Aboliamo le provincie. Ora sono (quasi) tutti contrari [di Giuseppe Pulina]

 

Proclamazione_della_Repubblica_sassarese_-_Giuseppe_Sciuti,_1880_-_Sassari,_Palazzo_della_Provincia

Dopo il referendum abrogativo delle provincie sarde dello scorso anno, è calato sull’argomento una pesante cortina polemica. Si sta per procedere in consiglio regionale alla discussione della legge di riordino, ma il dibattito è praticamente a zero. Ad oggi sembra sia prevalsa la tesi abolizionista totale (applicazione alla lettera  del risultato del referendum) dei Riformatori rispetto a quelle “possibiliste” (conserviamo gli enti intermedi, soprattutto quello nei quali abbiamo la maggioranza) delle altre forze politiche. Si arriva così impreparati all’appuntamento della riforma con il rischio di un compromesso al minimo che lascerà tutti scontenti, tranne coloro che avranno salvato il loro scranno.

Per fortuna sotto i cieli d’Italia c’è qualcuno che ha pensato di approfondire l’argomento e di proporre una riordino globale degli enti intermedi (regioni e provincie) alla luce di una visione moderna ed efficace di questo importante spazio di governo vicino alle esigenze dei cittadini. La Società Geografica Italiana, in collaborazione con il CNR, in uno studio iniziato nel 1999 e consegnato qualche mese fa al Ministero degli Affari Regionali, ha delineato un’Italia con 36 regioni al posto delle attuali 20 regioni e 110 provincie. Il presidente della Società, Sergio Conti, spiega che il disegno riguarda la riaggregazione innovativa dei comuni in entità territoriali di dimensione intermedia fra le attuali regioni e provincie, e non l’accorpamento di provincie già esistenti (come frettolosamente proposto dal governo Monti).

Secondo la Società, “si tratta di un disegno programmatico che trascende le consolidate suddivisioni amministrative provinciali e regionali. Competitività, sostenibilità ambientale, innovazione socio-culturale rappresentano i nuovi assets strategici su cui fondare una possibile proposta. L’obiettivo è quello di disegnare un’organizzazione dell’Italia articolato in una molteplicità di centralità strategiche secondo  l’individuazione di una pluralità di nuovi fattori di localizzazione che sostengano un ritaglio amministrativo adeguato al territorio”.  

Nello studio, il cui testo completo può essere trovato in http://www.societageografica.it/images/stories/Pubblicazioni/NUOVA_EDIZIONE_e-book_Il_riordino_territoriale_dello_Stato.pdf (vedi foto in coda) per la Sardegna, al posto della regione e delle 8 provincie,  sono state proposte due aggregazioni (nello studio non si creano denominazioni, ma ci si ispira agli arrondissement francesi o ali lander tedeschi): quella del capo di sopra e quella del capo di sotto (esattamente quanto auspicato da me in tempi non sospetti sul sito di Sardegna Democratica). Lo studio, però, suggerisce che per i territori dotati di particolari caratteristiche di concentrazione urbana, possano essere previste le aree metropolitane.

In sostanza per la Sardegna potrebbero essere previste due provincie regionali (che assumeranno la denominazione definitiva una volta varata la riforma della costituzione che le riguarda) e due aree metropolitane per i territori di Cagliari e di Sassari. Per quanto riguarda le regioni-provincie del nord e del sud, il più grande problema che intravedo potrebbe essere la collocazione del capoluogo (fra Nuoro e Olbia, per il nord, e fra Oristano e Iglesias, per il sud). Ma se ci inoltriamo su questa china, non sarebbe stato meglio lasciare tutto come era?

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