I Ka doppi di Rosanna Rossi [di Carla Deplano]
Ka appartiene al patrimonio genetico ereditario e si identifica con la personificazione della forza vitale e creatrice dell’individuo, con il suo doppio spirituale che forgia la personalità e sopravvive alla morte. Secondo l’enneade heliopolitana della cosmogonia egizia, all’origine della creazione c’è un insieme di divinità tra cui Atum, il Dio-Sole demiurgo che ha dentro di sé ogni cosa, creatura, o accadimento in potenza e scaturisce dal fiore di loto del monticello di terra emerso dalle acque primordiali, identificabili con il caos delle origini o con una dimensione della non esistenza.
L’arte è da sempre collegata all’esperienza esoterica del mondo, essendo il frutto di una combinazione di tecnica acquisita e capacità intuitiva. L’origine di questo connubio tra arte e esoterismo rimanda, in qualche misura, all’esperienza sciamanica in cui le capacità cognitive di chi compie il viaggio nel mondo degli spiriti vengono sopraffatte da colori, forme e visioni lontane ed altre rispetto al nostro vissuto quotidiano. Il mistero dell’antica cultura egizia sembra ben adattarsi all’immagine che l’artista “cosmica” desidera dare di sé. Ciò che traspare nei Ka doppi di Rosanna Rossi è un’immagine del mondo svuotata, purificata dalle forme dell’apparenza e filtrata attraverso il dato di coscienza. Nello spazio prende forma il ritmo dinamico delle relazioni fra le cose, deducibile solo grazie ad un atto intellettivo volto alla conoscenza dell’universale, quale auspicata tensione dell’uomo.
Il procedimento è severamente riduttivo, prevede una rigorosa bidimensionalità che riduce il moto ondoso ad un semplice ritmo di tratti verticali su maglie orizzontali. Il segno si stampa sulla carta come scrittura e si fa intelaiatura e struttura portante del quadro. Le opere sono caratterizzate da una connotazione simbolica che contempla una dinamica impostata su un duplice livello: una dimensione terrestre o terrena e una manifestazione astrale o trascendente. Si viene, così, a delineare un luogo pittorico trascendente, immateriale, in cui coesistono valori percettivi e stimolazioni emotive e inconsce.
Alla linea retta, elemento autonomo di espressione privo dell’ambiguità della curva, è affidato il compito di esprimere significati: a “rendere visibile”, come diceva Klee, “ciò che non sempre lo è”. Nell’opera di Rossi, dove i segni delle pennellate verticali sono assimilabili a tramiti tra cielo e terra, ad atti primigeni di separazione attraverso cui Dio, l’Uno per eccellenza, genera il creato, si instaura una relazione con il sublime, un’emozione estatica e religiosa difficilmente comunicabile a parole perché travalica le potenzialità dei sensi per esprimere il trascendente.
I significati antropologici sottesi all’opera riflettono il bisogno ancestrale di ricollegarsi ad una tradizione culturale arcaica alla ricerca di simboli archetipici che siano alla base di un nuovo linguaggio. In questo sta, a mio avviso, la forza di una pittura contemplativa pregna di riferimenti oltre la contingenza fenomenica della vita.
Il rarefatto intellettualismo caratteristico di questa pittura mentale, ermetica e vibrante rimanda all’idea di un’entità superiore che attraverso i pennelli ci parla della nostra sparizione. La sua contemplazione ci porta a vivere l’esperienza neonatale della visione unitamente ad una pratica di trascendenza. Se fissiamo le immagini ipnotiche dei Ka doppi possiamo coglierne il potenziale energetico ultrasensoriale ed è altrettanto possibile che ci perdiamo ma che, al tempo stesso, in questo smarrimento ritroviamo noi stessi.
Dentro le linee verticali è racchiuso l’aldilà, il luogo oscuro che Anassimandro chiamava àpeiron, l’indefinito da cui ogni cosa viene alla luce e a cui tutto ritorna, misurando la propria finitezza. I Ka sono astratte e liriche tessiture visive calate in un universo simbolico, in cui l’ispirazione pittorica è ricondotta a puri impulsi spirituali. Opere che prescindono da una figurazione oggettiva, scaturite da emozioni simili all’allusiva percezione di ritmi e variazioni musicali. La mancanza di profondità tridimensionale avvicina i lavori ad un’assolutezza arcaica, fuori dal tempo e dalla storia.
Una teoria di micro segni si sovrappone al fondo più chiaro con una leggera modificazione cromatica che genera delicate vibrazioni di superficie, ad intensificare le emozioni trasmesse dall’intera opera. Il segno, elemento primario della comunicazione visiva, assurge a cellula generatrice di un linguaggio artistico che si fonde al gesto, altrettanto fondamentale, con cui l’artista conduce il proprio intervento creativo secondo un movimento calibrato nel cui esito è sempre possibile riconoscere la sua mano.
La tessitura serrata dei segni sollecita l’eco emozionale di immagini in cui riaffiorano gli elementi nascosti dell’inconscio collettivo. La pittura si libera dalle sovrastrutture per esprimere l’emozione originaria della vita nel mistero del suo svolgersi e ricerca quel rapporto tra individuo e universale che la società occidentale ha distrutto e di cui è necessario ristabilire la funzione attraverso l’arte.
L’arte diventa, allora, mezzo di elevazione spirituale volto a raggiungere l’universale attraverso la ricerca di religiosità e un’accentuata tensione mistica ben lontana dalla pretesa tipicamente occidentale di decifrare razionalmente il contenuto di una composizione. La ripetizione che scandisce con un ritmo inesorabile la purezza dell’idea di verticalità si moltiplica ossessivamente fino a sfiorare i limiti di un ipotetico incommensurabile che promana una sacralità totemica. L’oggetto, che è definito e quindi di natura particolare, limita per il suo carattere individuale la conoscenza dell’universale cui l’uomo deve tendere. Secondo un’estetica radicale, invece, le immagini vengono qui ridotte alle coordinate visive più pure e alla sola linea retta, sintesi di tutte le altre forme, per creare un rapporto stabile e immutabile tra forze spirituali prive di qualunque riferimento naturalistico.
La ricerca di una verità assoluta e l’alto grado di coscienza dell’artista sono testimoniate dall’alternanza di ordine-caos che informa il suo studio con placida determinazione secondo una forma di quietismo positivo tutto zen. La disposizione ritmica delle linee suggerisce un’opposizione continua di forze equivalenti che si annullano reciprocamente mantenendo l’equilibrio di un organismo di elementi astratti allo stato puro. La ricerca della libertà individuale si pone, in questo senso, come superamento della sofferenza degli uomini e avvicinamento alla reciproca uguaglianza vista come condizione necessaria per la realizzazione in vita di quell’armonia di rapporti che l’arte persegue. La varietà tecnica delle ricerche artistiche di Rossi mostra una comune radice nella volontà della sperimentazione quotidiana, nella precisione dei metodi di lavoro, nella convinzione che l’arte possa esprimere un’etica di vita collettiva.
Asceticamente dedita alla propria professione e particolarmente sensibile a questioni di stile e di impeccabile eleganza formale, porta agli estremi la sua riflessione sul segno. L’essenza della pittura sta nel rappresentare quanto desidera esprimere con la maggiore perfezione possibile ed il minimo impiego di mezzi: tanto più è esperta la mano, tanto più sensibili appaiono i dipinti e la singola pennellata acquista autonoma forza espressiva.
Partita dallo studio analitico della realtà, Rossi giunge ad usare mezzi pittorici elementari: la linea retta, il rapporto ortogonale tra orizzontale e verticale, che esprime l’equilibrio assoluto e restituisce una pittura assolutamente piana, priva di modellato chiaroscurale e prospettiva. Dove l’orizzontalità associata all’immobilità e alla stabilità produce una sensazione di freddezza e piattezza cui, per contro, le linee verticali esprimono una sensazione di calore. E dove il contrapporsi di ritmi orizzontali e verticali rappresenta l’azione delle forze opposte sussistenti in natura. Dove, in definitiva, il compito dell’artista-demiurgo diventa quello di trovare l’equilibrio fra tali forze, per ricostruire l’essenzialità della realtà.
Nella rinuncia totale alla figurazione, nella rigorosa articolazione geometrica, ci si offre un’immagine ridotta all’essenziale, che raggiunge un perfetto equilibrio compositivo, segno dell’ordine dell’universo, in cui la bellezza è la sintesi della chiarezza e della quiete. La pittura, esattamente come l’arte calligrafica giapponese dello Shodo, richiede innanzitutto la padronanza del tratto, l’immediatezza del gesto, la continuità del ritmo, il controllo della forza impressa al pennello e non tollera ritocchi o correzioni: ogni tratto è un’espressione della forza interiore dell’artista, della sua anima. Perché ogni linea, ogni gesto del pennello consente di raggiungere una migliore sintonia con la parte più profonda del proprio essere e custodisce il senso sacrale, la carica di energia indispensabile per trovare il senso della vita e la verità assoluta.
Si tratta di un’arte severa e religiosa che, attraverso l’astrazione, prescinde completamente da preoccupazioni o compiti di intrattenimento. Ovunque domina un rigore tecnico e compositivo frutto di una ricercata disciplina, che nella sua asciuttezza tipografica ci conduce fin sulla soglia di una rivelazione. Più che attraverso un vero processo creativo, che è sempre sintesi di elementi, Rossi giunge alle sue conclusioni astratte attraverso un percorso empirico di depurazione: svuota l’oggetto di tutte le sue note individuanti fino a ridurlo a scheletro, a pura stilizzazione. Regolarità e disciplina compositiva, insieme all’economia di mezzi figurativi primari – linea, superficie, colore che mai si distaccano dal piano di rappresentazione – costituiscono le cifre stilistiche del suo ultimo percorso artistico.
L’artista concepisce un quadro-macchina dalle apparenze estremamente razionali in cui integra in modo coerente “struttura” e “figura”. I piani orizzontali formati dalla pluralità delle linee rette verticali si succedono a distanze identiche per tutta l’estensione dell’opera formando la “struttura”, per poi dissolversi in virtù del loro carattere uniforme: il ritmo ne emerge da solo, abbandonando i piani come un nulla.
La specifica modularità dell’immagine dilata temporalmente la percezione, la estende oltre i limiti consueti. Contravviene all’estetica classica e alle teorie sette-ottocentesche che concepiscono la pittura come un’arte spaziale, e non temporale, presumendo l’esaurimento della percezione di un quadro in un attimo.
La forza del rigore geometrico di questa pittura astratta, al contrario, si avverte completamente proprio nella sua costitutiva valenza trasfigurativa e assolutizzante. Dispiegandosi secondo un ritmo irrefrenabile e definitivo che è quello stesso del fluire della vita, le immagini traggono il principio della loro unicità ed intrinseca bellezza, che sfugge alle categorie estetiche canoniche ancorate alla mutevole ed illusoria apparenza delle cose, più che alla loro intima essenza. In questo gioco sapiente al di fuori del tempo e dello spazio, Rosanna Rossi appare maestra di vita prima ancora che di arte, e ogni sua creazione vive in noi perché siamo noi a vivere in essa.
· *Storica dellì’Arte- Antropologa ed altro ancora · **Mostra Ka doppio – Rosanna Rossi Dal 27 aprile presso La libreria di Via Sulis |