in Brasile, stiamo studiandone altre nei Paesi del Golfo».

 

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