Teulada, mon amour: quando la Sardegna diventa un pretesto per l’artista [di Maria Laura Ferru]

Teulada, mon amour

A voler cercare di capire il significato e l’origine di questo magnifico gruppo ceramico, di autore non sardo eppure intitolato “Idillio a Teulada”, col solo mezzo dell’osservazione e dei pochi dati ufficiali disponibili sino a qualche anno fa (le pur monumentali opere di Proverbio e di Panzetta), non si andava molto lontano. Si sapeva che l’opera era uscita nel lontano 1930 dal laboratorio ceramico della Lenci di Torino, dove era stata realizzata su modello di Sandro Vacchetti, che all’epoca era direttore artistico della manifattura aperta da Elena Scavini Konig, che già godeva di fama mondiale per le sue bambole e che si apprestava a diventare altrettanto famosa per le ceramiche che da qualche anno con la collaborazione di uno stuolo di artisti andava febbrilmente proponendo ad un attento ed esigente  pubblico di estimatori.

Facile desumere che sicuramente la rappresentazione della scena galante nasceva  dall’esame  delle settecentesche creazioni di Meissen, tra le quali non mancavano damine e cavalieri in intima conversazione. Ma la caratterizzazione regionale ? Cosa poteva aver spinto l’artista piemontese a dare specificità sarda alla sua idea plastica di idillio? Oggi sappiamo che in ciò Vacchetti procedette anche ante litteram, anticipando il momento in cui la manifattura torinese decise di avventurarsi in ceramiche a soggetto sardo, cosa che avvenne alcuni anni dopo, con differenti modalità e con altri soggetti.

Per il titolo dell’opera,  che replica quello dato nello stesso periodo da Tarquinio Sini ad una sua opera pittorica, e per il riferimento a Teulada presente nelle opere di alcuni artisti sardi quali potevano essere Giuseppe Biasi e Cesare Cabras, è lecito ritenere che, in ogni caso, Sandro Vacchetti conoscesse gli artisti sardi e le loro opere. Sappiamo che Tarquinio Sini fu impegnato negli anni Dieci del Novecento a Torino in attività di cartellonista per l’industria cinematografica, attività congeniali allo stesso Vacchetti e ciò lascia supporre che potessero conoscersi.

Il titolo dell’opera e l’atmosfera esotica  impressa al gruppo plastico ” ‘Idillio a Teulada”  potrebbero far credere che anche Vacchetti fosse attirato dalla suggestione della mitica Thule sarda se non ci fossero almeno due considerazioni precise che ad essa si oppongono. La prima: appare evidente che non ci fu nessuna intenzione di documentazione etnografica corretta, tanto è vero che se il costume maschile può passare per teuladino, quello femminile sicuramente non lo è,  per via delle contingenze piuttosto evidenti col costume di Ollolai.Certo, la coppia poteva benissimo essere mista ma allora bisogna ammettere subito che lo scopo puro e semplice fosse proprio quello della rappresentazione di una coppia (il che è proprio quello a cui si giungerà nelle conclusioni).

La seconda: le numerose pubblicazioni di questi anni su Sandro Vacchetti, ad opera di  Gargiulo, di Terraroli- Pagella e di Gaudenzi, hanno rivelato la reale connessione tra la fisionomia di Sandro Vacchetti e quella da lui stesso riprodotta in opere dal chiaro significato autobiografico quale “Amore paterno”, il che ci permette di riscontrare lo stesso volto anche nel “teuladino” dell’Idillio in questione.

Ma se Sandro Vacchetti rappresenta se stesso nella  veste del teuladino, rimane solo da chiedersi chi sia la donna che gli sta al fianco e che sembra assistere con aria pensosa all’approccio galante.

E ancora una volta la soluzione del mistero (e della genesi dell’opera d’arte insieme) ci viene dal riscontro fisionomico con alcune foto e altre opere d’arte, quali un tondo ceramico e almeno un quadro ispirati alle fattezze di Elena Scavini Konig, opere dello stesso Sandro Vacchetti.

Illuminante, poi, una testimonianza diretta: una pubblicazione di alcuni anni fa, dal titolo umile quanto suggestivo di Una bambola e altre creazioni nella quale Elena Scavini Konig fece a tempo a sintetizzare gli aspetti più avventurosi ed esaltanti della sua carriera artistica senza tacere degli aspetti più importanti e dolorosi anche della sua vita privata. I pochi, drammatici cenni da lei fatti al coinvolgente sentimento che Sandro Vacchetti manifestò nei suoi confronti sono sufficienti a farci credere che fu proprio quel sentimento ad ispirare alla mente e alle mani dell’artista piemontese un capolavoro al quale l’esotismo creato dagli artisti sardi fornì un’ intrigante quanto  suggestiva ambientazione. La sensibilità istrionica, la preparazione culturale e l’ardente fantasia dell’artista piemontese fecero il resto.

*Esperta di ceramica sarda e perito in argenti antichi

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