La scuola dentro [di M. Tiziana Putzolu]

f761a15474

La scuola ha un problema solo. I ragazzi che perde. La vostra scuola dell’obbligo ne perde per strada 462.000 l’anno.

1985. Per poco tempo diversi anni fa fece l’insegnante. In un piccolo paese della Sardegna che, due curve appena, si affacciava su uno splendido mare. Supplenza temporanea fuori cattedra, così si diceva. Si era fratturata un braccio l’insegnante di italiano. Avevano esaurito la ‘graduatoria’ e si era già al terzo trimestre. Lei non aveva ancora la laurea. La chiamarono perché aveva fatto il Liceo Classico. Poteva insegnare, così, le materie ‘letterarie’. La scuola aveva una sede centrale ed una staccata. La sua classe era in quella staccata. Si guadagnò il suo primo stipendio. Quando arrivò in classe notò subito che vi erano diversi ragazzi assai grandi di età. Ad occhio. Il registro confermava. Le dissero che erano quelli che non ce la facevano mai. Ripetevano.

Quando arrivai, non mi sembrò una scuola. Erano in terza, la fine dell’obbligo, dovevano sostenere l’esame di stato e la maggior parte di loro non aveva la sufficienza nei voti. Sarebbero stati bocciati, quella maggior parte, per l’ennesima volta. Così le dissero gli altri insegnanti per avvertirla della situazione. Ma come, disse, siamo solo a marzo. Proviamoci. Non ce la farai. Non ce la possono fare loro, i ragazzi, risposero. Perché erano abituati così, gli insegnanti. E i ragazzi.

A ogni bocciatura ha messo i poveri in tentazione di andarsene. I ricchi no. E lei, invece, si mise all’opera. Con l’incoscienza e il ‘quante balle che si ha in testa a quell’età’. Propose all’austera Signora Preside un percorso diverso, di recupero in qualche modo. Ma soprattutto diverso nei metodi. Era anziana e austera, ma molto intelligente. Di quella ventata di freschezza, simile al profumo di fresie a primavera che entrava dalle finestre affacciate sulla vallata, forse sentiva anche lei il bisogno. Che la routine le aveva fatto seppellire in mezzo alle odorose scartoffie. Oppure era solo un banale meccanismo di proiezione. Lei è giovane, professoressa, ci provi. Se ci riesce.

Via! La geografia? National Geographic, ritagli di giornale, le iniziative di Sting per la foresta amazzonica, i reportage sullo sterminio degli indios con la disseminazione del banale virus dell’influenza. Stupore! La Coca Cola, le cascate del Niagara. Grande cartellone e ritagli, lavori di gruppo, pennarelli e commenti a piacere. Un po’ di musica, senza far troppo chiasso. La storia? Un percorso attraverso la Costituzione e letture di autori diversi. Studio a scuola in gruppo e lei in mezzo a loro. Banchi disposti a isole. Giornale in classe. Anche Gramsci si trova ancora segnato in quel registro finito da qualche parte che quel nome non aveva mai visto scritto sopra. Sorrisini.

Quella professoressa s’era fermata alla prima guerra mondiale. Esattamente al punto dove la scuola poteva riallacciarsi con la vita. E in tutto l’anno non aveva mai letto un giornale in classe.

Dialogo con i genitori, con le madri, soprattutto. Seguiteli e aiutateli a studiare. Ce la possono fare. Grazie professoressa. Stretta di mano. Se le cose non vanno, sarà perché il bambino non è tagliato per gli studi.  L’ha detto il Professore. Che persona educata. Mi ha fatto sedere, mi ha mostrato il registro. Un compito pieno di freghi blu.  A noi non c’è toccato intelligente. Pazienza. Andrà nel campo come siamo andati noi’.

Al primo Consiglio di classe grande malumore tra gli insegnanti, quelli veri. Ma dove vuoi andare, le dicevano, guarda che quelli ti stanno solo prendendo in giro, ti stanno assecondando perché hanno capito che li vuoi promuovere. Ma stanno studiando, si impegnano, controbatteva lei. Non credo che mi stiano prendendo in giro, portano i materiali che chiedo loro di cercare, e sono sempre attinenti all’argomento. La musica di Sting la conoscono, a volte è utile usare questi stratagemmi per catturare il loro interesse, per farli lavorare con un po’ di passione. Certo, non sono molto bravi nell’esposizione, ma ce la possono fare.

Alzarono le spalle e talvolta la voce. Andò via sconfortata da quel Consiglio di classe. Poi, insegnando, ho imparato tante cose.Il giorno seguente la Signora Preside la chiamò nel suo austero ufficio. Vede, Professoressa, c’è molta preoccupazione per quello che lei sta facendo. Le disse.

I suoi colleghi sono preoccupati perché qualcuno di loro quest’anno potrebbe perdere la cattedra in questa sede. Sa, la contrazione delle cattedre si sta facendo sentire. I ragazzi sono diminuiti. Il suo collega di matematica, quello … siciliano, abita qui ormai, ha costruito casa, ha famiglia. E dunque? chiese lei, anche con una certa preoccupazione per il caso. Sa, se perde la cattedra qua dovrà viaggiare. In inverno.  Ma dove andrebbe? Chiese lei. Dovrà scendere a Bosa, la strada è tortuosa, rispose.

Ma sono solo cinque chilometri! sbottò lei. E la Signora Preside rispose che per chi era abituato così anche cinque chilometri erano un viaggio. Non capì mai se fu una difesa d’ufficio o se ci credeva davvero.

Arrivò la fine dell’anno. Scrutini generali ed ammissione all’esame. Riuscì a farli studiare forse quel tanto che bastava perché potessero essere ammessi a sostenere l’esame di licenza media. Chi già lavoricchiava avrebbe potuto aprirsi l’officina meccanica che desiderava e anche lei, quella un po’ così … imbarazzante del gruppetto, minigonna e capelli ossigenati, che apriva ai misteri nascosti della vita i compagni più piccoli. Magari avrebbe messo su famiglia con un bravo ragazzo.  Non ci credevano neppure loro quando capirono che erano stati promossi. Erano davvero felici. La Commissione d’esame si complimentò con tutti gli insegnanti.

Fu per lei una grande soddisfazione, e la constatazione che la scuola, alla fine, è questione di cuore, perché la scuola è dentro. Il professore di matematica non perdette la cattedra e continuò ad insegnare in quella scuola. Lei, invece, a scuola non insegno più.

Post scriptum. Le frasi in corsivo nel testo sono tratte dal libro Lettere ad una professoressa, il principale atto di accusa di Don Milani nei confronti della scuola tradizionale, definita “un ospedale che cura i sani e respinge i malati“. Il libro è interamente scaricabile in pdf.

 

 

One Comment

  1. Antonello Farris

    Forse non c’è professione che richieda un approccio creativo quanto quella dell’insegnante. Nei miei studi, i professori che ricordo ancora con più nitidezza (e riconoscenza) sono proprio quelli che mi erano apparsi diversi, positivamente diversi. Quelli che all’improvviso riuscivano a farti vedere la materia sotto una luce diversa. Quelli che ti coinvolgevano negli studi senza farti accorgere che stavi studiando, apprendendo. Quelli che avevano più fiducia in me, di me stesso. Non erano tanti, perché oggi da adulto mi rendo conto che insegnare in un certo modo richiede creatività e fiducia negli studenti (e in definitiva fiducia negli uomini, in tutti gli uomini…).
    Beh, grazie per questo articolo che fa riflettere sul rapporto tra docenti e studenti.
    C’è ancora una professoressa, ora anziana, che quando la incontro (senza che lei mi riconosca) mi fa ritornare indietro, agli anni in cui adoravo il momento che entrava in classe perché il mondo con lei si colorava!

Lascia un commento