Politiche Educative, Istruzione e formazione in Sardegna. Tante sono le cose da fare [di Rosario Musmeci]

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Il documento che pubblichiamo, elaborato dall’assessore alla P.I. della provincia di Sassari, è stato presentato, in larga sintesi, nel corso del Seminario organizzato a Cagliari da Lamas e Terra di pace e solidarietà (Nd R).

Ripensare la governance politica e amministrativa del sistema scolastico, agendo sulle norme vigenti con il coraggio richiesto dalla gravità della situazione. I tempi sono maturi perché la Regione sarda acquisisca finalmente tutti gli strumenti necessari per un vero governo della scuola, a partire dall’assegnazione del contingente di Dirigenti scolastici attribuito. Non ci risulta essersi ancora addivenuti all’atteso – ormai da più di un anno – accordo in Conferenza Stato – Regioni – Enti locali su tale questione. Auspichiamo, se così fosse, che la Regione Sardegna solleciti la definizione dell’accordo. Da anni il sistema scolastico vive infatti una situazione paradossale, nella quale vincoli formali hanno la meglio su ogni intenzione politica ed ogni logica di articolazione del sistema scolastico nel territorio, stante il fatto che è ormai patrimonio di tutti la consapevolezza che il mantenimento dell’autonomia scolastica in assenza di una propria Dirigenza, anche amministrativa, è in realtà una finzione giuridica. Se non si vuole che anche in questo ambito l’”attenzione” verso tutto il sistema regionale, ed in particolare le zone interne dell’isola abbia solo valore retorico, è necessario restituire alla politica il proprio primato e le proprie responsabilità. Ma occorre altresì, riteniamo, cogliere l’occasione per fare ulteriori passi avanti in questa direzione. In primo luogo novellando la normativa vigente sul punto – subito, anche per stralcio, senza attendere l’organica revisione delle competenze degli Enti coinvolti, in primo luogo quelli provinciali, ormai per tutti all’ordine del giorno a seguito dell’approvazione della legge 56/2014. Ma occorre farlo coraggiosamente, nella consapevolezza dei vincoli e dei margini attribuiti alla Regione dallo Statuto nelle materie dell’istruzione e dell’ordinamento degli enti locali.

 

Il Piano di dimensionamentodelle Istituzioni scolastiche, quale strumento che determina la geografia dell’offerta formativa e la varietà (almeno per il II ciclo) della stessa, approvato annualmente dalla Regione sulla scorta dei Piani adottati dalle Conferenze provinciali (quali organi dei territori e non dell’Ente provinciale), è stato in questi anni svilito in quanto luogo di esercizio dell’azione politica dei territori. In primo luogo da quei vincoli formali di cui sopra abbiamo detto, che non hanno fatto che acuire tendenze campanilistiche e poco lungimiranti. Ma, altresì, dalla pressoché totale assenza di una “visione” della scuola, sia sul piano ordinamentale e organizzativo, sia nella sua importanza per il futuro sociale ed economico dell’Isola, da parte della Regione.Il dimensionamento scolastico è stato in questi ultimi anni, nonostante la crescente gravità dei problemi, sempre più un mero esercizio formale per l’Assessorato Regionale all’Istruzione, assolto con sempre maggiore ritardo sul piano della tempistica, e secondo modalità che hanno denunciato sia approssimazione sul piano formale (ma la forma è sempre sostanza nelle procedure amministrative), che – a dir poco – disattenzione su quello del merito politico ed istituzionale, nelle dovute relazioni con le autonomie locali.

 

È mancata del tutto, in questi anni, una seria analisi della prospettiva socio-economica cui ricondurre l’offerta formativa, sia nell’ambito del sistema dell’istruzione che della formazione professionale, limitandosi il momento del dimensionamento ad interventi resistenziali o di mera “reazione” alle variazioni normative o ad “improvvisazioni” dettate dalle varie emergenze, senza una vera pianificazione e con un lavoro sempre d’urgenza concentrato in un mese all’anno.È mancata la consapevolezza del ruolo sociale e culturale della scuola, specie nelle aree interne e più disagiate, dove viene vissuta in termini resistenziali come “luogo” cui arroccarsi, come ultimo baluardo contro lo spopolamento, anche se questo comporta lo svilimento della funzione didattica (con le pluriclassi, ad esempio) e del ruolo di apertura e socializzazione che pure la scuola svolge a vantaggio delle bambine e dei bambini. Detta disattenzione al mondo della scuola, detta mancata consapevolezza dei suoi problemi, si è tradotta in questi anni in un assordante silenzio politico e/o normativo su svariati ambiti che avrebbero necessitato di sostegno e iniziative per un verso, di regole e decisioni per un altro. Per citarne alcuni:

– l’Anagrafe degli studenti, strumento fondamentale sia per l’esercizio della funzione politico-decisionale che per la lotta alla dispersione e all’abbandono scolastico: l’azione cominciata nella legislatura 2004/2009 si è arenata in quella successiva, senza trovare alcun esito;

– l’integrazione degli studenti disabili o con disturbi di apprendimento: se il tema vede sempre più crescere la richiesta di servizi, in ragione anche dell’aumentata consapevolezza e sensibilità, lo stesso ha altresì visto la Regione sempre più defilata: sia sul piano dell’intervento finanziario, a fronte dei costi crescenti a carico degli Enti locali, sia su quello della disciplina, nonostante le richieste di comune definizione (di concerto con gli Enti locali) e adozione di linee guida volte a far fronte ad una realtà eccessivamente differenziata quanto a modalità, forme e qualità dei servizi resi. Si tratta di un tema molto delicato e complesso, dove alla quasi totale assenza di norme si accompagna un intervento frazionato di diversi Enti (Istituzioni scolastiche, Enti locali, Ministero) dove ruoli, competenze e responsabilità risultano talora confusi, e dove l’assenza di alternative alla scuola, specie nel caso delle disabilità più gravi, carica talvolta l’Istituzione scolastica di impropri ruoli di supplenza, determinando situazioni talora aberranti, come ad esempio nei casi di trattenimento a oltranza degli studenti;

– gli interventi di sistema sono del tutto mancati, a dimostrazione dell’assenza di quella visione di cui si diceva: il passaggio agli Istituti Comprensivi nel I ciclo di istruzione (richiesto dalla normativa nazionale) non è stato accompagnato – se non per l’iniziativa di alcuno in ambiti territoriali ristretti – da azioni volte a valorizzarne, con interventi formativi e di sensibilizzazione, gli aspetti della didattica e della verticalizzazione dei curricoli, con il rischio di ridurre così detto passaggio ad un adempimento subìto e destinato soltanto ad aumentare la complessità della gestione delle autonomie scolastiche;

– ma sono diversi gli ambiti che necessiterebbero di concertate azioni di sistema e di cospicui investimenti finanziari: l’orientamento in entrata e in uscita dal II ciclo di istruzione, verso i percorsi universitari, la formazione professionale o il mondo del lavoro; i tirocini, l’alternanza scuola-lavoro e altri strumenti di collegamento tra la scuola e il mondo delle imprese; il rinnovamento della didattica, attraverso estese azioni formative su temi quali la modularità degli insegnamenti, il superamento delle lezioni frontali (specie nell’istruzione degli adulti), la certificazione delle competenze, l’acquisizione dei saperi e competenze del dm 139/2007; l’ampliamento dell’offerta formativa, con interventi di sostegno alle attività curriculari o di supporto a quelle extra curricolo, considerata la scarsità di risorse ormai in capo agli Enti locali;

– l’istruzione degli adulti, attualmente accentuata nel II ciclo quasi a parziale recupero della dispersione, mentre pressoché assente nel I ciclo (con l’eccezione dei cittadini stranieri), al contrario che in altri contesti territoriali. Si va ormai verso le Autonomie dedicate all’Istruzione degli adulti nei vari ambiti territoriali: occorre fare qualcosa per fare in modo che questa diventi un’occasione per l’aumento dell’efficienza e per il rinnovamento della didattica, e non una mera vicenda  burocratica (si spera verso l’ottimizzazione);

– il raccordo tra i percorsi degli Istituti tecnico-professionali e i percorsi di istruzione e formazione professionale, volto a garantire la normativamente prescritta “permeabilità” tra il sistema dell’istruzione e quello della formazione professionale, disciplinando dunque la possibilità per gli studenti di svolgere percorsi individuali anche nel passaggio tra diversi percorsi di studio, attende da anni una disciplina di legge: si tratta di un tema delicato, dove si vanno a toccare interessi e rendite di posizione, e dove la politica deve prodursi in una coraggiosa assunzione di responsabilità.

Più ancora che un impegno politico o un esito normativo, in questi anni è mancata financo un’elaborazione, un dibattito, una riflessione, una presa di consapevolezza, su tutti questi temi e sui problemi ad essi inerenti, sui riflessi che essi riverberano sulle questioni ordinamentali e di sistema, o su come, attraverso interventi di sistema, si possa incidere su dette (o alcuni di esse) questioni.

La politica, in molti versanti, ha rinunciato a farsi delle domande, ancor prima che a dare delle risposte: che spazio resta, e che spazio si vuole dare, infine, all’esercizio dell’autonomia scolastica, in un contesto ordinamentale nel quale il formale decisore non dispone delle necessarie dotazioni finanziarie? Quale ruolo ha e che ruolo si vuole dare (sul piano sociale, culturale, etico) alla scuola nell’articolato tessuto territoriale dell’Isola? Quali prospettive formative e di istruzione vogliamo dare ai nostri giovani in funzione del futuro socio-economico che immaginiamo per la nostra Isola, sul quale intendiamo scommettere? Quale ruolo per i docenti? Con quali competenze? Quale rapporto tra i diversi ordini di scuola?

Per cercare di dare una risposta a queste domande, per affrontare nella sua pienezza, nella sua gravità e nelle sue innumerevoli sfaccettature, il problema della scuola in Sardegna, occorre rivedere decisamente le modalità con le quali ci si è approcciati ad esso negli ultimi anni. Quello che noi abbiamo ritenuto, che scrivemmo in un documento targato UPS fatto avere alla RAS nel settembre 2010, e che ancora riteniamo, è che la scuola vada vista non isolatamente, ma come parte di un sistema, territoriale per un verso ed istituzionale per altro verso. Che i problemi della scuola  vadano posti in correlazione con i problemi che nella scuola trovano luce, e ancora con quelli che attraverso la scuola cercano una soluzione. Che la scuola non è un’isola all’interno dell’isola-Comune all’interno a sua volta dell’Isola sarda. Che i problemi della scuola, in primo luogo la dispersione scolastica cui abbiamo fatto cenno, non sono solo i problemi della scuola, ma anche quelli dei trasporti, quelli della disabilità e della devianza, quelli della marginalità delle aree interne, quelli della costruzione di un tessuto sociale, economico ed istituzionale nei territori. E che la scuola rappresenta altresì un crocevia di diverse linee essenziali che definiscono i nostri (come altri) territori, ed insieme un cardine cruciale per la loro tenuta; così che agire sulla scuola, sul suo valore, sui suoi valori, ha effetti che vanno ben al di là della scuola stessa. Non è lasciando una pluriclasse di scuola primaria in un piccolo Comune dell’interno che si ferma il suo spopolamento: l’unico risultato è l’impoverimento di quella scuola, del suo valore come opportunità per le bambine e i bambini che la frequentano, e infine per quel territorio.

Un nuovo patto formativo territoriale. La prospettiva che si immaginava allora, e che ora si ripropone, è invece quella di un Patto Formativo Territoriale al livello, allora si immaginava, di ciascuna Provincia. Parti “firmatarie” di tale patto promosso dalle Province (allora si scrisse) saranno i Comuni, le Autonomie scolastiche, gli Enti di formazione, l’Università, la stessa Consulta degli studenti. I patti provinciali andranno a comporsi in un quadro comune sulla base di un patto interistituzionaledefinito insieme alla Regione, a sua volta necessaria interlocutrice con il livello Statale. Il patto dovrà avere una prospettiva di medio periodo (non meno di 5 anni, in distinti step, con una continua opera di monitoraggio e di verifica del percorso), e dovrà condurre alla ridefinizione della geografia delle Autonomie scolastiche della Sardegna, alla strategica revisione dell’offerta formativa del territorio. In esso il sistema scuola andrà posto in relazione sinergica con quello della formazione professionale e con uno sguardo costante da una parte al mercato del lavoro, dall’altro agli sbocchi universitari. Nell’ambito di tale patto, nella prospettiva di una comune Università della Sardegna, i due Atenei dovranno lavorare sinergicamente ed evitando sovrapposizioni.

La realizzazione di quanto detto, perché non resti pura retorica, esige alcuni corollari: un metodo, significativi investimenti sui servizi, strumenti conoscitivi adeguati, una rinnovata architettura normativa. Coinvolgere i territori e le loro componenti in un percorso complesso ed articolato di reciproca assunzione di responsabilità è possibile soltanto coinvolgendo tutte le medesime componenti in un percorso di concertazione, di confronto e di co-decisione. Su tale prassi metodologica dovrà innestarsi la discussione ai diversi livelli istituzionali, per la definizione di quelli che abbiamo chiamato patto interistituzionale di sistema tra Regione, Enti locali e Autonomie scolastiche e Patti formativi territoriali presso ciascun ambito territoriale di area vasta. Ai due livelli (patto territoriale, patto interistituzionale) il tavolo potrà lavorare in modo pressoché continuo sul sistema dell’offerta formativa, sulla ridefinizione delle linee guida e dei parametri, sulla dislocazione delle Autonomie come dei Plessi, sulla definizione delle filiere territoriali sulle quali articolare percorsi idonei di istruzione e formazione professionale, sulle logiche di rete tra Indirizzi comuni ovvero diversi per natura ma affini per la materia trattata. Il Dimensionamento scolastico, in quest’ottica, non è più un momento, meno che mai un adempimento, ma un percorso di discussione e di condivisione, un percorso politico e di assunzione di responsabilità nell’ampio respiro anche temporale; e che pone come posta in gioco non interessi particolari e occasionali, ma il futuro sociale ed economico di un territorio.Accettare questo patto significa quindi, per ciascuna parte, anche accettare di far parte di una comunità più ampia e complessa, significa accettare il confronto con tutti gli altri soggetti che lo compongono.

Ripensare la scuola, allora, deve essere l’occasione per ripensare l’economia, la società e i rapporti interistituzionali di un territorio, con un respiro non solo comunale ma di area vasta, specialmente nelle zone interne e marginali. Significa quindi ripensare i servizi, in una prospettiva sovracomunale come peraltro oggi chiedono le norme e da ancora prima domandavano il buon senso, l’efficienza, la buona amministrazione. Allo stesso modo la scuola, quale momento e luogo dell’istruzione, non dovrà operare come un soggetto avulso dal contesto sociale ed economico dove insiste, ma in sintonia con esso, aprendosi alle collaborazioni e agli apporti innanzitutto degli Enti locali. E sia dove la scuola insiste, sia dove non riesce a trovare posto, dovrà comunque essere garantita – in ogni Comune – una “casa della cultura” della comunità locale, nell’ottica di un nuovo patto sociale tra le Autonomie scolastiche e le Autonomie territoriali, tra la scuola e il Comune, il tessuto sociale e quello economico. Dall’applicazione dello stesso metodo, in ragione anche di una differente – trasversale e/o settoriale – individuazione dei soggetti portatori di interessi (per competenza, ruolo, ambito di operatività) dovrebbero andarsi a discutere e definire le nuove linee normative per il funzionamento e la governance del sistema dell’istruzione. I temi non mancano, e sopra ne abbiamo menzionato più d’uno.

Tuttavia, la politica non è solo, non può essere – soltanto e comunque – esercizio della volontà nella composizione degli interessi. È – deve essere – soprattutto consapevolezza dei problemi, valutazione delle opzioni, quindi decisione. Lo strumento politico sopra descritto non deve surrettiziamente superare il riparto e l’articolazione dei poteri e delle responsabilità proprie di ciascun livello istituzionale. Ed inoltre deve poter leggere la realtà in tutta la sua complessità per comprenderla e decidere su di essa. In materia di istruzione l’esperienza degli Osservatori dell’istruzione è stata finora non uniforme sul territorio regionale. Occorre un loro collegamento, una loro costituzione dove ancora non esistono, una strutturazione dove avviati soltanto sperimentalmente. Soprattutto, un loro raccordo. Dovrà essere a tal fine attivata, è quanto si sta cercando di fare in Provincia di Sassari, una Cabina di regia per la valutazione e valorizzazione del sistema scolastico regionale, prendendo quale spunto l’esperienza del Trentino, che ne valuti quali-quantitativamente gli elementi, le variabili, la relativa incidenza, la ricaduta delle politiche intraprese, la percezione che di esso hanno gli alunni, i docenti, i dirigenti scolastici, i cittadini, i territori, che ne misuri le qualità e le inefficienze, ne elabori le cause, proponga correttivi e opzioni, ne senta continuamente “il polso”, intercettandone gli stimoli e rilevandone le disfunzioni.

Ed occorre altresì attivare un percorso condiviso tra i diversi attori (Autonomie scolastiche, USR e UUSSPP, Comuni, Province, Regione) per la costituzione di una compiuta ed omogenea anagrafe degli studenti, preferibilmente regionale, alla quale gli Enti locali possano avere pieno e privilegiato accesso non solo in quanto amministrazioni locali più vicine alle varie realtà delle Autonomie scolastiche, ma altresì per lo svolgimento delle proprie funzioni istituzionali, quali la verifica dell’adempimento dell’obbligo di istruzione e del diritto-dovere di istruzione e formazione, ed il conseguente eventuale intervento di orientamento attraverso i Centri Servizi per il Lavoro, i CESIL, gli altri strumenti che si vorranno mettere in campo.

 

Ed occorre altresì intraprendere un’analisi dei costi del mondo della scuola, in funzione di una loro razionalizzazione ed ottimizzazione. Fotografare la situazione della scuola in Sardegna sul piano dei costi, delle fonti di finanziamento, degli attori coinvolti e delle funzioni esercitate, è senz’altro utile, anzi addirittura necessario come presupposto per una analisi che può avere diversi utilizzi:

la definizione di costi standard: si potrebbe in questo modo andare a vedere la dimensione ottimale minima di un’istituzione scolastica, l’assegnazione del budget di funzionamento alla scuola anche ai fini del rilancio di un reale ruolo dell’Autonomia, etc.

la ridefinizione della normativa sul piano delle competenze ad erogare servizi/risorse tra i diversi Enti;

la riallocazione delle poste finanziarie per le diverse finalità: funzionamento, didattica curriculare, didattica extracurriculare, etc.

 

Infine, il percorso conoscitivo e decisionale dovrà tradursi in azioni, in interventi, in investimenti:

          sui trasporti: definendo Piani di bacino dei servizi minimi essenziali garantiti dal trasporto pubblico che garantiscano anche il trasporto scolastico, anche nelle zone marginali del territorio, anche a favore delle categorie più deboli, in primo luogo gli studenti diversamente abili; ad integrazione dei servizi garantiti dal Piano di bacino, potranno altresì attivarsi relazioni sinergiche tra i Comuni limitrofi, eventualmente coinvolgendo le famiglie e le comunità locali nell’attuazione di piani di mobilità alternativi ai servizi di linea, incentivati anche sul piano finanziario;

          sul sistema dell’accoglienza mediante l’attivazione di mense scolastiche e convitti;

          sugli edifici scolastici, i laboratori, le dotazioni strumentali.

I primi due punti sopra detti pensiamo siano centrali, fondamentali, in un territorio come quello sardo a così bassa densità di popolazione, specie nelle zone interne: come non vedere, infatti, un nesso (e quindi uno degli elementi eziologici) tra la dispersione e l’abbandono scolastico e il pendolarismo  cui sono costretti tanti nostri ragazzi e ragazze, soprattutto in ragione delle condizioni di detto pendolarismo, con servizi di cattiva qualità o in assenza di essi? Il terzo punto sopra riportato esprime l’esigenza di puntare sulla qualità dell’insegnamento, al di là ovviamente dell’esigenza della sicurezza e della conformità normativa degli edifici.

E, ancora, riprendendo l’elenco degli ambiti sui quali investire:

– l’innovazione della didattica, con investimenti in formazione degli insegnanti: servono nuovi docenti per una nuova scuola.

l’orientamento, inteso non (solo) come informazione ma (anche, se non soprattutto) come strumento dato alle ragazze e ai ragazzi per conoscere le proprie potenzialità e propensioni, anche attraverso importanti azioni di raccordo con il mondo del lavoro (stages, tirocini, alternanza scuola-lavoro);

l’integrazione degli studenti disabili, operando organicamente nella scuola ed al di fuori di essa e garantendo a tale finalità le risorse finanziarie effettivamente necessarie;

– l’istruzione degli adulti, rivolta ai cittadini italiani per recuperare il gap che ci separa dalle altre regioni d’Italia e d’Europa e quale strumento di compensazione dell’elevata dispersione, e a quelli non italiani, quale strumento di integrazione;

– l’attuazione del progetto di scuola digitale:l’ultima Giunta regionale, sul punto, ha di fatto solo attuato il piano del precedente governo Soru incentrato sulle LIM, peraltro con colpevole ritardo rispetto a quanto inizialmente previsto;

– l’ampliamento dell’offerta formativa, a sostegno delle attività curriculari ed extracurriculari, dando ad esse carattere di sistema, e procedendo a valutazioni di merito e trasparenti all’atto delle assegnazioni.

 

Passando al merito dell’offerta di istruzione, ci limitiamo ad alcuni cenni.

Il primo punto di riferimento per una ridefinizione dell’offerta formativa del territorio regionale e delle sue componenti, con un respiro pianificatorio di medio termine, non può che essere innanzitutto la cittadina o il cittadino in quanto titolare di un diritto soggettivo all’istruzione Costituzionalmente riconosciuto, sia esso giovane o adulto, italiano come comunitario o extracomunitario. Si può comprimere, in considerazione delle ragioni di fatto (la logistica, la ripartizione territoriale dell’offerta), ma non fino ad annullarlo, tale diritto: vivere a Burgos o a Mandas può essere un limite, ma non deve diventare un divieto alla realizzazione delle proprie aspirazioni. Il riferimento successivo – egualmente necessario – è quello delle comunità territoriali, nella loro composita caratterizzazione, definita dalle matrici socio-economiche, dal vissuto della collettività così come dalle sue aspirazioni e vocazioni.

Il primo ciclo di istruzione. Perché la scuola riesca a fondersi con il tessuto sociale del piccolo Comune come del quartiere delle città, essa deve porsi in grado di accompagnare la crescita culturale (nella garanzia della continuità didattica) e civile del bambino e poi del ragazzo, dall’infanzia alla preadolescenza, dai 3 ai 13 anni, ponendosi quale baricentro del suo sistema di relazioni. Qui la sfida si pone essenzialmente su due aspetti:

– il modello di scuola, nella forma dell‘Istituto comprensivo, da realizzare e costruire non come mera sommatoria dei tre elementi che la compongono (scuola dell’infanzia, scuola primaria, scuola media), ma – effettivamente – nel segno della continuità e dell’accompagnamento delle bambine e dei bambini fino alla soglia dei 13-14 anni; togliendo alla scuola media dal “limbo” nel quale persiste, e valorizzando adeguatamente la scuola dell’infanzia in ragione della centralità di quella fase di crescita e sviluppo del bambino cui si rivolge;

– la garanzia della qualità della scuola nelle zone interne, dove la realtà dei numeri la pone a rischio; dove logiche politiche comprensibili ma miopi vorrebbero una frantumazione del modello scolastico per garantire un presidio scolastico in ogni piccolo Comune; dove i servizi di trasporto e quelli di accoglienza (mense, semi-convitti, tempo pieno), articolati per bacini, sono l’unica chiave disponibile per giungere ad una soluzione accettabile; e dove lo sforzo dev’essere quello di garantire comunque, in tutti i Comuni dell’Isola un presidio, se non scolastico, culturale.

Il primo ciclo di istruzione, quindi, nella forma privilegiata dell’Istituto comprensivo, avrà carattere territoriale. Facendo uso delle proiezioni demografiche per i prossimi 5 anni si definiranno i bacini ottimali. Occorre rimettere in gioco, da questo punto di vista, tutto l’esistente, per riscrivere nel modo ottimale la geografia delle Autonomie. Ottimizzare significa non solo e non tanto risparmiare, ma razionalizzare e garantire una migliore qualità del servizio. Il punto di partenza non deve perciò essere un mero calcolo ragionieristico, ma una logica di territorio e di comunità nel segno della qualità della scuola, con l’eliminazione delle pluriclassi così come degli Istituti Globali. Sarebbe opportuno in proposito la ripartizione dei Comuni in tre classi dimensionali, definite anche tenendo conto dei trend demografici: in quella più ampia dovrebbero trovare posto più Autonomie scolastiche, quella intermedia ne ospiterebbe soltanto una, per i Comuni più piccoli i vari plessi della singola Autonomia saranno ripartiti tra più Comuni. È peraltro parimenti importante che, nel riparto dei plessi della stessa autonomia, nelle zone interne e a scarsa urbanizzazione, venga mantenuto ove possibile un presidio scolastico, un punto di erogazione del servizio; oppure, ove non possibile, venga mantenuto o costituito un presidio culturale, sempre in una logica di bacino.

Al fine di rendere sostenibile tale soluzione organizzativa occorre intervenire sui servizi connessi (trasporto, assistenza, nuove tecnologie) e coinvolgere gli Enti locali e il mondo associativo nello sfruttamento degli spazi e delle dotazioni della scuola e non solo di essa, al di là del momento curriculare, al fine di costituire in ogni Comune una “casa della cultura” della comunità locale. Tutti gli strumenti e le emergenze culturali disponibili devono in tal senso essere sinergicamente utilizzate: la biblioteca o la ludoteca comunale, con utilizzo degli spazi per iniziative anche private, di tipo didattico, formativo o culturale, superando le rigidità burocratiche che finora hanno reso difficile sperimentare soluzioni di questo genere; la scarsità di personale ATA potrebbe trovare ausilio, nell’ambito di una sinergia così descritta, nel personale degli Enti locali; e via con altre ipotesi. Un’idea di scuola come questa valorizza nella funzione e nel ruolo l’Autonomia scolastica, chiamandola ad un ruolo attivo e propositivo, attiva processi aggregativi e di appartenenza, di ricerca e costruzione dell’identità, stimola e intercetta nuove domande. A sostegno di tale processo la stessa Regione dovrebbe poter garantire un sostegno finanziario, formativo ed organizzativo.

Nell’ambito del primo ciclo è da porre la giusta attenzione anche alle scuole dell’infanzia non statali, che rappresentano una significativa presenza sul territorio. Occorre tuttavia rivedere le regole che ne governano il finanziamento, accordandosi con l’USR in ordine alle verifiche sul mantenimento dei requisiti, semplificando i requisiti di ammissione ai contributi e razionalizzando i diversi rivoli di contributo esistenti (ministeriale, regionale/provinciale, comunale).

Il secondo ciclo di Istruzione. Qui la sfida è la qualità della scuola: nelle sue strutture, nei suoi laboratori, nella competenza dei docenti, nelle relazioni tra la scuola e il mondo delle imprese e del lavoro.Il secondo ciclo presenta problemi peculiari e differenti rispetto al primo. Se nella definizione degli ambiti ottimali del primo ciclo il riferimento deve essere la comunità territoriale, per quelli del secondo ciclo occorrerà tenere conto di diversi elementi. L’esigenza di garantire a tutti gli studenti le stesse opportunità rende necessario che tutte le opzioni previste dalla riforma degli ordinamenti del secondo ciclo siano presenti almeno nel livello regionale, se non in quello di bacino. I bacini di riferimento non dovranno necessariamente coincidere con il territorio delle attuali 8 Province: si può pensare a 4 o 5 bacini per l’intero territorio regionale, nell’ambito di ciascuno dei quali garantire la massima diversificazione dell’offerta. Occorre tuttavia trovare il giusto equilibrio tra la varietà dell’offerta negli ambiti territoriali e la qualità dell’istruzione offerta, dando comunque e sempre a quest’ultima la prevalenza.

Una buona qualità delle scuole nelle aree interne garantirebbe la loro relativa attrattività, con benefici in termini di riduzione del pendolarismo e della dispersione. Laddove invece taluni indirizzi – unici o rari – debbano – per ragioni numeriche e di organizzazione della logistica – trovare la loro sede nei centri urbani medi o grandi, essi devono essere eccellenti nella qualità dell’istruzione (in termini di laboratori, di strutture, di dotazioni, di relazioni con altri soggetti istituzionali e non) e buoni nella qualità dei servizi collaterali a quelli scolastici: dai trasporti alla mensa, ai convitti e ai semiconvitti. Le strutture convittuali sono troppo poche e spesso, ove esistenti, inattive: occorre un loro rilancio. La progressiva licealizzazione dell’istruzione secondaria è il chiaro segno di una scarsa attrattività – anche in ragione della scarsa qualità – degli studi tecnici e professionali. Il nodo giuridico e programmatico del rapporto di questo mondo con quello della formazione professionale va affrontato. È inoltre cruciale, per il rilancio degli studi tecnici e professionali, la considerazione della struttura socio-economica del bacino territoriale e sociale di riferimento, definendo l’offerta in ciascuno di essi secondo filiere omogenee, tenendo conto dell’economia dominante nei territori e/o delle proprie vocazioni, o immaginando un futuro anche diverso per essi avendo però il coraggio di investirci e scommetterci.

Anche la “struttura” territoriale della scuola non deve necessariamente essere sempre identica. Se può aver senso centralizzare in una sola sede territoriale un particolare Istituto (si pensi agli Istituti nautici, in un Comune portuale, o ad un Istituto tecnico industriale, nei pressi di un distretto industriale), altre volte potrà risultare opportuno dare un’unica Direzione ad una rete di istituti omogenei ripartiti sul territorio (si pensi agli Istituti professionali per l’agricoltura, diffusi nel territorio in ragione di una diffusa e persistente vocazione agricola); in altre situazioni ancora, valutando nel merito le situazioni ed i contesti, potrà risultare più utile connettere in filiera (in un Istituto di Istruzione Superiore) diversi indirizzi di studio sotto un’unica Direzione scolastica (si può in proposito pensare alla produzione agricola connessa alla trasformazione dei prodotti e/o all’accoglienza; o all’insegnamento artistico connesso ad alcuni indirizzi tecnici ad esso funzionalmente legati).

Non è chi non veda come – in tale discorso – legare tra loro gli indirizzi o dislocare in un modo o in un altro le autonomie non ha un valore puramente numerico ma un significato essenzialmente strategico, in funzione di una risposta alle emergenze economico-sociali e di garanzia di possibili sbocchi lavorativi. Ma è altrettanto evidente come in tale ridefinizione delle autonomie, dell’offerta territoriale e degli indirizzi, in funzione di una connessione reale tra il mondo della scuola e quello del lavoro, può giocare un ruolo essenziale la formazione professionale, attribuendo ad essa un ruolo complementare, e quindi sinergico, non conflittuale, rispetto a quello svolto dall’istruzione tecnica e professionale: completando l’istruzione scolastica ai fini del raccordo con il mondo del lavoro e le sue esigenze; garantendo figure professionali di complemento a quelle garantite dall’istruzione nell’ambito del medesimo ambito produttivo o della stessa filiera.

L’istruzione degli Adulti. Il tema dell’Istruzione degli adulti è essenziale in una Regione come la nostra soprattutto in risposta alla domanda di riqualificazione professionale (anche qui trova un senso la risposta da dare a quale ruolo assegnare alla formazione professionale). Occorre tuttavia una sua profonda rivisitazione. È immediata ormai la prospettiva dell’assegnazione di un’Autonomia scolastica dedicata a questo tema in ogni territorio delle attuali Province sarde. Ad essa tuttavia continueranno a corrispondere più punti di erogazione del servizio, con residenza presso le “altre” autonomie, che forniranno non solo il supporto logistico ma altresì, in una logica di rete, le stesse docenze. Al fine di evitare che la creazione dell’Autonomia scolastica dedicata all’Istruzione degli adulti si traduca in un appesantimento burocratico, occorrerà pensare seriamente – in ragione delle esigenze pratiche – a garantire flessibilità ai rapporti tra la detta Autonomia e quelle “ordinarie”, tra quella e i docenti operanti in queste ultime.L’esito dovrà essere quello di una ottimizzazione delle risorse, sia professionali che logistiche, popolando anche di queste istanze quella che abbiamo chiamato la casa della cultura della comunità territoriale. La sfida va colta anche nelle zone più marginali, con trend negativi di crescita demografica, intercettando nei percorsi di riqualificazione professionale anche i cittadini extracomunitari che con la loro presenza bilanciano le perdite demografiche e sostengono alcuni territori anche sul piano economico.

L’autonomia dovrà esplicare un ruolo attivo sulla domanda potenziale, intercettando quella sommersa; dovrà inoltre essere in grado di valutare e certificare le competenze, anche extracurricolari, dell’adulto, orientandolo verso il percorso più confacente ai propri saperi e alle proprie aspirazioni. È un’idea di scuola che si adatta – sia nei percorsi per adulti che in quelli “ordinari” – alla domanda del territorio, e non si impone invece monoliticamente al territorio coartando la domanda stessa. È chiaro che alcune categorie di cittadini avranno esigenze diverse da altri: se dai cittadini extracomunitari verrà probabilmente una domanda di istruzione di base, in relazione all’apprendimento delle lingua, per altri si porrà viceversa l’esigenza di una riqualificazione professionale e dunque di specializzazione. Ancora più che nell’ambito “ordinario” dell’Istruzione, inoltre, nell’ambito dell’Istruzione degli adulti si sente la necessità di una profonda revisione della didattica e di una ridefinizione dei percorsi in senso modulare. Stante poi il carattere modulare e “policentrico” – sul piano dei “luoghi” di svolgimento dei singoli moduli – nonché il particolare target degli studenti, con le loro diverse esigenze, risulterà senz’altro determinante puntare (anche, ma non solo) sulle possibilità offerte dalle nuove tecnologie in tema di istruzione a distanza. Su di essi proponiamo un confronto, in un tavolo politico-istituzionale di discussione ed esame. Affinché tutte le competenze, le esperienze e le sensibilità possano trovare il giusto ascolto e la dovuta ponderazione.

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