Una moneta racconta la romanizzazione di Cagliari [di Maria Antonietta Mongiu]
L’Unione Sarda 30/04/2014 (La città in pillole- Il soldato che si fece sardo e martire). Erano passati due secoli dalla conquista – più o meno il tempo che ci separa dal Congresso di Vienna, quando, tra il 42 ed il 36 av. C., ARISTO MVTVMBAL RICOCE SVF [Aristo, Mutumbal (figlio di) Ricoce, SVF(etes) =sufeti] ebbero i loro nomi e profili cartaginesi in una moneta. Nel suo rovescio Veneris Kar (ales) ed un tempio tetrastilo, di tradizione italica, riconosciuto come il tempio con cavea teatrale scavato da Doro Levi, prima della guerra, in via Malta e distrutto per un palazzo. La moneta ed il tempio/teatro raccontano lo spostamento del centro urbano da sant’Avendrace, l’esistenza di magistrati elettivi di etnico punico, i sufeti, con autonomia giurisdizionale e amministrativa, l’attribuzione a Karales del rango di municipium. La intermediazione tra antichi e nuovi assetti, gestita da Aristo e Mutumbal, apre prospettive più rilevanti del semplice sincretismo. I due si riconoscono nell’amministrazione romana a nome dell’élite di cui fanno parte. Non dimenticano il mos maiorum ma, dopo due secoli, accettano i nuovi ordinamenti in cambio della cittadinanza romana e della cogestione del potere. Nomi, consuetudini, pratiche, come un fiume carsico, scaveranno ancora una volta un senso di perdita. Mentre lo stile di vita punico a Karales persisterà nei pavimenti in cocciopisto con il simbolo di Tanit, status simbol per tutte le classi dirigenti al di là dell’etnico. L’introduzione del quattuorvirato – due membri con funzioni giurisdizionali e due amministrative – diede l’illusione di uniformità con le altre civitates romane e di distanza dai sardi. Ma nel municipium, nel “luogo” Stampace, un soldato orientale arrivato per domare la civitas indigena si fece sardo e martire. Ogni anno chiama i sardi tutti a Karales perché crede, al di là delle sue classi dirigenti, che li rappresenti tutti.
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